Un messaggio di giovani afghani per la morte del soldato italiano
Il primo gennaio 2011, ho partecipato a una maratona telefonica internazionale di 24 ore del tutto eccezionale. Un gruppo di giovani afghani, impegnati nella resistenza nonviolenta, insieme ad attivisti statunitensi, hanno organizzato una giornata per parlare con, ma sopratutto ascoltare, gli afghani, per conoscere le loro condizioni di vita a seguito di quasi 10 anni di guerra NATO.
Da Kabul, l’iniziativa “Caro Afghanistan” ha visto la partecipazione via telefono, skype, sms, email, facebook e twitter da tutto il mondo, da Nord e Sud America, Australia, Asia e Europa, inclusa Italia.
Le domande rivolte agli afgani hanno riguardato in particolare le giustificazioni date dai governi dei Paesi NATO per la loro presenza in Afghanistan, tra cui aiutare gli afghani e stabilizzare il Paese, migliorare la situazione delle donne e sconfiggere i talebani, nonché i progressi vantati da Stati Uniti e NATO.
I giovani afghani hanno ricordato che a seguito di quasi 10 anni di guerra e miliardi spesi, a dicembre la Croce Rossa Internazionale ha dichiarato in una rara conferenza stampa che la situazione in Afghanistan è la peggiore degli ultimi 30 anni. Il proseguimento della guerra e le politiche della NATO hanno portato all’aumento di gruppi armati e a un rapido deterioramento della sicurezza per la stragrande maggioranza degli afghani, come riportato anche nella relazione di novembre di 29 ONG impegnate in Afghanistan.
Per quanto riguarda le donne in Afghanistan, citando dati del ministero afghano per la salute, i ragazzi afghani hanno ricordato che solo nel 2010 sono 2300 le donne e le ragazze che si sono tolte la vita, e tra le principali cause la povertà, la continua violenza e la guerra.
Un intervento dal nord Italia, alla presenza di rifiugiati afgani, ha evidenziato la difficile situazione dei richiedenti asilo politico in Italia e in altri Paesi europei dopo essere stati costretti a lasciare il proprio Paese, un altro doloroso aspetto della guerra e un’altra violenza subita dalla popolazione afghana.
Quando toccava a me, ho parlato del soldato italiano morto il giorno precedente, notizia che dominava i media di fine anno in Italia, leggendogli anche alcune dichiarazioni di esponenti del governo. Hanno risposto, “chiaramente ci dispiace sapere del soldato morto e mandiamo le nostre più sentite condoglianze alla famiglia. Se ci fosse modo, vorremmo dare loro il nostro conforto. Però, è un errore per i politici parlare di sacrificio per la pace. La pace non può venire dalla guerra”.
A giugno 2010, l’annuale sondaggio “Transatlantic Trends” della Compagnia di San Paolo e del German Marshall Fund, condotto in 13 paesi NATO, ha rivelato che la maggioranza è per il ritiro delle truppe dall’Afghanistan; in Italia il 32% chiede il ritiro immediato e il 41% entro il 2011.
Questo modo comune di sentire dovrebbe diventare una forza per costringere i responsabili politici ad ascoltare l’appello dei giovani afghani, e il loro impegno per la pace, nonostante le pesantissime condizioni di vita, dovrebbe essere un esempio per tutti noi.