Il Piano di azione nazionale per le energie rinnovabili

30 giugno 2010 - Roberto Merengalli

A metà giugno è apparsa, inaspettatamente visti i silenzi e i cronici ritardi del nostro Paese nel rispettare adempimenti esterni e interni, la bozza del Piano di azione nazionale per le energie rinnovabili (1).
Come a suo tempo avevamo segnalato (2), questo documento risponde a quanto stabilito dall’articolo 4 della direttiva europea 2009/28/CE, articolo che impone che gli Stati Membri notifichino alla Commissione, entro il 30 giugno 2010, il proprio piano d’azione nazionale che definisca gli obiettivi finali (e intermedi), nei tre settori dell’elettricità, del riscaldamento/raffrescamento e nei trasporti, le politiche nazionali e le misure da adottare per rispettare gli obiettivi richiesti dalla Direttiva. Ovvero la riduzione dei consumi del 20% entro il 2020, l’aumento della quota di energia prodotta con fonti rinnovabili del 20% e l’aumento del risparmio energetico sempre del 20% entro il 2020.
Si tratta di un testo importante e che doveva contenere anche la distribuzione degli obiettivi a livello regionale. Su quest’ultimo punto, la bozza presentata, sconta il primo fondamentale difetto poiché ignora totalmente il cosiddetto “burden sharing regionale” e non poteva essere diversamente poiché sinora il governo non ha avviato alcun dialogo al riguardo, anzi, nella legislazione recente ha introdotto norme fortemente contestate dalle amministrazioni regionali.
Il testo pubblicato pertanto costituisce una analisi tecnica redatta del ministero delle attività produttive e gli obiettivi definiti riportano al Position Paper presentato dal governo Prodi nel 2007.
Impossibile in poche righe analizzare un testo di 162 pagine, ci limiteremo a qualche nota.
Per prima cosa il documento, (che segue un template preparato dalla Commissione Europea), definisce la stima dei consumi finali del nostro Paese nel 2020 e quantifica la quota del 17% da coprire con fonti rinnovabili. In passato tale obiettivo era sempre stato bollato come irraggiungibile e il governo attuale, sollecitato da Confindustria, aveva persino tentato di rivedere (inutilmente), la quota italiana del 17%.
Ora l’obiettivo risulta raggiungibile e il governo riconosce che probabilmente nel 2020 i consumi finali non supereranno quota 145,6 Mtep (milioni di tonnellate equivalenti di petrolio) in uno scenario di riferimento, e 131 nello scenario di efficienza energetica richiesto dalla Direttiva, pertanto 131 Mtep è l’obiettivo italiano al 2020 (3).
Una previsione non azzardata poiché l’ENEA recentemente aveva stimato in soli 126 Mtep i consumi finali al 2020 in uno scenario di efficienza energetica (4).
Stabiliti i consumi, il Piano si pone di raggiungere l’obiettivo del 17% producendo 22,3 Mtep con le fonti rinnovabili, obiettivo non particolarmente ambizioso visto che risulta inferiore a quello del Position Paper governativo del 2007 che arrivava a 24,55 Mtep.
In effetti rispetto a quel documento nella generazione elettrica i target risultano più o meno simili (qualcosa meno nella potenza installata, qualcosa in più nel calcolo dell’energia elettrica generata), si prevede meno solare fotovoltaico (8.500 MW contro i 9.500 del Position Paper) e più eolico.
Eccessivo il ricorso alle importazioni quantificate nel documento in 13,3 TWh (più del doppio dei consumi totali del settore agricoltura nel 2008 tanto per avere un riferimento). Eccessivo soprattutto perché il governo ha già segnalato di voler procedere alle importazioni da Montenegro, Tunisia, Albania e Svizzera, ma per farlo dovrà realizzare gli opportuni collegamenti. Da notare che il solo collegamento fra Italia e Montenegro nel bilancio 2009 della società TERNA (preposta alla trasmissione in alta tensione e al dispacciamento), è preventivato con un costo pari a 760 milioni di euro. La rete elettrica italiana soffre di problemi di congestione e di insufficiente sviluppo in alcune zone del paese, problemi che da un lato impediscono gli allacciamenti di diversi impianti eolici nel sud e dall’altro contribuiscono a rendere elevato il costo dell’energia elettrica in Italia. Prima di investire in linee per l’import dall’estero sarebbe prioritario spendere denaro per risolvere questi problemi.
Sottostimate le potenzialità di sviluppo dell’energia termica. Il Piano parla di 9,52 Mtep, il documento del 2007 ne stimava 9,32 nel solo settore delle biomasse! E tale previsione era stata contestata per la sua timidezza. In effetti alcuni studi recenti hanno evidenziato come le FER termiche siano meno costose di quelle elettriche e come sia pertanto più conveniente investire su di esse per raggiungere il target europeo.
Amici della Terra, in base a valutazioni Enea, Itabia, Assolterm e Assotermica stima che col solare termico, pompe di calore e biocombustibili il potenziale al 2020 nel settore del riscaldamento sia di ben 16 Mtep (5).
Sottovalutato anche il ruolo del biogas prodotto con i reflui degli impianti zootecnici. Eppure l’Energy Report del marzo 2010 redatto dal Politecnico di Milano aveva sottolineato le potenzialità di questa risorsa, in un paese cha ha mezzo milione di veicoli a metano circolanti, ricordando l’esperienza tedesca al riguardo (Biomass Energy Report, pag. 107).
Ma aldilà di molte altre note tecniche che si potrebbero fare, le lacune del piano d’azione stanno proprio nelle azioni, poiché il documento non fa altro che elencare le azioni del passato e del presente in contesto in cui molte di queste sono messe in dubbio proprio dal governo, si pensi solo ai certificati verdi e alla detrazione del 55% per gli interventi di efficienza energetica. Mancano propositi concreti per risolvere l’enorme problema delle autorizzazioni: a sei anni dall’approvazione del d.lgs 387 non esistono ancora le linee guida nazionali per lo svolgimento del procedimento di autorizzazione di un impianto e le regioni che hanno cercato di stabilire proprie regole, in assenza di quelle del governo, hanno visto i loro testi bocciati dalla Corte Costituzionale, generando solo problemi e incertezze negli operatori.
In sostanza il Piano d’azione abbozzato risulta comprensibile solo considerandolo come un testo redatto da tecnici, non come un vero piano di sviluppo delle rinnovabili espressione della volontà politica di una maggioranza governativa.
Appena eletto, l’ex ministro Scajola aveva promesso la stesura di una strategia energetica nazionale, ma nonostante diversi annunci, ultimo in ordine cronologico quello di fine 2009 del capo dipartimento energia del ministero per lo sviluppo economico, Guido Bortoni, che aveva annunciato la redazione di un libro verde a cui sarebbe seguito un libro bianco (così come previsto nei procedimenti europei), nulla è stato fatto e il 12 aprile scorso, il sottosegretario Saglia aveva ammesso, in occasione di un dibattito, che siamo ancora all’inizio del processo (6).
Claudio Scajola non è più ministro ma nel frattempo il governo si è premurato di nominare un ministro del nulla piuttosto che trovare un suo sostituto in un dicastero di primaria importanza per il paese.
Peccato perché senza una chiara politica di indirizzo energetico si mortificano gli sforzi per ridurre sprechi ed inquinamento e creare una filiera industriale in grado di generare posti di lavoro e reddito.

Roberto Meregalli (Beati i costruttori di pace)
www.martinbuber.eu

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