Della Chiesa e della Lega
Egregio Dr. Valli,
Le scrivo per esprimerLe il mio grazie per il bell’articolo “Una proposta anticristiana” apparso sull’ultimo numero di Mosaico di Pace. È confortante che un cristiano vero come Lei abbia il coraggio (uso la parola “coraggio” a ragion veduta, perchè credo che oggi per dire la verità ci voglia coraggio) di scrivere queste cose.
Mi permetta però di aggiungere che anche la Chiesa ha qualche responsabilità per l’avvenuto sdoganamento della Lega e delle sue idee guida (si sta, nel suo piccolo, ripetendo quello che avvenne col fascismo e col nazismo?). La “resa” alla Lega, d’altronde – portatrice di valori cristiani, secondo qualche alto prelato!? – ben si inquadra nell’impostazione pre-conciliare che la nostra Chiesa sempre più va assumendo ormai da tempo
Partendo dalla Sua analisi, sulla quale concordo integralmente, vorrei quindi, se me lo permette, rubarLe un po’ del Suo tempo e pregarLa di leggere questa mail; se riterrà di arrivare fino alla fine, La ringrazio di cuore anticipatamente; mi scuso comunque per l’eventuale disturbo procuratoLe e spero che non mi giudichi presuntuoso: vorrei solo esporre delle considerazioni che a me pare meritino una qualche riflessione.
Perchè siamo arrivati a questo punto?
Personalmente, sono dell’avviso che possano aver avuto un’influenza non irrilevante i cambiamenti che ci sono stati nella Chiesa. Negli anni Sessanta/Settanta la Chiesa riteneva che tra i suoi compiti vi fosse anche quello di contribuire a creare una società meno ingiusta formando coscienze in grado di ragionare sui problemi della società alla luce del Vangelo; conseguentemente, numerosi politici cristianamente ispirati si impegnarono – seppur con alterna fortuna – in tal senso. Da qualche decennio, invece, non è più così; la Chiesa è cambiata e, conseguentemente, sono cambiati anche i sentimenti e i comportamenti dei credenti, a mio avviso in peggio.
Io ho ormai 61 anni e per mezzo secolo mi sono sempre sforzato di voler bene alla Chiesa – anche intesa come istituzione, perchè mi rendo ben conto che occorre anche l’istituzione; ma oggi continuare a volerle bene mi riesce più difficile perché questa Chiesa mi appare sempre più sostanzialmente diversa da quella nella quale sono cresciuto e sono maturato, quella bella, cara, generosa Chiesa del Concilio e degli anni immediatamente successivi alla sua chiusura: quella era una Chiesa – pur con tutti i suoi limiti, errori e difetti – partecipe della condizione umana, capace di amare il Signore e le persone e che – pur essendo sicuramente consapevole di essere portatrice di una verità extratemporale – si sentiva comunque nella stessa barca con gli uomini e le donne del Suo tempo. Questa, invece, mi sembra prevalentemente un’ istituzione attenta alla Legge più che al Soffio dello Spirito, in parte simile, nei comportamenti, a tutte le altre istituzioni mondane le quali, ovviamente ragionano con la logica del mondo: e anche noi, conseguentemente, privilegiamo spesso la logica del mondo!
Ricorda, invece, l’ idea di Chiesa che aveva Giovanni XXIII?
La Chiesa doveva essere come la fontana del villaggio di una volta, una fontana che offriva la sua acqua a tutti, indistintamente, senza discriminazioni e disinteressatamente, non per un calcolo opportunistico, ma per spianare la strada alla diffusione del Vangelo. L’ormai dimenticato, carissimo Papa Giovanni – che per cultura e formazione era, non dimentichiamolo, un “tradizionalista”, forse più di quanto lo fosse Papa Pacelli – ebbe l’intuizione di capire che, davanti a un mondo in rapida trasformazione, era necessario per la Chiesa abbandonare l’impronta anacronistica risalente al Concilio di Trento per cui conseguentemente – per citare solo qualche esempio – la libertà era una iattura, i giudei erano perfidi, le donne inaffidabili, la scienza un pericolo e le dittature, purchè cattoliche, un accettabile sistema di governo. Col Concilio ci sforzammo, quindi, di passare da una Chiesa prevalentemente “istituzione” a una Chiesa che fosse anche, come allora si era soliti dire, “popolo di Dio in cammino”, nella quale largo spazio avrebbe dovuto essere dato all’esercizio della carità e del servizio; non più una Chiesa “perfetta” – che probabilmente non è mai esistita – ma una Chiesa “sempre da riformare”.
Però, forse per il timore che la Chiesa stesse assumendo caratteristiche proprie delle confessioni protestanti, in questi ultimi decenni si è lentamente proceduto a continui aggiustamenti in senso preconciliare; così, senza essercene quasi resi conto, stiamo gradualmente, ma decisamente, tornando alla Chiesa di una volta: e così sono ormai scomparse le voci non pienamente allineate, il laicato ha assunto nuovamente un ruolo passivo, meramente esecutivo nei confronti della gerarchia, l’obbedienza è diventata di nuovo la virtù per eccellenza (“perinde ac cadaver”!), assieme al “silenzio”, e “il nuovo” qualcosa da cui doversi guardare, sempre e a prescindere: ci sentiamo continuamente sotto attacco, a volte a ragione, ma altre volte mi sembra che ci sia un po’ di esagerazione...
Ma quand’anche il ritorno al passato riempisse, cosa molto opinabile, di nuovo le Chiese, siamo sicuri, così operando, di fare la cosa giusta? La Chiesa del passato è stata – non solo, ma anche – quella delle crociate, dell’Inquisizione, dei tanti casi Galileo che si sono periodicamente ripetuti nel corso dei secoli, dei roghi, della religione che talvolta sconfinava nella magia, della lotta senza esclusione di colpi contro chiunque avesse un’opinione “diversa”, a qualsiasi titolo (e non serve dire che anche “gli altri” si sono macchiati di analoghe colpe: “gli altri” sono “altri”, noi avremmo dovuto – e dovremmo – comportarci in maniera diversa, perché siamo cristiani! E se così non fosse, quale sarebbe allora la differenza?).
Quella Chiesa era sicuramente riuscita a creare una società che poteva autoproclamarsi formalmente (solo formalmente, però!) cattolica – anche allora erano numerosi gli atei devoti – ed era essa stessa, indubbiamente, una Chiesa vincente dal punto di vista del mondo, “trionfante”; ma noi, oggi, in questo momento storico in particolare, è di una Chiesa “trionfante” che abbiamo bisogno?
Il “trionfo” non è sostanzialmente una categoria “mondana” e quindi, per certi aspetti, incompatibile con lo spirito del Vangelo?
E poi, questo continuo desiderio di ritorno al passato che ha caratterizzato gli ultimi decenni e i giorni nostri è forse servito a mitigare la crisi nella quale ci dibattiamo non - si badi bene - dagli anni successivi al Concilio - come sostengono i suoi abili ed influenti detrattori - bensì da molto tempo prima, come ben sa chiunque conosca un po’ di storia della Chiesa? Ed è da sognatori che vivono con la testa tra le nuvole pensare che se i semi del concilio fossero stati fatti liberamente fruttificare ci troveremmo ora a vivere in una Chiesa, e anche in un mondo, forse un po’migliori e con prospettive meno fosche di quelle che si stanno affacciando all’orizzonte?
E inoltre, anche volendo prescindere da giudizi di valore, come si può sperare di parlare efficacemente alla gente del 2010 utilizzando categorie culturali risalenti, magari, al Vaticano Primo e mettendo, nel contempo, in discussione teologi del calibro di Bernard Haring o Karl Rhaner, tanto per citare solo due nomi al di sopra di ogni sospetto?
La difficoltà di comunicazione che ormai caratterizza la nostra Chiesa non è, probabilmente, qualcosa di contingente, eventualmente connessa ai tanti gravi fenomeni che La vedono alla ribalta delle cronache di questi mesi, bensì qualcosa di strutturale – anche ai tempi di Papa Wojtyla la consonanza era più di facciata che di sostanza – forse originata dalla paura de “il nuovo” che L’ attanaglia da lungo tempo, (a partire dall’avvento della modernità, probabilmente) e che Le ha impedito fin’ora – a differenza di quello che era accaduto nelle epoche precedenti – di riuscire a “dare un’anima” all’Occidente moderno, che pure ne avrebbe gran bisogno.
Si dirà: ma se il mondo non L’ ascolta, non è forse perché vuole fare il comodo suo e trova, perciò, insopportabili i Suoi richiami? Sicuramente c’è una parte di verità in un’affermazione del genere; credo sia però anche verosimile ritenere che molte Sue proposizioni non vengano accettate non tanto per la loro gravosità quanto perché appaiono spesso poco comprensibili o con un labile legame con i postulati essenziali della Fede: in fondo, credo che siamo tutti d’accordo nel ritenere che è più agevole rispettare gran parte della precettistica ancora in vigore piuttosto che adottare stili di vita ispirati alle Beatitudini Evangeliche o al Giudizio Finale; stili di vita che per molti di noi – ove si decidesse effettivamente di farli propri – potrebbero risultare veramente ardui da praticare (pensi soltanto, per fare un esempio marginale, alla rinuncia alla gestione del potere per il mero gusto di esercitare il comando!); eppure l’insegnamento della Chiesa, quando viene svolto proponendo questi valori alti ed esigenti, viene generalmente apprezzato e accettato – anche da chi non crede – quanto meno in linea di principio, e non subisce quel rigetto pregiudiziale che dobbiamo, invece, registrare quando il magistero viene svolto mediante l’imposizione di una serie di precetti e di regole di cui non sempre è agevole comprendere la ratio: è solo perché si è perso il senso del peccato? Potrebbe anche essere vero, però dare sempre e solo questa risposta potrebbe pure essere una soluzione “comoda”, funzionale alla rinuncia ad affrontare, per esempio, la connessa questione dell’accettazione effettiva da parte della Chiesa della libertà di coscienza, che non significa, ovviamente, “diritto a fare come ti pare”, ma piena assunzione di responsabilità da parte della coscienza rettamente formata, come si suol dire. Ma questo è un discorso difficile e io non sono certo in grado di affrontarlo.
Chi fa queste considerazioni vuole forse insegnare alla Chiesa a fare il Suo “mestiere”? Ovviamente no, ma in ogni epoca la critica costruttiva del laicato è risultata spesso – anche se a volte, purtroppo, soltanto a posteriori – utile alla Chiesa stessa e ha permesso alla Parola del Vangelo di essere presente in ambienti e settori da cui altrimenti – se non ci fosse stato il pungolo dei laici – sarebbe scomparsa.
Comunque, pur avendo presente questi caveat, non credo si possa ridurre il problema solo al fatto che si vorrebbe una religione “comoda”, lassista, “fai da te”; è probabilmente vero, invece, che molti vorrebbero vivere la propria Fede con una maggiore consapevolezza e, soprattutto, apprezzerebbero che la predicazione fosse supportata da un comportamento coerente.
Per la verità, negli ultimi tempi si riconosce che il Male è anche nella Chiesa; speriamo, in proposito, che non si utilizzino metri di giudizio diversi a seconda che si tratti di movimenti o personaggi considerati “lontani” o “vicini”: cosa sarebbe successo se Maciel Degollado fosse stato, poniamo, un esponente della teologia della liberazione?
Mi rendo conto di aver abusato della Sua pazienza; ringraziandoLa quindi nuovamente per la Sua cortese disponibilità, Le invio cordiali saluti e spero che il Signore L’aiuti nel Suo lavoro.
Lucio Croce