Cristianesimo delle origine, guerra e servizio militare

15 luglio 2010 - Anselmo Palini

Cristianesimo e impero, un rapporto difficile
Nella Roma antica, soprattutto nell’età imperiale, la tolleranza è una prassi normale in campo religioso: numerose sono infatti le divinità oggetto di culto. Vi è inoltre grande apertura verso i culti forestieri e Roma è disponibile ad accogliere i valori delle civiltà dei popoli che conquistava o con cui veniva in contatto. La base del tessuto statale romano è però rappresentata da un punto ben preciso, su cui non è possibile tollerare posizioni diverse: l’identificazione fra la sfera politico-civile e quella religiosa. L’elemento religioso è, per il mondo romano, garante del patto sociale. Espressione di questo vincolo è il culto della dea Roma e del Genio dell’Imperatore. Su questo aspetto lo Stato pretende il consenso esplicito dei suoi sudditi.
Il cristianesimo, con l’adorazione di un unico Dio, che viene presentato come infinitamente superiore a tutte le divinità pagane ritenute false ed inesistenti, appare subito come qualcosa di pericoloso. Si tratta di una proposta religiosa del tutto nuova, che si pone contro la tradizione religiosa romana e che rifiuta il culto dovuto agli dèi. In particolare il cristianesimo non accetta di considerare l’imperatore come una divinità, mettendo così in discussione uno dei cardini fondamentali dell’impero romano. L’inevitabile urto è dovuto anche al fatto che la concezione cristiana è quella di una religione non soggetta alla sfera politica, esattamente l’opposto di quanto si pensa a Roma, dove l’imperatore ha l’ultima parola anche in campo religioso e dove il potere civile vanta fondamenti religiosi.
I cristiani chiedono solamente di poter professare liberamente la propria religione e si dichiarano fedeli al precetto evangelico “date a Cesare quel che è di Cesare, e a Dio quel che è di Dio”, ma ben presto sono chiamati a scelte dolorose. Troppo diversi sono i valori dello Stato romano rispetto a quelli della nuova religione: l’impero romano apprezza la ricchezza, la forza, la potenza; il cristianesimo invece parla di amore, di povertà, di mitezza. L’impero romano ha affermato la propria superiorità e il proprio primato nell’area mediterranea grazie all’uso della violenza e alla forza del proprio esercito; il cristianesimo parla di fratellanza universale e ripudia la violenza.
La reazione delle autorità romane di fronte alla nuova religione, che preoccupa anche in considerazione del fatto che si diffonde sempre più, si sviluppa secondo due direttrici: la prima duramente repressiva, con violente persecuzioni; la seconda tesa a normalizzare i rapporti con i cristiani, riassorbendoli entro la realtà dell’impero. Nei primi secoli dopo Cristo periodicamente prevale l’una o l’altra di queste due posizioni, fino all’avvento al trono di Costantino che, con l’editto di Milano del 313, sancisce la libertà di culto per i cristiani.

La lettera a Diogneto
Uno scritto importante, proveniente forse dall’ambiente culturale alessandrino e databile tra la fine del II e gli inizi del III secolo, presenta un quadro esauriente in merito alla posizione dei cristiani nel mondo e al rapporto con l’autorità. Si tratta della lettera A Diogneto. L’autore afferma che i cristiani non costituiscono un popolo a se stante, appartato e chiuso, bensì inserito nella comunità, ai cui costumi e usi si uniformano e le cui leggi rispettano. Tuttavia per i cristiani l’orizzonte ultimo non è quello terreno, bensì quello celeste. I cristiani dunque vivono nel mondo, ma protesi verso qualcosa di più grande. Questo superamento delle realtà terrene, nei loro vari aspetti anche politici, sta a significare che per i cristiani vi è qualcosa di più importante dello Stato, a cui comunque cercano di essere fedeli.

Le accuse di Celso ai cristiani e la risposta di Origene
Contemporaneamente all’aggravarsi della situazione difensiva dell’impero, il potere imperiale, proprio negli ultimi anni del II secolo, interviene, tramite uno dei suoi maggiori esponenti, Celso, a richiamare i cristiani ad una più leale assunzione di responsabilità di fronte alle sempre più forti minacce che gravano lungo i confini. I cristiani sono accusati infatti di avere uno scarso senso dello Stato e una proclamata ostilità verso il servizio militare. Il grande teologo alessandrino Origene (morto nel 253) così riassume le accuse rivolte ai cristiani: “Celso ci esorta a recare aiuto all’imperatore con tutte le nostre forze e a collaborare con lui nelle giuste imprese, a combattere con lui, stare nel suo esercito, se egli lo esige, e militare insieme a lui”.
La risposta di Origene alle accuse di Celso arriva con l’opera Contra Celsum, quando nuovamente i cristiani sono presi di mira poiché sospettati di scarsa lealtà e fedeltà all’imperatore. I cristiani, per Origene, sono figli della pace e pertanto non sanno fare la guerra; il loro combattimento viene operato con le armi della preghiera. L’intervento di Origene certamente riassume in sé le posizioni diffuse da tempo all’interno della Chiesa.

La Chiesa delle origini di fronte al problema della guerra
Origene esprime una visione che, fino a Costantino, era condivisa nella Chiesa primitiva dai maggiori teologi e scrittori cristiani del tempo. Per Tertulliano, ad esempio, il mestiere del soldato non si differenzia da quello dei gladiatori e dei briganti; per Arnobio la vita militare non è tanto occasione di peccato, quanto il peccato stesso; per Lattanzio la pace è fonte di giustizia e di ogni bene, mentre la violenza e la guerra non fanno che appagare gli istinti più bassi; per Cipriano, vescovo di Cartagine, non vi può essere separazione fra morale pubblica e privata, chiamando delitto ciò che viene commesso dai singoli e invece atto di valore ciò che è compiuto per ordine dello Stato. Sintetizzando, possiamo dire con il prof. Remo Cacitti, uno dei maggiori studiosi di cristianesimo delle origini, che il cristiano, nel periodo che precedette la “svolta costantiniana” del 313, “ripudia la guerra tout-court, sostituendole l’immagine di una milizia celeste. L’unica guerra concepibile è quella contro il male; l’unico soldato concepibile è il cristiano sulla via della santità” . Si afferma così nel mondo antico una sorta di nonviolenza cristiana, che si connota in generale come scelta di non rendere mai male per male, come rifiuto assoluto di versare sangue umano, preferendo essere uccisi piuttosto che uccidere e infine, in particolare, come rifiuto di usare le armi contro altri uomini, ossia come una vera e propria obiezione di coscienza al servizio militare. Con l’editto di Milano del 313 vi sarà una svolta radicale: come ha scritto ancora il prof. Remo Cacitti, “il soldato cristiano non è più militante contro satana e il male, ma contro gli eretici e i barbari” .
L’avversione precostantiniana per la violenza e per il servizio militare è presente anche a livello disciplinare: nella Tradizione Apostolica, una delle più importanti costituzioni ecclesiastiche dell’antichità, datata tra la fine del II e gli inizi del III secolo, vi sono in merito parole molto chiare. Questo documento innanzitutto prende in considerazione il caso del soldato che durante il suo servizio si converte al cristianesimo e non può dimettersi dall’esercito. “Il soldato subalterno non uccida nessuno. Se riceve un ordine del genere, non lo esegua e non presti giuramento. Se non accetta tali condizioni sia rimandato” . Il soldato divenuto cristiano può pertanto continuare a prestare il proprio servizio sotto le armi, a condizione di astenersi dal compiere atti di violenza e dal mettere a morte qualcuno. Vi è qui la distinzione fra il militare, consentito ai soldati convertitosi durante il servizio, e il bellare, comunque proibito. Drastica è invece l’esclusione e la scomunica nei confronti dei catecumeni e dei fedeli che vogliono divenire soldati: “Il catecumeno e il fedele che vogliono dedicarsi alla vita militare siano mandati via perché hanno disprezzato Dio”.
La vicenda di Massimiliano di Tebessa, il giovane cristiano che si rifiuta di militare nell’esercito romano e che per questa sua obiezione di coscienza paga con la vita, si inserisce in questo contesto di Chiesa primitiva fortemente avverso alla guerra e allo stesso servizio militare. In terra africana, inoltre, il cristianesimo era divenuto un elemento catalizzatore di un’antica insofferenza nei confronti della presenza romana e raccoglieva attorno a sé diverse forme di resistenza al potere romano.

Anselmo Palini

PER SAPERNE DI PIÙ

• Anselmo Palini, I primi cristiani, la guerra, il servizio militare, in Pax Christi (a cura di), Comunità cristiane per una cultura di pace, Queriniana, Brescia 1983, pp. 33 – 57.
• Anselmo Palini, Massimiliano, un obiettore di coscienza nella Roma antica, in Testimoni della coscienza. Da Socrate ai nostri giorni, editrice Ave, Roma 2005 (seconda ristampa dicembre 2009), prefazione di Franco Cardini.
• R. Cacitti, Il cristianesimo primitivo di fronte al problema della guerra e del servizio militare, in “Vita e Pensiero”, 54/6 (1972), pp. 77 – 89.
• E. Pucciarelli, I cristiani e il servizio militare. Testimonianze dei primi tre secoli, Nardini, Firenze 1987.

Note

Anselmo Palini, coniugato, tre figli, vive e lavora in provincia di Brescia. È docente di Materie Letterarie nella Scuola Superiore. Nei suoi studi ha approfondito in particolare i temi della pace, dell’obiezione di coscienza, dei diritti umani e, più recentemente, le problematiche connesse con i totalitarismi nel XX secolo.
Fra i suoi ultimi libri, ricordiamo:
- Le carte dei diritti, editrice La Scuola, Brescia 2003;
- Testimoni della coscienza. Da Socrate ai nostri giorni, editrice Ave, Roma 2005(seconda ristampa 2009), prefazione di Franco Cardini;
- Voci di pace e di libertà. Nel secolo delle guerre e dei genocidi, editrice Ave, Roma 2007, prefazione di Paolo Giuntella;
- Primo Mazzolari. Un uomo libero, editrice Ave, Roma 2009 con postfazione di mons. Loris Capovilla.
Ha pubblicato inoltre articoli, saggi e inserti su varie riviste.

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    Fra i suoi ultimi libri, ricordiamo:
    - Le carte dei diritti, editrice La Scuola, Brescia 2003;
    - Testimoni della coscienza. Da Socrate ai nostri giorni, editrice Ave, Roma 2005(seconda ristampa 2009), prefazione di Franco Cardini;
    - Voci di pace e di libertà. Nel secolo delle guerre e dei genocidi, editrice Ave, Roma 2007, prefazione di Paolo Giuntella;
    - Primo Mazzolari. Un uomo libero, editrice Ave, Roma 2009 con postfazione di mons. Loris Capovilla.
    Ha pubblicato inoltre articoli, saggi e inserti su varie riviste.
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