Quale modello di difesa?

4 maggio 2010 - Maurizio Simoncelli

Prosegue, di seguito, la riflessione proposta in Mosaico di pace di maggio,
nelle pagg. 24-25.

Analogamente anche ai modelli di difesa di altri Paesi europei (Gran Bretagna, Francia e Germania), risulta la difficoltà a identificare chiaramente un nemico a fronte di minacce quali il terrorismo, la proliferazione di armi di distruzione di massa e la presenza di diverse crisi regionali. Inoltre, resta un modello di difesa teso ad assicurare uno schermo protettivo a 360 gradi, che deve assicurare contemporaneamente copertura dello spazio territoriale, aereo e navale nazionale, sicurezza interna (leggi terrorismo e criminalità organizzata), capacità di molteplice proiezione delle forze su territori lontani, nonché compartecipazione alla protezione civile (indicate dal “Concetto strategico 2005 del Capo di Stato Maggiore della Difesa”). Una serie, cioè, di missioni differenziate, complesse e costose, che in realtà non possono essere assicurate efficientemente e contemporaneamente tutte insieme.
Un modello di difesa che, analogamente a quello dei Paesi europei sovracitati, richiederebbe mezzi e uomini ben al di sopra delle possibilità di una singola nazione e che potrebbe essere assicurato solo da una forza armata frutto di una vera cooperazione multilaterale a livello europeo, in cui ogni partner partecipa contribuendo in uno specifico campo. E questo è ben chiaro anche al nostro Ministero della Difesa che, nella sua Direttiva generale per l’attività amministrativa e la gestione per l’anno 2009, scrive che “il carattere transnazionale e multi-dimensionale della sicurezza richiede una convergenza di intenti a livello internazionale… solo un approccio corale, sinergico e multidimensionale al problema potrà, infatti, dare concretezza e sostanza all’azione tesa a garantire stabilità e sicurezza e quindi la difesa del Paese”.
Allo stato attuale, questo, però, è improponibile e inattuabile dati i ritardi enormi dell’Unione Europea in materia. Quindi, ci si ritrova a far quel che si può cercando di venire incontro alle richieste statunitensi ed europee, magari con affanno, ma certamente con spese elevate, senza comunque riuscire a rispondere a tutte le esigenze indicate. Ma questo l’opinione pubblica non lo sa.

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