Le religioni nel Mediterraneo:
[Convegno “Il Mediterraneo e le città” / Firenze 15-17 maggio 2011, promosso dalla Fondazione Giovanni Paolo II, nell’ambito di “Colloquia Mediterranea”]
La domanda se le religioni rappresentino un problema o una risorsa rispetto alla pace si pone, potremmo dire, da generazioni.
Abbiamo tutti in mente le terribili guerre, giustificate da motivi religiosi, che hanno insanguinato il mediterraneo e non solo, specialmente da quando si è andata consumando la crisi di egemonia dell’impero romano nel “Mare Nostrum”.
Ma in fondo, per certi versi, esse possono essere considerate come effetti dell’onda lunga di quella guerra molto particolare tra Roma e Gerusalemme, che si concluse con la tragica distruzione del secondo Tempio da parte delle armate di Tito. Come sappiamo, quella tumultuosa onda lunga ancora oggi non è sufficientemente sedata.
Le ragioni di questo apparente paradosso tra la dedizione alla preghiera, con l’apertura ad un Mistero più grande che questa implica, e la pulsione a eliminare l’altro in quanto “contrario”, imboccando spirali di odio e di violenza difficilmente contenibili, sono complesse e solo in parte comprensibili e identificabili.
Quale peso può avere, sotto questo aspetto, il bisogno di certezze assolute che dovrebbero sorreggere la precarietà nella quale si muove l’esistenza personale? Fino a che punto l’intransigenza che spesso ne deriva può tollerare e perciò ammettere approcci e rappresentazioni differenti dei significati della vita e delle relazioni che la sfidano?
Non credo, pertanto, che dovremmo sorprenderci più di tanto, per quanto ciò ci provochi sconcerto e tristezza, della quantità ed intensità dei conflitti all’interno delle religioni, tra le religioni e, a partire dagli ultimi due secoli e mezzo, soprattutto in Europa, tra religione e “laicité”, quella laicité esplosa proprio nella Francia tormentata sin dal medio evo da guerre di religione o in nome della religione, nelle quali è stata coinvolta sia all’estero sia in patria.
Fortunatamente, però, la storia dei rapporti tra le religioni nei secoli passati non è segnata solo da guerre e da oppressione o eliminazione delle minoranze esterne o interne, ma anche da rispetto, accordo e fecondazione spirituale e culturale reciproca che hanno, in più occasioni, arginato dinamiche distruttive alimentate dalle “fisiologiche” diffidenze, dai pregiudizi e dalle paure.
A proposito delle paure, permettetemi una breve digressione: in alcuni interventi di ieri sono stati più di una volta evocate paura e chiusura egoistica, delle quali è stata accusata l’Europa rispetto alle sfide poste dagli squilibri che rendono instabile la convivenza nel Mediterraneo; vorrei proporre, da parte mia, un approccio diverso, direi più realistico, nei confronti delle paure, che se ne lasci interpellare in profondità e le affronti non con la condanna e la rimozione, ma con un responsabile spirito “terapeutico”, faticoso sì, ma costruttivo .
Venendo agli avvenimenti che da alcuni mesi stanno sconvolgendo il versante sud del Mediterraneo, direi che si è fatto ancora più urgente l’interrogativo se le religioni siano un problema o una risorsa per la pace in quest’area.
Personalmente, ritengo che non si possano pretendere risposte univoche; mi sembra piuttosto che le religioni rappresentino sia un problema sia una potenziale risorsa per futuri assetti più pacifici e più stabili.
Se gli esiti di quanto si è messo in moto tra nord Africa e paesi arabi a maggioranza musulmana del Medio Oriente non sono prevedibili per la molteplicità e le grandi differenze di identità e di motivazioni degli attori in gioco, possiamo dire, d’altra parte, che esiste anche l’imprevedibilità del ruolo e del peso che avranno le forze già impegnate da tempo o che si impegneranno in futuro a tessere trame di incontro e di riconciliazione; questa imprevedibilità può essere influenzata anche da quanto potranno seminare incontri come questo che, con il suo tema “Il Mediterraneo e le città”, mette al centro la grande sfida del vivere insieme, avendo come orizzonte la libertà, il pluralismo e una sicurezza condivisa e solidale; in questa direzione, concorderete che la via maestra risiede nell’impegno permanente per la giustizia, requisito essenziale per trascorrere la vita come benedizione, piuttosto che come fuga dalle paure.
Se in passato le religioni sono state prevalentemente un fattore di rischio per la pace tra i popoli del Mediterraneo (basti ricordare che forse per secoli l’aggettivo più usato nel suo bacino è stato quello di “infedeli” lanciato reciprocamente senza risparmio), oggi ci troviamo in una fase nuova nella quale non è certo diventato tutto facile nei rapporti tra le religioni, ma ci sono indubbiamente occasioni più favorevoli per l’incontro e l’azione comune contro la povertà e per i diritti umani, grazie al fatto che alla disistima reciproca e a relazioni da “guerra fredda “è subentrata progressivamente la consapevolezza della responsabilità nei confronti del dialogo e della cooperazione per la giustizia e la pace, come espressione visibile di un operare ispirato dall’unità profonda con il mistero della Presenza Divina che ci chiama in vita e ci accomuna.
Preparata per anni e anni dal lavoro non proprio così facile di molti uomini e donne, che hanno avuto la fortuna di riconoscere il valore imprescindibile della giustizia e praticarla, è arrivata la data storica di una svolta irreversibile della quale quest’anno ricordiamo il 25° e, cioè, l’incontro di preghiera per la Pace di Assisi, avvenuto il 27 ottobre 1986, quando leaders delle varie religioni arrivarono da molte parti del mondo in risposta all’invito di Giovanni Paolo II per invocare la nascita di un’alba nuova, dopo la tragica lunga notte dei totalitarismi disumani e delle guerre mondiali (e in quest’ambito degli orrori della Shoah e di Hiroshima e Nagasaki), e per impegnarsi insieme per la pace.
In soli pochi anni questa dinamica di responsabilità condivisa verso la vita di tutti gli uomini e il creato nel suo complesso è andata crescendo e ha dato già grandi frutti.
Voi stessi, amici della “Fondazione Giovanni Paolo II” siete uno di questi e attraverso le vostre opere, tra le quali questo meraviglioso incontro che avete organizzato e che stiamo vivendo con voi in questi giorni, tenete vivo il nome di un profeta dei tempi nuovi, testimone di speranza e operatore di pace, quale papa Karol Wojtyla, che ha guardato con amicizia ogni persona che ha incontrato nel suo lungo percorso umano ed è stato ricambiato da un amore e da una gratitudine forse senza precedenti, che lo hanno molto aiutato nei durissimi momenti di prova che ha dovuto affrontare.
Questo nuovo corso, iniziato visibilmente in quel primo incontro di Assisi, non farà certo sparire i conflitti nel Mediterraneo né altrove una volta per tutte, ma ci renderà più forti e più capaci di “prenderci cura” delle violenze e dei conflitti anche nelle nostre città mediterranee.
Roma, 14/05/11