Quella suora violentata
Dopo cinque anni è arrivata la sentenza del tribunale di Cosenza con la quale un frate, padre Fedele Bisceglia, è stato dichiarato colpevole e condannato a nove anni e tre mesi di reclusione per violenza sessuale contro una suora francescana in una casa di accoglienza.
Del caso avevo scritto su queste pagine giornale il 14 febbraio 2006 visto che la suora che ha denunciato la violenza è siciliana, originaria di Barcellona-Pozzo di Gotto, in provincia di Messina. Si tratta di una donna stimata per il suo impegno e la sua serietà. Di una suora, buona e semplice, che allora aveva trovato la forza di denunciare le violenze subite.
In situazioni analoghe, come nel caso della pedofilia, nel mondo religioso la tendenza per molto tempo è stata quella di tacere, di sopportare, di nascondere. La strada scelta è stata quella di provvedere a proteggere la vittima soltanto con un trasferimento in un’altra località lontana. Ma non si è il sentito il dovere di denunciare il grave reato alle autorità civili.
Un malinteso senso dell’amore o del perdono ha spinto a tacere e ad andare avanti. Per evitare il rischio di uno scandalo pubblico, per difendere il buon nome dell’istituzione ecclesiastica, i responsabili religiosi hanno preferito per molto tempo accontentarsi di un richiamo verbale invece di seguire la via della denuncia alla magistratura.
Per questo quando la suora nel 2006 ha denunciato le violenze è stata una sorpresa. E, così, in una logica maschilista e clericale, non si sono elevate molte voci pubbliche interne alla Chiesa a difesa della sua dignità di donna-suora. Solo la sua Congregazione religiosa le ha dato forza, fiducia, protezione, coraggio di resistere e di andare avanti.
Allora scrivevo che sarebbe che sarebbe bello se da Palermo o dalla Sicilia fosse partita una lettera pubblica di vicinanza scritta da altre suore siciliane o dagli organismi che le rappresentano indirizzata alla suora di Pozzo di Gotto. Al di là dei risvolti giudiziari, quello poteva essere un gesto evangelico, da buon samaritano senza girarsi dall’altra parte come il levita della parabola evangelica, per aiutare quella donna ad alzarsi e a curare le ferite più in fretta. Aiutando lei si aveva l’occasione per prendere posizione a favore di tutte le altre donne che subiscono violenze, incoraggiandole a resistere e ad uscire dal silenzio. Quella lettera non è arrivata ieri. Potrebbe arrivare oggi?
Chi è rimasto accanto alla suora siciliana anche oggi sono le suore della sua Congregazione delle Francescane dei poveri. In un comunicato hanno scritto che la sentenza rappresenta un grande sollievo per «tutte le donne immigrate coinvolte come vittime in questa triste vicenda». E’ importante sottolineare che le Francescane dei poveri, come si afferma nel comunicato, sentono di essere oggi « chiamate ad ascoltare il grido dei più vulnerabili e la nostra suora ha trovato il coraggio di denunciare, proprio a sostegno delle altre donne, che si trovavano nella stessa situazione di abuso».
Si tratta di parole importanti, segno della nascita di una coscienza “politica” tra le suore. Si tratta di parole che sono anche segno di un cambiamento che sta avvenendo, seppure lentamente, all’interno della Chiesa, a partire dal basso. Le Francescane dei poveri sentono di dover ringraziare la loro suora perché attraverso il suo coraggio ha «aperto ancora di più gli occhi e il cuore sulla drammatica situazione in cui versano tante donne vittime di violenze di ogni genere». Si tratta di espressioni profetiche da condividere pienamente, nella speranza che servano davvero ad uscire dalla logica che per decenni ha portato a preferire il salvaguardare l’immagine dell’istituzione ecclesiastica, pur sapendo che era in corso probabilmente la reiterazione di reati gravissimi, piuttosto che salvaguardare la vita delle vittime piccole e grandi.