Cittadini di una sola famiglia umana

“Anche voi foste stranieri”. Per una cultura dell’altro.
4 febbraio 2011 - sac. Vittorio Nozza (direttore Caritas italiana)

Premessa
Coniugare ‘conoscenza e solidarietà’ per considerare, in modo corretto, il fenomeno dell’immigrazione. Tale tematica ha trovato ispirazione, in modo particolare, nella terza enciclica di Benedetto XVI: Caritas in veritate. Nell’oggi si sta sempre più affermando la convinzione che i problemi planetari – la povertà, la fame, l’ingiustizia, la guerra, la società multietnica – non richiedano impegno duro e faticoso per raggiungere soluzioni reali, ma sia preferibile rimuoverli, allontanarli da noi, seppellirli altrove.

È necessario e importante riflettere sul significato che può avere all’interno delle nostre società il contatto di persone dotate di cultura, mentalità e comportamenti differenti. Da tempo le nostre comunità e i nostri territori sono privi di omogeneità, tanto che le attività economiche, in quasi tutti i settori, sopravvivono ormai solo grazie all’apporto imprescindibile della mano d’opera straniera.

In ogni caso, sicurezza e immigrazione rimangono due problemi distinti. Oggi ad ostacolare un autentico clima di pace e sicurezza sociale è l’eccessiva disuguaglianza nei diritti e doveri delle persone che vivono e lavorano insieme, piuttosto che il mancato riconoscimento delle relative identità culturali. Si tratta pertanto di collocare le nostre società dentro una prospettiva che garantisca a tutte le persone, oltre la sicurezza e la legalità, eguale dignità di vita e di speranza.

Non si può pensare di alzare ‘muri’ per impedire l’ondata migratoria, quando nel cuore dell’Africa si muore: è naturale che chi fugge non tema nessun ostacolo. L’impressione è quella di trovarci di fronte ad una grande povertà culturale incapace di cogliere che gli immigrati per noi sono sì una ‘scomodità’. Ma una scomodità che fa crescere. Pertanto non c’è affatto bisogno di organizzare alcuni contro qualcuno ma c’è bisogno di organizzarci in tanti a favore di tutti, a favore di una convivenza corresponsabile, partecipata, costruttiva, giusta, fraterna e solidale.

Anche l’Agenzia europea per i diritti fondamentali ha sottolineato che la disinformazione e la scarsa consapevolezza sono fattori che fanno crescere facilmente il razzismo. Caritas e Migrantes invitano costantemente a non sottacere gli aspetti problematici che questo grande fenomeno sociale, culturale e religioso, quale è l’immigrazione, comporta, avendo però l’accortezza di non concentrarsi e chiudersi solo sugli aspetti negativi. Se ogni aspetto viene inserito opportunamente e realisticamente in un quadro d’insieme, si può arrivare a una visione equilibrata della realtà e, pur con l’avvertenza di raddrizzare ciò che non va bene, si matura un senso di riconoscenza nei confronti di persone che hanno lasciato il loro paese e spesso anche le loro famiglie, per cercare futuro attraverso il lavoro come collaboratrici nelle nostre famiglie o come lavoratori e lavoratrici nelle campagne, nell’edilizia, negli uffici e nelle fabbriche, dove noi italiani non bastiamo più.

Come giustamente gli italiani si attendono dagli immigrati disponibilità e riconoscenza, così gli immigrati attendono da noi un’accoglienza dal volto umano, un clima relazionale costruttivo che consenta agli adulti e ai loro figli di crescere in contesti di vita armoniosa e di diventare, al più presto, i nuovi cittadini d’Italia. È doveroso e realistico affermare che una molteplicità di azioni fatte di incontro, conoscenza e relazione possono creare e promuovere maggiore solidarietà ed integrazione.

Riflettere e confrontarci sui viaggi della speranza e sulle strategie dell’integrazione è uno straordinario test per capire di quale idea di società, di politica, di città, di comunità sociale e religiosa, (in una parola) di bene comune, noi siamo portatori. Tutto questo però impone un minimo di rigore intellettuale e la capacità di leggere complessivamente il fenomeno dell’immigrazione:
- non si può essere contemporaneamente per una società aperta, globalizzata e considerare di piena efficacia politiche di puro ordine pubblico che finiscono per avvitarsi in spirali di mera carcerizzazione;
- non si può esibire il tema dell’integrazione, non riflettendo contemporaneamente - soprattutto a partire dai territori - su cosa effettivamente comporta costruire e incrementare relazioni tra diversi, favorire fiducia tra diversi, accoglienza tra diversi nei quartieri, nei paesi, nei servizi.
Tutti noi sappiamo che i processi sociali e culturali sono lenti, hanno bisogno di cura, di accompagnamento, di costante aggiustamento del loro percorso e del loro svilupparsi. E chiunque ha il compito di occuparsene deve imparare i tratti di quella pazienza affettuosa, e se necessaria, severa che accompagna con cura lo sviluppo, la promozione e la crescita di una cultura dell’accoglienza, dell’integrazione e dell’intercultura. Non serve a nessuno l’occasionalità: dell’uno e dell’altro tipo.

1. COSA VEDO NEL FENOMENO DELL’IMMIGRAZIONE?
I Dossier Statistici Immigrazione ci hanno aiutato a cogliere il fenomeno dell’immigrazione su tre passaggi, evitando di prendere una parte per leggere il tutto:
1.1. Da IRREGOLARI a REGOLARI
I regolari sono circa 4milioni e 500mila (7,2% della popolazione); 2milioni di lavoratori (concorrono alla ricchezza Italia); 862mila minori (1/10 popolazione minorile in Italia); 630mila nelle scuole (il mondo in classe); 100mila ogni anno attuano ricongiungimento familiare; 72mila nati ogni anno; 40mila cittadini ogni anno; 24mila matrimoni misti tra italiani e stranieri; 6mila studenti neolaureati ogni anno.
1.2. Da DELINQUENTI a LAVORATORI
Si gioca molto sulla disinformazione e sul pregiudizio (6 italiani su 10 considerano gli stranieri più inclini a delinquere). La ricerca del Dossier e Redattore Sociale dimostra, dati alla mano, che non esiste un’emergenza criminalità. Aumentano gli immigrati ma non aumentano le denunce. Il tasso di attività è di 12 punti più elevato rispetto agli italiani. Impiegati in attività non desiderate: 100mila in agricoltura, 300mila in edilizia, 1milione circa nelle famiglie. 187mila titolari d’impresa (aumentati del 10% in un tempo di crisi economica).
1.3. Da LAVORATORI a CITTADINI
Una buona metà si trova in Italia da più di 5 anni, ciò è strumento fondamentale per un percorso di integrazione. Pagano annualmente 7miliardi di contributi previdenziali; pagano annualmente circa 4miliardi di tasse; incidono sulla spesa sociale (istruzione, pensione, sanità, …) solo per il 2,5%, circa la metà di quello che assicurano come gettito. Hanno una profonda stima per la storia, l’arte e la popolazione della nostra Italia. C’è molta stima e apprezzamento per la molteplice azione della Chiesa.
Gli aspetti salienti del fenomeno dell’immigrazione che devono interessare le progettualità riguardanti l’integrazione sul territorio nazionale sono essenzialmente questi:
 Una miriade di provenienze con prevalenza di europei.
Tra il 2000 e il 2008 gli immigrati provenienti dall’Est Europa sono aumentati (52,0%), mentre gli africani mantengono le posizioni raggiunte (23,2%), gli asiatici (16,1%) e gli americani (8,6%) perdono almeno un punto percentuale. La prima collettività, raddoppiata in due anni, è quella romena (624.741 residenti e, secondo la stima del Dossier, quasi 1 milione di soggiornanti), seguita da quella albanese (401.915) e marocchina (365.908): un poco al di sopra e un poco al di sotto delle 150 mila unità si collocano, rispettivamente, quelle cinese e ucraina. I cristiani sono circa la metà, i musulmani un terzo e, con numeri meno consistenti, seguono le altre religioni.

 Continua ad avanzare il processo di strutturalizzazione dell’immigrazione.
La strutturalizzazione va intesa come l’insieme di quei fattori che hanno reso l’immigrazione radicata nel paese. Ad esempio: numero rilevante, ritmo d’aumento sostenuto, incidenza sulla popolazione sempre più consistente, spiccato policentrismo etnico-culturale con collettività che arrivano da quasi tutti i paesi del mondo, distribuzione differenziata ma diffusa su tutto il territorio nazionale, normalizzazione dal punto di vista demografico con equilibrio tra uomini e donne, prevalenza dei coniugati, elevata incidenza dei minori, persistente fabbisogno di forza lavoro aggiuntiva, progetti migratori sempre più improntati alla stabilità, crescente richiesta di spazi adeguati di partecipazione.
 Principali caratteristiche della presenza: donne, minori, famiglie.
È continuato ad aumentare il peso delle donne immigrate, diventate seppur di poco la maggioranza, mentre sono ormai poche le regioni a prevalenza maschile. Nel 2008 sono nati 73.000 bambini da entrambi i genitori stranieri e, se si tiene anche conto dei minori che vengono per ricongiungimento, emerge che la popolazione minorile aumenta a un ritmo ben superiore alle 100.000 unità l’anno. I minori stranieri nel 2008 hanno superato abbondantemente le 800.000 unità. Essi concorrono alla notevole consistenza delle presenze per motivi familiari che, secondo un computo innovativo del Dossier, supera un terzo delle presenze totali.
 Una ripartizione territoriale disuguale ma a tutto campo.
La presenza degli immigrati è molto consistente al Nord (62,5%) mentre è più ridotta al Centro (25%) e ancora di più al Sud (12,5%). Queste percentuali, rimaste quasi invariate nell’ultimo triennio, indicano in maniera significativa la capacità ricettiva delle varie aree. Un crescente protagonismo spetta ai piccoli contesti urbani, dove la vita è più agevole anche sotto il profilo socio-economico. Man mano che si assesta il processo di insediamento residenziale, il Nord, con le sue maggiori opportunità occupazionali, attira un’ulteriore quota dalle regioni dal Meridione e anche dall’area romana.
 L’inserimento lavorativo.
Nel periodo 2005-2007 sono state presentate circa 1 milione e 500.000 domande di assunzione di lavoratori stranieri da parte dei datori di lavoro e delle famiglie: 251.000 nel 2005, 520.000 nel 2006 e 741.000 nel 2007, con una incidenza, rispetto alla popolazione straniera già residente, prima del 10%, poi del 20% e nel 2007 del 25% (ma addirittura del 33% rispetto ai lavoratori stranieri già occupati). I flussi registrati nell’ultimo decennio sono tra i più alti nella storia d’Italia, paragonabili - se non superiori - al consistente esodo verso l’estero degli italiani nel secondo dopoguerra. Per il 2009 non sono state fissate delle quote ma si è stati costretti a recuperare con la regolarizzazione di assistenti familiari e badanti. Le tipologie di inserimento evidenziano le diverse caratteristiche del territorio: nel Nord prevalgono il lavoro in azienda e il lavoro autonomo, nel Centro il lavoro autonomo e il lavoro in famiglia e nel Sud il lavoro in famiglia e il lavoro agricolo.

2. I NODI PROBLEMATICI DEI VIAGGI DELLA SPERANZA
Il come gestire la complessità delle società multiculturali è ormai un interrogativo al quale nessuno può sottrarsi. Ad oltre tre decenni dall’inizio dei primi flussi migratori verso il nostro paese, appare legittimo e urgente domandarsi quale sia la strada intrapresa verso l’integrazione e se, alla luce di quanto sta accadendo nei paesi europei di più lunga e massiccia immigrazione, stiamo percorrendo la strada giusta. Un modello nazionale di integrazione, se di modello si può parlare, è ancora lungi dall’essere individuato. Il percorso è denso di incognite, prima fra tutte la capacità da parte del sistema economico e sociale di mobilitare e coinvolgere, in un processo di inclusione e partecipazione, gli stessi cittadini italiani.
2.1. Alcuni elementi di complessità dei viaggi della speranza.
Per comprendere le difficoltà connesse all’integrazione, soprattutto se riferita ad alcune particolari categorie come i rifugiati e i richiedenti asilo, è comunque opportuno non trascurare alcuni elementi di complessità, che caratterizzano il quadro migratorio nazionale:
- La provenienza dei cittadini immigrati. Sono oggi rappresentati, in Italia, i cinque continenti con circa 200 nazionalità. Ne consegue un’accentuata diversificazione di culture e appartenenze, che rendono di fatto la nostra una società multiculturale e multietnica.
- La presenza di rifugiati, richiedenti asilo e vittime di situazioni di guerra. Sono categorie di immigrati che spesso non hanno potuto programmare la propria partenza dal paese di origine, con conseguenti difficoltà di inserimento nei paesi di destinazione.
- La condizione diffusa di irregolarità. L’attuale normativa non facilita l’ingresso e soprattutto la permanenza regolare di immigrati sul territorio nazionale per cui, molto spesso, anche chi entra in Italia attraverso vie legali si trova, successivamente, a cadere nell’irregolarità.
- La prevalenza di immigrati di prima generazione. Si tratta di persone partite con un progetto migratorio a breve o medio termine, spesso orientato a far ritorno dopo alcuni anni nel Paese di origine. Alcuni di essi, soprattutto in una fase iniziale, faticano ad attivare un processo di integrazione.
- La compresenza in continuo aumento della seconda generazione. I figli degli immigrati, nati in Italia o arrivati in tenera età, tendono ad identificarsi con i loro coetanei italiani e raramente immaginano il proprio futuro nel paese di origine dei genitori.
- La trasformazione dello stile di vita di alcune etnie di nomadi e la particolare situazione di emarginazione dei nomadi provenienti dalla Romania.

2.2. Alcuni nodi e problematiche dei viaggi della speranza.
Una riflessione sulle difficoltà a delineare un ‘modello nazionale’ di integrazione (accoglienza, solidarietà, legalità e sicurezza), prende inevitabilmente le mosse dall’individuazione di alcuni nodi e problematiche che hanno caratterizzato e continuano a caratterizzare il rapporto con la realtà dell’immigrazione in Italia.
a. I cosiddetti NODI POLITICI rinviano ad una cura e ad un governo dell’immigrazione che si sono dimostrati sino ad oggi poco lungimiranti.
- L’impegno dell’Unione Europea nel promuovere politiche comuni in materia di immigrazione e asilo, è ancora fortemente condizionato dalla scarsa volontà dei singoli Stati membri di attenuare la propria sovranità nazionale. Gli sforzi più significativi a livello europeo sono ancora rivolti verso un’armonizzazione delle politiche nazionali sugli ingressi e in tema di contrasto dei flussi irregolari.
- Le politiche sull’immigrazione, a distanza di alcuni decenni dall’inizio di questo fenomeno, sono anche in Italia ancora orientate principalmente verso l’emergenza, il contenimento e il controllo. Il fabbisogno di nuovi lavoratori immigrati e l’emergenza causata dal flusso di immigrati irregolari oscurano le situazioni di esclusione che si stanno consolidando tra le molte presenze ormai stabili e che, nelle forme più gravi, rischiano di diventare vere e proprie trappole di povertà.
- Negli ultimi anni ha continuato a pesare una condizione di precarietà esistenziale del cittadino immigrato e della sua famiglia in particolar modo nei primi anni di permanenza in Italia. Nel nostro paese si è assistito, infatti, a maggiori investimenti sul fronte dei rimpatri, piuttosto che su quello delle politiche di integrazione. Viene ritardato così il processo di partecipazione alla vita sociale, politica e culturale del paese anche a causa della preclusione ai cittadini stranieri al diritto di voto.
- Nel contempo si è rafforzata la strumentalizzazione politica dell’immigrazione. In molte occasioni, infatti, gli immigrati sono diventati ostaggi di una politica e di un informazione faziosa che ha preferito accentuare e generalizzare gli aspetti critici e problematici del fenomeno piuttosto che valorizzarne i punti di forza, condizione, questa, che rischia di consolidare nell’opinione pubblica una percezione negativa del migrante e della sua esperienza nel paese.
- In questo quadro si innestano politiche per l’integrazione deficitarie, per nulla meditate e pianificate sul lungo periodo. Si assiste, invece, ad una continua transizione in materia, ad un costante dibattito politico connotato da una profonda discontinuità e disomogeneità di approccio, sia a livello locale sia in termini di qualità e quantità degli interventi.

b. I NODI SOCIALI sono una diretta conseguenza di una politica deficitaria sull’immigrazione e più in generale si situano in un contesto socio economico che risulta insoddisfacente anche per buona parte della popolazione italiana.
- La percezione generalizzata nell‘opinione pubblica che l’immigrazione è di per sé un problema, che dà luogo in alcuni casi ad atteggiamenti di aperta ostilità, è talvolta alimentata da un’informazione incompleta e fuorviante da parte dei media.
- Il lavoro degli immigrati, che svolgono per lo più attività usuranti e mal retribuite e, spesso, nonostante ne abbiano i requisiti, senza un regolare contratto di lavoro; la riduzione, in non pochi casi, a vere e proprie forme di schiavitù, sia tra le mura domestiche che nei cantieri, nell’agricoltura o nei laboratori artigianali. In particolare il lavoro delle assistenti domiciliari e familiari, pur evidenziando ancora diversi aspetti critici, costituisce tuttavia una risorsa in termini di welfare e un’opportunità di incontro e di convivenza tra migranti e famiglie italiane.
- Gli ostacoli nell’accesso a lavori qualificati, sia per la difficoltà di far accertare il valore dei titoli e delle competenze acquisiti altrove, ma anche per mettere a frutto i diplomi ottenuti in Italia.
- La preclusione a molti figli di immigrati di carriere professionali qualificate, dovuta anche ad un percorso scolastico che in alcuni casi ne penalizza le effettive capacità di sviluppo.
- Il diffuso e pesante problema abitativo. La difficoltà a reperire alloggi, motivata spesso dalla non disponibilità dei proprietari verso gli stranieri e dall’obbligo amministrativo di adeguarsi a standard abitativi non richiesti ai cittadini italiani, costituisce, insieme alla nascita di veri e propri ghetti urbani in diverse città italiane, un’emergenza non più rinviabile.
- Il fenomeno della criminalità. Il necessario superamento dell’equazione immigrato uguale criminale, non deve far dimenticare che, comunque, una significativa percentuale di cittadini immigrati ha problemi con la giustizia. Nella stragrande maggioranza dei casi si tratta, però, di persone in posizione irregolare e per di più condannate per reati di lieve entità. Gli immigrati regolari delinquono percentualmente meno degli italiani.
- La valorizzazione del bagaglio culturale degli immigrati che raramente viene riconosciuto e che, al contrario, nel percorso di integrazione dell’immigrato può rivestire un ruolo fondamentale.
- La difficoltà dei servizi a occuparsi degli immigrati nel loro contesto familiare e sociale.
- I problemi di molte famiglie immigrate nell’affrontare e risolvere i conflitti tra gli stili di vita della cultura di origine con quelli della società di arrivo.
- La vulnerabilità fisica e psichica di alcuni immigrati, a causa delle difficili condizioni di vita, alla quale non corrisponde sempre un adeguato supporto sanitario.
- L’incontro tra fedeli di religioni diverse non è sempre connotato da atteggiamenti di apertura reciproca e dalla volontà di valorizzare l’importanza del dialogo interconfessionale e interreligioso.
- La presenza, tra gli immigrati - individui, famiglie e comunità - di sentimenti di frustrazione e di risentimenti per un’esistenza in molti casi precaria e lontana dalle loro aspettative. Questa situazione porta spesso a sentire in maniera ancora più penosa la nostalgia dei propri affetti e della propria terra.

In questo scenario diventa estremamente necessario un ‘pacchetto integrazione’ che rischia invece di passare in secondo piano rispetto alla sicurezza, quasi che i nostri problemi dipendano unicamente da quanti sono entrati in questi decenni nel territorio italiano. È ancora poco diffusa la convinzione che l’integrazione sia una prospettiva necessaria ad assicurare lo sviluppo del paese. Su questo versante molto resta da fare. Coniugare insieme accoglienza, legalità, testimonianza, dialogo sembra dunque essere l’imperativo dei prossimi anni. La ‘Carta dei Valori, della Cittadinanza e dell’Integrazione’, diffusa nel 2007 dal Ministero dell’Interno, sottolinea un preciso impegno da parte dell’Italia affinché ogni persona presente sul nostro territorio possa fruire dei diritti fondamentali, senza distinzione di sesso, etnia, religione, condizioni sociali e contemporaneamente chiede che ogni persona che vive in Italia rispetti i valori su cui poggia la società, i diritti degli altri, i doveri di solidarietà previsti dalle leggi. L’integrazione, dunque, va intesa come un processo impegnativo e di lunga durata, con molteplici componenti e fattori, che mira a stabilire tra tutti i membri di una società, migranti inclusi, relazioni su base di uguaglianza, di reciprocità e di responsabilità. Quali sono dunque i cardini capaci di favorire una graduale integrazione che promuova un futuro vivibile tra diversi?
3. QUALE INTEGRAZIONE POSSIBILE?
A partire da questo quadro migratorio, che evidenzia in Italia il persistere di una integrazione subalterna di tipo funzionale-utilitarista, ovvero un processo legato a doppio filo alla dimensione economica del migrante, è opportuno approfondire il significato e le prospettive di un approccio sociale e politico all’integrazione che intenda diventare contestualmente programma di azioni. Delle molteplici interpretazioni che sono state attribuite al termine integrazione, Caritas Italiana vuole proporre quella condivisa, costruita con Caritas Europa (47 Caritas nazionali in Europa) e contenuta nel Documento della stessa sull’integrazione che poggia su tre concetti chiave:
- il rispetto reciproco dei diritti fondamentali,
- l’uguaglianza tra le diverse presenze,
- la partecipazione e responsabilità.

a. L’integrazione è, dunque, innanzitutto una questione di relazioni tra persone di diverse appartenenze e identità che condividono lo stesso spazio fisico, sociale, religioso, amministrativo e politico. Non sono quindi le diverse culture che si incontrano o si scontrano, ma le persone che ne sono portatrici. D’altra parte, nessun essere umano oggi ha elaborato nel suo vissuto un’unica monolitica appartenenza, ma individui, gruppi e società sono incessantemente obbligati a confrontasi con orizzonti culturali, sociali e religiosi in continuo cambiamento.

b. L’integrazione è soprattutto un processo di tutta la società (e non solo di una parte di essa) che deve includere le dimensioni economica, sociale, politica e religiosa del fenomeno, senza le quali non si compie una vera integrazione. Non sono in primo luogo gli individui ad integrarsi nel proprio contesto, ma è il contesto in tutti i suoi aspetti relazionali, procedurali e organizzativi, che può rivelarsi più o meno integrato.

c. Il processo di integrazione coinvolge anche le diverse appartenenze - etniche, nazionali, religiose, politiche, professionali, ecc. - cui fa riferimento la persona nella propria esistenza. È quindi un processo che coinvolge gruppi portatori di specifiche identità, anche collettive che sono a loro volta costantemente sollecitate dal cambiamento, se non altro per la stessa evoluzione identitaria dei propri membri.

Conclusione
I processi sociali sono lenti, refrattari a pacchetti di provvedimenti, sicuramente spendibili sul piano del marketing politico, meno efficaci a produrre risultati immediati nei territori. Concludendo evidenzio alcuni criteri per politiche ragionevoli e verificabili che possano contribuire a contrastare degrado e insicurezza.
a) Leggere i fenomeni. I fenomeni vanno letti. A Firenze, a Roma, a Milano, … quanti sono i lavavetri? quanti sono stati i casi di aggressione ai semafori e quindi i lavavetri coinvolti? in quante zone della città? con quale livello di pericolosità per i cittadini? Se non si lavora a partire dai fenomeni effettivi, correttamente letti, non si trovano soluzioni durature, ma si enfatizza, si fa crescere il senso di insicurezza.
b) Sviluppare forme di concertazione tra istituzioni, servizi, soggetti sociali e reti territoriali. Pensare di affidare al solo intervento repressivo la lotta ai fenomeni di degrado è una semplificazione assolutamente irrealistica. Identificate le questioni da contrastare, solo un rapporto virtuoso con le realtà territoriali, in termini di confronto, verifica, sollecitazione, potenziamento di quanto è già presente, rende duraturo ed efficace un intervento.
c) Educare e promuovere responsabilità diffusa. Le politiche che hanno la pretesa di incidere sulla qualità della vita a livello locale o passano anche come contenuti dentro la quotidianità delle agenzie educative del territorio o rimangono inefficaci. Scuola, associazionismo, comunità cristiane, famiglie debbono essere sollecitati e coinvolti nelle forme e nei modi dovuti e sviluppando tutte le sinergie possibili.
d) Rafforzare la credibilità e l’efficacia delle istituzioni. Chi in questi giorni ha sostenuto la necessità di tenere presenti anche altre priorità non ha torto. Se lo ‘stato’ in un quartiere periferico di una grande città è una scuola semidiroccata, servizi introvabili, inaccessibili e inesistenti o una rara e fugace pattuglia di polizia, quale credibilità hanno eventuali pacchetti sicurezza? Non si tratta di rinviare ogni cambiamento a irraggiungibili riforme strutturali, ma di tenere sempre presente i diversi livelli delle questioni, con una capacità di interconnessione dei fenomeni.
Se non si lavora per la costruzione di comunità territoriali innanzitutto coese, capaci di relazioni positive, rafforzando e non dilapidando il capitale sociale e la preziosa eredità di reti di fiducia esistenti, parallelamente alla costruzione di forme di protezione sociale adeguate a questo tempo, la sindrome dell’insicurezza e del degrado sarà destinata a crescere e l’integrazione ad allontanarsi sempre più.

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