Abbiamo bisogno degli altri per trovare pace
Il codice genetico di ogni persona è organizzato per la vita sociale. Da sempre, o quasi, l’uomo ha vissuto in tribù di 30 o 40 persone, cioè, sin dai primordi della storia umana, ha avuto bisogno degli altri. Questi ultimi hanno svolto l’inconsapevole funzione calmieratrice delle pulsioni del singolo, soprattutto quando il singolo attraversava, anche in quell’epoca, i normali stati d’animo legati a preoccupazioni, ansie, pericoli, minacce o paure. Quindi, la situazione moderna d’isolamento di ognuno o di ogni nucleo familiare, che comporta il confinamento nelle quattro pareti di una camera o di un appartamento, crea inevitabilmente uno squilibrio nel cervello. C’è bisogno di un lavoro particolare, fino a entrare un po’ nei meandri del nostro cervello, per conoscerlo meglio e spiegarci perché ci comportiamo in un certo modo piuttosto che in un altro in date situazioni. Lavoro che si rivela prezioso, per adattarci meglio alla situazione di isolamento in cui il cosiddetto progresso sembra averci relegato, altrimenti rischiamo di divenire spettatori indignati o rassegnati di scene di violenza sempre più efferate.
Che cosa ci succede quando siamo soli o quando ne abbiamo la sola percezione? Succede che il nostro flusso di coscienza, inteso come ininterrotta attività della nostra coscienza, è attraversato da pensieri intimi e questi pensieri sono automatici, si ripetono, sono intimamente connessi alle nostre emozioni e rappresentano il nostro sé profondo. Spesso questa sequenza di pensieri ripetitivi si concludono con un’empasse. Quante volte ci capita di dire “non ce la faccio!”, “è impossibile!”? Subito dopo, avvertiamo una contrazione, un nodo, un sospiro-grido di esasperazione o altre sensazioni sgradevoli. Spesso l’avvenimento scatenante dura un periodo molto breve, nel caso di una critica, un rifiuto, un’offesa o una interferenza ricevuti, solamente alcuni secondi, ma la sua ripetizione nella memoria può assalirci tante volte, soprattutto durante la notte, quando la posizione assunta sul letto agevola la nostra funzione parasimpatica e siamo indotti, il più delle volte, a ripassare il film della nostra giornata.
Possiamo far rientrare questo stato di “empasse” in una fase ciclica della giornata e cioè la notte e definirla “logica della notte”, distinta dalla “logica del giorno” che rappresenta la fase della giornata fatta di relazioni, di interessi, di impegni, di lavoro e così via. Possiamo dire che, salvo il periodo invernale, la “ logica del giorno” avrebbe tutto il tempo per ridimensionare nel nostro cervello quanto succede nella “logica della notte”. Uso il condizionale perché non sempre è così. Se può definirsi fisiologico vivere la solitudine durante la notte, la stessa può costituire problema, quando pervade la “logica del giorno”.
Per ogni sofferenza ci sono avvenimenti sgradevoli che hanno contribuito a crearla, per esempio ferita, tristezza, umiliazione, per cui ci sono due eventi che creano questa sofferenza: l’avvenimento iniziale che può essere capitato durante il giorno e l’avvenimento delle ripetizioni nel flusso di coscienza,soprattutto durante la notte, intendendo per tale principalmente quella fase immediatamente anticipativa del sonno. È possibile che la conoscenza del flusso di coscienza possa aiutare una persona a trovare metodi, per affrontare i propri pensieri interiori e migliorarli.
Molti studi in merito definiscono che la struttura dell’esperienza cosciente di ognuno di noi consta di un centro della coscienza e di una periferia. Il centro risulta dalla focalizzazione della nostra attenzione mentre la periferia è costituita da tutti i pensieri, sensazioni, memoria ed atteggiamenti che coesistono con il centro, ma di cui siamo appena coscienti. Il centro è il campo della coscienza più chiaro e più lucido, la periferia è più vaga, quasi indefinibile, sottile ed intuitiva.
Il riequilibrio del nostro cervello, fino a condurci nella direzione del benessere e della cosiddetta normalità, è garantito nella riconnessione tra centro e periferia. Lo strumento che abbiamo in mano per questo riequilibrio è dato dall’uso della parola e da tutte quelle azioni che, pur non associate all’uso della parola, ci conducono lo stesso all’esperienza cosciente. Ad esempio quando vediamo la strada mentre guidiamo, quando leggiamo le note musicali mentre suoniamo o sentiamo suonare uno strumento, i colori e le forme quando dipingiamo e così via.
In qualsiasi momento in cui esprimiamo con la parola un pensiero o un avvenimento, possiamo essere sicuri che gli stessi si trovano nel centro della coscienza. E ciò che ci succede nella “logica del giorno”, quando la nostra giornata è caratterizzata da interazioni sia con una persona, con un compito o un oggetto. Durante la vita del giorno, per mezzo di discussioni con persone, ragionamenti su problemi e compiti da compiere, una grande parte dei nostri pensieri sono sufficientemente canalizzati per non farci del male. Ma una persona che soffre di ansia per una perdita, di sfiducia in se stessa, di angoscia per la precarietà, di rancore per tradimenti subiti, di minaccia di perdere il lavoro o di isolamento prolungato, testimonia che i pensieri vanno contro la volontà. In questo caso i pensieri sono dominati dalle emozioni, cosa che, appunto, avviene durante la notte.
Ora il dilemma è: come possiamo catturare tutti i pensieri, le immagini e le sensazioni che vengono nella mente durante la notte? Il progresso scientifico non ci permette ancora di tradurre tutti questi moti dell’animo in un linguaggio parlato, nell’intento di conoscere meglio il flusso di coscienza durante la notte o in una solitudine prolungata, sì da poterlo cambiare. Ciò è vero, ma se dovessimo prendere in esame autori come Franz Kafka o Virginia Woolf, tanto per citarne alcuni, noti per le loro opere letterarie introspettive, abbiano contribuito inconsapevolmente, a decifrare il loro flusso di coscienza, così da rendere quanto vissuto soffertamene durante la “logica della notte” in un’esperienza cosciente, fino a compiere quella connessione magica tra centro e periferia della nostra coscienza.
Con questo non voglio dire che tutti dovremmo diventare letterati, perché per esempio ci sono persone che, pur non avendo esperienza di letteratura, giungono per altre vie allo stesso risultato e sono coloro che hanno svolto, sebbene per un breve periodo, un training introspettivo grazie al quale possono accedere a questo flusso di coscienza, per ricordarlo e quindi decifrarlo.
Un’ipotesi di soluzione perché il nostro cervello possa trovare pace, ossia dare la possibilità di lenire l’angoscia, l’ansia, in una parola sofferenza in situazione di solitudine, è di impegnarsi a trovare una persona nella cerchia delle nostre relazioni amicali o parentali con cui tessere un rapporto di reciproco ascolto. In questo caso l’altro funge per il nostro cervello come strumento attivante la funzione di neuromodulatore.
Un'importante scoperta della biosistemica, della comunicazione ecologica e del counseling sue branche, ci permette di affermare che i neuromodulatori possono essere attivati nel cervello per via farmacologia, ma anche per via naturale ogni volta che intessiamo relazioni profondo con l’altro.
Il cervello è composto da una corteccia esterna e una sottocorteccia interna.
La corteccia produce l’esperienza della coscienza, la sottocorteccia ha una struttura più semplice e dunque non è in grado di creare direttamente stati di coscienza. Però in essa sono contenuti tutti i meccanismi fondamentali: infatti ci sono i gangli di base che sovrintendono alle azioni, l’amigdala alle emozioni e l’ippocampo alla memoria esplicita. Queste regioni sottocorticali creano processi chimici attivanti, appunto i neuromodulatori che permettono la riconnessione centro e periferia della nostra coscienza e che servono al nostro cervello per adattarsi.
Quindi c’è una via d’uscita dall’isolamento ed alla individualizzazione della vita cui il nostro progresso vuole relegarci. C’è la possibilità, che insomma, il nostro cervello non sia un disadattato e trovare la sua pace. È quella che un mio amico psicologo mi confidava nel considerare che l’80% dei suoi clienti avevano la sola necessità non di uno psicologo, ma di persone che l’ascoltassero per farle uscire dai loro tormenti.
È questa la sfida per quanti impegnati per la pace oggi: avere la capacità di tessere relazioni umane profonde, ma anche di non essere causa con i nostri comportamenti apparentemente innocui o autoreferenziali, di turbamento dell’altro.
È il caso di dire, a proposito di flusso di coscienza, che farci un esame di… coscienza, proprio non guasta!