Finanza globale: il bisogno di pulizia
Sono passati ormai più di quarant’anni da quando, nel 1962, il sociologo canadese Marshall Mc Luhan inventò una formula che ebbe straordinaria fortuna nell’analisi del mondo contemporaneo, parlando di “villaggio globale”. Egli descriveva un mondo fatto di comunicazione globale, contemporaneità degli eventi, uniformità di rituali, valori e modelli di comportamento: un miraggio, se solo guardiamo alla distanza impressionante fra i mezzi di comunicazione di allora e quelli di oggi. Ma Mc Luhan ebbe il merito di indicare una direzione e nel nostro tempo possiamo dire che la sua affermazione, “oggi indossiamo l’umanità come una seconda pelle”, non ci è poi così estranea: oggi ci troviamo nella piazza del villaggio globale di Mc Luhan… Tuttavia lo sguardo degli uomini di questo tempo si è fatto più disincantato e responsabile, e sa cogliere anche i pericoli e i limiti delle enormi trasformazioni che abbiamo vissuto.
In questo quadro la finanza internazionale è uno degli ambiti dell’agire economico nei quali maggiormente si è risentito del cambiamento. La velocità di tale mutamento, il ruolo che hanno assunto nel mercato finanziario le nuove tecnologie, la possibilità di effettuare un numero di operazioni per unità di tempo inimmaginabile solo alcuni anni fa rendono necessario un ripensamento sui meccanismi della nuova finanza internazionale e sulle sue conseguenze. E questo diventa più urgente da un lato se teniamo conto del fatto che “attualmente si calcola che lo stock di attività finanziarie ammonti a un valore triplo rispetto al PIL di tutti i Paesi industrializzati e pari a 19 volte il valore delle loro esportazioni” (M.G. Totola); e dall’altro se pensiamo alle spaventose ricadute delle crisi (come quella argentina o quella delle tigri asiatiche) o delle frodi (il caso Enron o il recentissimo caso Parmalat) che hanno interessato la finanza internazionale negli ultimi anni, colpendo soprattutto i soggetti più deboli ed esposti.
Il processo di finanziarizzazione dell’economia costituisce il carattere più vistoso di questo profondo cambiamento qualitativo dell’economia mondiale, ma ne costituisce allo stesso tempo l’aspetto più ambiguo e più preoccupante. Non a caso si sono sollevate le voci allarmate di numerosi economisti, da Sen a Stiglitz, a Latouche, perfino a Soros, che pur partendo da analisi e prospettive diverse concordano nel riconoscere i rischi che porta con sé un mercato finanziario anarchico e fuori controllo, nel quale si rischia di veder schizzare verso l’alto, ancora più di oggi, il profitto dei ricchi e di vedere schiacciati verso il basso o annullati i redditi dei poveri. A questo tema, scottante e urgente sul piano politico e su quello morale, sono dedicate le pagine di questo dossier, nella convinzione che non si può essere operatori di pace senza interrogarsi sulla legittimità e sulle implicazioni della nuova finanza internazionale.
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