Don Corazzina: "Io, prete, sul palco di Roma con la Cgil"
Non è il caso di scomodare Pepponi e don Camillo vari, ma di sicuro non è cosa di tutti i giorni vedere a un comizio sindacale della Cgil un prete. Eppure oggi a Roma avverrà proprio questo. Tra i relatori ufficiali della manifestazione nazionale della Cgil, che verrà conclusa dalla neo segretaria generale Susanna Camusso, ci sarà infatti anche Fabio Corazzina, parroco della chiesa di Santa Maria in Silva in città ed esponente di Pax Christi. Una presenza, la sua, fortemente voluta dalla segreteria nazionale del sindacato, un'occasione per tornare a parlare di immigrazione e lavoro nero. Già, don Fabio lavora quotidianamente su questi problemi e, insieme ad altri, è stato uno dei protagonisti della mediazione che una decina di giorni fa ha fatto in modo che i quattro migranti scendessero dalla gru di via San Faustino dopo 17 giorni di occupazione. Così ieri sera don Fabio, insieme a un altro migliaio di bresciani, è salito a bordo di uno dei venti pullman della Cgil per partecipare alla manifestazione.
Don Fabio, adesso diranno che è amico dei comunisti: non ha paura di sentirsi fuori casa?
«Non ho mai visssuto questa paura. Ognuno va accettato nella sua diversità: sono cristiano e credo nel Vangelo. E come ho imparato, il Vangelo mi porta a condividere alcuni cammini di liberazione con chiunque si incontra. Se dovessimo fermarci agli epiteti che ci cacciano addosso non saremmo mai partiti per nessuna conquista e non andremmo da nesssuna parte».
Ci racconta come è nata la sua partecipazione al comizio e alla manifestazione della Cgil?
«In realtà il tutto è nato in modo molto semplice: c'è stata la possibilità di condividere percorsi comuni su alcuni temi e partendo da qui sono nati momenti di dialogo e confronto, anche dialettico. Ed è da questi incontri che nasce l'invito reciproco. Oggi io sarò a Roma: mercoledì, in parrocchia, verrà invece Damiano Galletti (segretario generale della Camera del lavoro) e ragioneremo insieme partendo da un passo del Vangelo. E la settimana successiva ospiteremo e incontreremo Manlio Milani (il presidente della Casa della Memoria). Sono convinto che è attraverso il confronto che si costruisce il bene comune, l'alternativa è l'arroccarsi sempre di più sulle proprie posizioni».
San Giovanni è la piazza per eccellenza dei grandi comizi sindacali e politici: che cosa dirà al popolo della Cgil che scende in piazza per dire che “Il futuro è dei giovani e del lavoro”?
«Parlerò della città, di come lo sguardo dall'alto possa far sembrare tutto più tranquillo e calmo. Poi però arriva il momento in cui bisogna scendere e stare in mezzo ai problemi. Inevitabilmente, ci si deve sporcare con ingiustizia e illegalità. Dirò che non è sufficiente sbandierare la legge per affermare di essere nella legalità. Lo sapevamo che con la sanatoria del 2009 solo per colf e badanti, che con la legge Bossi Fini e il reato di clandestinità avremmo creato tanto dolore e disagio, ma abbiamo preferito non sentire e non metterci in ascolto».
Come dire: gli immigrati sono scesi dalla gru, ma i problemi che sono stati sollevati sono rimasti.
«È proprio così ed è l'esito di una città che è stata calpestata. Il tema è quello della convivenza comune: siamo passati dalla solidarietà alla società della paura e alla riduzione dei problemi a questioni di ordine pubblico, che è poi quello che ha prodotto la guerra preventiva a livello internazionale e la tolleranza zero a livello locale. Siamo passati dall'accoglienza alla discriminazione nei confronti di rom e sinti, alla cancellazione dei senza fissa dimora dai registri dell'anagrafe. Siamo passati dai diritti umani alla legge penale e questo fa sì che i soggetti siano soggetti di reato non perché hanno fatto qualcosa ma solo perché esistono. E poi parlerò anche di resistenza».
Di resistenza: in che senso?
«Ammiro le persone che resistono. Quelli che resistono con la ragione e l'intelligenza, che non semplificano mai i problemi che hanno di fronte. Quelli che resistono con amore per le persone concrete, con l'amore per la nonviolenza e senza pensare al calcolo personale. E quelli che resistono insieme, perchè è l'essere popolo che ci dà l'esperienza di giustizia e liberazione».
La gru di via San Faustino ha fatto scuola: in questi giorni vediamo studenti sui tetti delle università, in cima alla Torre di Pisa o alla Mole Antonelliana. Lo scorso anno c'erano stati gli operai della Insse: mettersi in cima a un tetto, a una gru, è rimasto l'unico modo per dare almeno visibilità al disagio?
«Anch'io leggendo le cronache degli ultimi giorni ho pensato questa cosa: c'è una mole enorme di sofferenza e di sensazione di disagio alla quale non riusciamo a dare il giusto peso. Credo dipenda anche questo dal fatto che non ci si mette in ascolto. Solo che fino a quando sono quattro stranieri non ci si preoccupa della cosa e si dice che “sono solo quattro stranieri”, poi si vede che ci sono anche insegnanti, studenti, operai e allora si comprende che c'è qualcosa che non funziona. Ci aspettano tempi delicati, almeno fino a quando si preferirà difendere gli interessi di pochi e non lavorare per il bene comune».