In una terra ospitale, educhiamo all'accoglienza
Il tema della 6ª Giornata per la salvaguardia del creato è assai significativo nel contesto del dibattito ecclesiale e culturale odierno. Esso si articola in quattro punti, in continuità con l’argomento trattato l’anno passato, Custodire il creato, per coltivare la pace, nella linea degli Orientamenti pastorali dell’Episcopato italiano per il decennio corrente: “La comunità cristiana offre il suo contributo e sollecita quello di tutti perché la società diventi sempre più terreno favorevole all’educazione. Favorendo condizioni e stili di vita sani e rispettosi dei valori, è possibile promuovere lo sviluppo integrale della persona, educare all’accoglienza dell’altro e al discernimento della verità, alla solidarietà e al senso della festa, alla sobrietà e alla custodia del creato, alla mondialità e alla pace, alla legalità, alla responsabilità etica nell’economia e all’uso saggio delle tecnologie” (Educare alla vita buona del Vangelo, n. 50).
La Giornata diventa così occasione di un’ulteriore immersione nella storia, per ritrovare le radici della solidarietà, partendo da Dio, che creò l’uomo a sua immagine e somiglianza, con il mandato di fare della terra un giardino accogliente, che rispecchi il cielo e prolunghi l’opera della creazione (cfr Gen 2,8-15).
1. L’uomo, creatura responsabile e ospitale
La Sacra Scrittura, infatti, narra che l’uomo venne posto da Dio nel giardino di Eden, perché lo coltivasse e lo custodisse. Affidandogli la terra, Dio gli consegnò, in qualche modo, tutta la sua gratuità. L’uomo diventa così la creatura chiamata a realizzare il disegno divino di governare il mondo nello stile della gratuità, con santità e giustizia (cfr 9,2-3), fino a giungere alla meta di riconoscersi, per grazia, figlio adottivo in Gesù Cristo (cfr Ef 1,5).
Accogliendo l’intero creato come dono gratuito di Dio e agendo in esso nello stile della gratuità, l’uomo diviene egli stesso autentico spazio di ospitalità: finalmente idoneo e capace di accogliere ogni altro essere umano come un fratello, perché l’amore di Dio effuso dallo Spirito nel suo cuore lo rende capace di amore e di perdono, di rinuncia a se stesso, “di accoglienza del prossimo, di giustizia e di pace” (Benedetto XVI, Caritas in veritate, n. 79).
È il cuore dell’uomo, infatti, che deve essere formato all’accoglienza, anzitutto della vita in se stessa, fino all’incontro e all’accoglienza di ogni esistenza concreta, senza mai respingere qualcuno dei propri fratelli. Il Santo Padre ci ricorda che: “se si perde la sensibilità personale e sociale verso l’accoglienza di una nuova vita, anche altre forme di accoglienza utili alla vita sociale si inaridiscono. L’accoglienza della vita tempra le energie morali e rende capaci di aiuto reciproco” (Caritas in veritate, n. 28).
L’ospitalità diventa così, in un certo senso, la misura concreta dello sviluppo umano, la virtù che getta il seme della solidarietà nel tessuto della società, il parametro interiore ed esteriore del disegno dell’amore che rivela il volto di Dio Padre. Diventando ospitale, l’uomo riconosce con i fatti a ogni persona il diritto a sentirsi di casa nel cuore stesso di Dio.
2. Il problema dei rifugiati ambientali.
In questa delicata stagione del mondo il tema dell’ospitalità richiama con drammatica urgenza le dinamiche delle migrazioni internazionali, nel loro legame con la questione ambientale. Sono sempre più numerosi, oggi, gli uomini e le donne costretti ad abbandonare la loro terra d’origine per motivi legati, più o meno direttamente, al degrado dell’ambiente. È la terra stessa, infatti, che – divenuta inospitale a motivo del mancato accesso all’acqua, al cibo, alle foreste e all’energia, come pure dell’inquinamento e dei disastri naturali – genera i cosiddetti “rifugiati ambientali”. Si tratta di un fenomeno che può avere una dimensione nazionale, laddove gli spostamenti avvengano all’interno di un Paese o di una regione; ma che si caratterizza sempre più spesso per la portata globale, con migrazioni che interessano talvolta popoli interi, sospinti dagli eventi a spostarsi in terre lontane.
In questo processo gioca un ruolo non trascurabile il mutamento del clima, che attraverso la variazione repentina e non sempre prevedibile delle sue fasce, rischia di intaccare l’abitabilità di intere aree del pianeta e di incrementare, di conseguenza, i flussi migratori.
Per quanto sia possibile prevedere, non si è lontani dal vero immaginando che entro la metà di questo secolo il numero dei profughi ambientali potrà raggiungere i duecento milioni.
Si comprende bene, allora, il senso dell’accorato richiamo del Papa nel Messaggio per la giornata della pace dell’anno 2010: “Come rimanere indifferenti di fronte alle problematiche che derivano da fenomeni quali i cambiamenti climatici, la desertificazione, il degrado e la perdita di produttività di vaste aree agricole, l’inquinamento dei fiumi e delle falde acquifere, la perdita della biodiversità, l’aumento di eventi naturali estremi, il disboscamento delle aree equatoriali e tropicali? Come trascurare il crescente fenomeno dei cosiddetti ‘profughi ambientali’: persone che, a causa del degrado dell’ambiente in cui vivono, lo devono lasciare – spesso insieme ai loro beni – per affrontare i pericoli e le incognite di uno spostamento forzato?” (n. 4)
3.Educare all’accoglienza
È questo lo scenario cosmico e umano dentro il quale la Chiesa è chiamata oggi a rendere presente il mistero della presenza di Cristo, via, verità e vita, riproponendone con forza il messaggio di solidarietà e di pace. Attraverso la sua opera educativa, “la Chiesa intende essere testimone dell’amore di Dio nell’offerta di se stessa; nell’accoglienza del povero e del bisognoso; nell’impegno per un mondo più giusto, pacifico e solidale; nella difesa coraggiosa e profetica della vita e dei diritti di ogni donna e di ogni uomo, in particolare di chi è straniero, immigrato ed emarginato; nella custodia di tutte le creature e nella salvaguardia del creato” (Educare alla vita buona del Vangelo, n. 24).
Ecco perché educare all’accoglienza a partire dalla custodia del creato significa condurre gli uomini lungo un triplice sentiero: quello, anzitutto, di coltivare un atteggiamento di gratitudine a Dio per il dono del creato; quello, poi, di vivere personalmente la responsabilità di rendere sempre più bella la creazione; quello, infine, di essere, sull’esempio di Cristo, testimoni autentici di gratuità e di servizio nei confronti di ogni persona umana. È così che la custodia del creato, autentica scuola dell’accoglienza, permette l’incontro tra le diverse culture, fra i diversi popoli e perfino, nel rispetto della identità di ciascuno, fra le diverse religioni, e conduce tutti a crescere nella reciproca conoscenza, nel dialogo fraterno, nella collaborazione più piena.
Ciò può realizzarsi senza mai dimenticare la necessità che la Chiesa, con il coraggio della parola e l’umiltà della testimonianza, continui a proclamare che è proprio Gesù Cristo, il Verbo di Dio fatto carne, la presenza profonda che permette il disvelarsi del disegno di Dio sull’uomo e sul cosmo, perché “tutto è stato fatto per mezzo di lui e senza di lui nulla è stato fatto di ciò che esiste” (Gv 1,3). È in Cristo che la solidarietà diventa reciprocità, esercizio di amore fraterno, gara nella stima vicendevole, custodia dell’identità e della dignità di ciascuno, stimolo al cambiamento nel vivere sociale.
È consolante rilevare come, sull’insieme di questi temi, le diverse Chiese e comunità cristiane abbiano raggiunto una significativa sintonia: il mondo ortodosso, a partire dal Patriarcato ecumenico, ha dedicato al problema della salvaguardia responsabile del creato documenti, momenti di riflessione ed iniziative; le diverse denominazioni evangeliche condividono la preoccupazione per l’uso equo e solidale delle risorse della terra, in un impegno concreto e fattivo. Tutte convergono nella sollecitudine verso i più poveri, verso le vittime delle guerre, dei disastri ambientali e della ingiusta distribuzione dei frutti della terra.
La Giornata per la salvaguardia del creato si conferma, così, anche una felice occasione di incontro ecumenico, che mostra come il dialogo fra i credenti in Cristo salvatore non si limiti al confronto teologico, ma tocchi il comune impegno per le sorti dell’umanità.
Tutti siamo chiamati a cooperare perché le risorse ambientali siano preservate dallo spreco, dall’inquinamento, dalla mercificazione e dall’appropriazione da parte di pochi. Il fatto che, in questo sforzo condiviso, le Chiese riescano a parlare con una voce sola, rappresenta una grande testimonianza cristiana, che rende di sicuro più credibile l’annuncio del Vangelo nel mondo di oggi.
4.I miti, eredi di questo mondo
“Beati i miti, perché avranno in eredità la terra” (Mt 5,5). Sentirsi custodi gli uni degli altri è l’effetto dinamico dell’essere dono nell’accoglienza. Sappiamo, però, che la mitezza coincide con la purezza del cuore: uno stile di vita e di relazioni a cui il cristiano aspira, perché in esso arde la pienezza dell’umiltà contro la prevaricazione e l’egoismo. Sono i miti i veri difensori del creato, perché amano quanto il Padre ha creato per la loro sussistenza e la loro felicità.
Dio infatti “ha creato il mondo per manifestare e per comunicare la sua gloria, in modo che le sue creature abbiano parte alla sua verità, alla sua bontà, alla sua bellezza: ecco la gloria per la quale Dio le ha create” (Catechismo della Chiesa cattolica, n. 319).
Tutti abbiamo bisogno di Dio: riconoscendoci opera delle sue mani, sue creature, siamo invitati a custodire il mondo che ci ha affidato, perché, condividendo le risorse della terra, esse si moltiplichino, consentendo a ogni persona di condurre un’esistenza dignitosa
Roma, 12 giugno 2011
Solennità di Pentecoste
La Commissione episcopale per i problemi sociali e il lavoro, la giustizia e la pace
La Commissione episcopale per l'ecumenismo e il dialogo