Giovanni XXIII patrono dell’esercito: la trovata dell’ordinario militare
ROMA-ADISTA. Giovanni XXIII, il papa che nell’enciclica Pacem in Terris scrisse che la guerra è «alienum a ratione» (estranea alla ragione, ovvero “fuori di testa”, “roba da matti”), nuovo santo patrono dell’esercito. Non è chiaro se l’idea – decisamente “fuori di testa” – sia stata dell’Ordinariato militare o dei vertici delle Forze armate. In ogni caso lo scorso 24 ottobre, nella basilica romana di Santa Maria in Aracoeli, al Campidoglio, l’ordinario militare per l’Italia, mons. Vincenzo Pelvi, ha presieduto una messa, alla presenza delle massime autorità militari – tra cui il capo di Stato maggiore dell’esercito, il generale Giuseppe Valotto – per «promuovere la devozione del beato Giovanni XXIII quale santo patrono dell’esercito». Tanto che il ministero della Difesa, nel suo sito internet, annuncia trionfalmente: «Giovanni XXIII patrono dell’esercito».
Cosa abbia a che fare papa Roncalli con l’esercito, tanto da poterne diventare il santo patrono, è mistero che alberga nelle menti dell’ordinario militare e dei vertici delle Forze armate: si tratta probabilmente di un ulteriore tentativo di legittimare guerre umanitarie e bombe intelligenti. Roncalli, comunque, nella sua vita, ebbe due contatti con l’esercito: nel 1901, quando abbandonò temporaneamente gli studi teologici presso il seminario romano per prestare servizio nel Regio esercito italiano al posto di suo fratello Zaverio, la cui presenza era necessaria in famiglia, a Sotto il Monte, per il lavoro nei campi; e poi nel 1915, durante la prima guerra mondiale, quando venne richiamato in servizio con il grado di «sergente di sanità» e operò come cappellano dell’ospedale di Bergamo. Un’esperienza pastorale che non è sfuggita a mons. Pelvi: «Il nostro esercito ha bisogno di calore umano, di affetto reciproco, di costruttivo dialogo, di quello spirito di pace che unisce – ha detto nell’omelia –. Queste parole sono ispirate al magistero pontificio di Giovanni XXIII, che viveva in un tempo non meno complesso del nostro. Basti ricordare le centinaia di ragazzi che vedeva morire nelle retrovie dove era cappellano» (sebbene le «retrovie» di cui parla Pelvi sarebbero l’ospedale di Bergamo, a diverse decine di km dal fronte, ndr) e «il rumore della rivoluzione staliniana ben udibile dalla Bulgaria del primo decennio dopo la morte di Lenin». Per cui, aggiunge Pelvi, «papa Giovanni è un beato da imitare più che da ammirare». A condizione, però, di limitare l’imitazione al 1918, per non rischiare di imbattersi nella più famosa enciclica pacifista. (l. k.)