Il magistero della Pace in Giovanni Paolo II

Brescia, 21 ottobre 2011
12 dicembre 2011 - mons. Giovanni Giudici (vescovo in Pavia e presidente Pax Christi Italia)

Premessa

L'iniziativa di riflettere sul magistero di Giovanni Paolo II a proposito della pace, è stata fortemente voluta da Pax Christi per riannodare la devozione per il nuovo Beato, tanto sentita oggi dal popolo cristiano, con il discorso sulla pace. Nel vasto panorama degli interventi del Papa, il tema della pace è stato qualificante perché strettamente connesso con la sua vicenda personale e quindi innovativo, per taluni aspetti. Tutto ciò va riconosciuto e diviene significativo nel momento in cui un beato viene proposto come modello di vita cristiana.

I - Il tema della pace oggi nella Chiesa e nel mondo

Il momento sociale che stiamo vivendo non aiuta a riflettere sul tema della pace:
il mutamento profondo avvenuto nelle modalità con cui si manifesta la violenza tra le persone, i popoli, gli schieramenti provocando attentati, omicidi mirati, stragi;gli avvenimenti dell'11 settembre che hanno cambiato il modo di giudicare il rapporto tra le nazioni, aprendo un dibattito che ha portato a guardare alle società e alle culture con un atteggiamento di sospetto e di aggressività di cui solo ora si manifestano con chiarezza le conseguenze nefaste;nella comunità cristiana il clima culturale circostante non ha favorito una riflessione serena sul tema della pace condotta in modo generico, quando non spiritualistico dimenticando che la pace è segno del Regno, inizio della redenzione, dono di Cristo risorto e impegno dei discepoli che portano nel mondo il dono ricevuto nella Pasqua.
Tutti questi elementi hanno evidenziato la fragilità entro cui si muove la ricerca sul tema in oggetto. Pertanto è importante da parte di tutti assumere il comune impegno di far diventare il discorso sulla pace meglio compreso nei suoi presupposti e nelle sue conseguenze, come pure più diffuso e più approfondito.
Ecco perché è benvenuto il tema a cui è dedicata la prossima giornata mondiale della Pace, che la CEI ha deciso di realizzare proprio qui a Brescia: educare alla pace.
La rilettura dei testi Giovanni Paolo II può aiutare in questo cammino di maggiore consapevolezza per almeno due motivi:anzitutto perché la Chiesa ha riconosciuto l'eroicità delle sue virtù e dunque in certo senso lo propone come modello a tutti i credenti; nel pensiero e nella biografia del Papa emerge un progressivo approfondimento del tema della pace che aiuta a riprendere con impegno il discorso su di essa in termini di fondazione più matura e quindi proponibile come traccia di un cammino pedagogico per i giovani.

II - Il tema della pace nel magistero della Chiesa prima di Giovanni Paolo II

Parliamo della pace relativa all’assenza e alla cessazione dei conflitti tra individui e gruppi diversi e iniziamo con una rapida lettura del pensiero sul tema all’interno della Tradizione cattolica per comprendere la progressività dell’annuncio cristiano e la singolarità del Magistero ecclesiale.
Una svolta epocale a proposito di questo tema è stata data dall'Enciclica Pacem in Terris, emanata da Papa Giovanni XXIII il venerdì santo del 1963 in cui il Pontefice volle mettere al bando il concetto di guerra giusta e dichiarò che il riconoscere una guerra “giusta”, proprio nel caso allora presente della deterrenza nucleare, era “alieno dalla ragione”. Quella svolta fu profetica e rappresenta un punto di non ritorno successivamente precisato in qualche caso con modalità altrettanto profetiche.
Per trovare tracce nel Magistero se non di una teologia della pace quanto meno di un ripensamento sulla guerra all'interno della riflessione sulla giustizia, occorre risalire all’inizio del ventesimo secolo quando Leone XIII denuncia l’illusorietà della così detta pace armata e Benedetto XV nell’esortazione alle potenze belligeranti della prima guerra mondiale definisce la guerra “una inutile strage”.
Non si deve dimenticare che Pio XI, il quale pur seppe denunciare la aggressività dei totalitarismi nazisti e comunisti e condannare ogni forma di guerra ingiusta, tuttavia non delegittimò la guerra dell’Italia fascista contro l’Etiopia e si espresse in maniera positiva a proposito della guerra civile franchista in Spagna.
Pio XII è il primo papa a dare consistenza a un pensiero critico nei confronti della guerra. Poco dopo l’elezione, appena un mese prima dell’invasione della Polonia da parte di Hitler, proclamava “Nulla è perduto con la pace, tutto può essere perduto con la guerra” e durante il suo pontificato la Santa Sede si impegnò in modo perseverante per la pace tra le nazioni denunciando sempre gli errori che sono alla radice di tanti mali. Il tema della condanna della guerra è tuttavia reso almeno ambiguo da affermazioni come la seguente: “gli eventi luttuosi e devastanti della guerra, sono parole di Pio XII, come prove che Dio lascia cadere sugli uomini, individui e popoli, in un disegno di giustizia volto a castigare i peccati, a purificare persone e popoli con le espiazioni della vita presente e così attraverso la prova della guerra ricondurli a sé”. Queste affermazioni suscitano perlomeno perplessità! Pio XII dunque condanna sì la guerra, fa in modo che la Santa Sede svolga al meglio l’opera di contenimento delle sofferenze e di ricostruzione di rapporti pacifici, ma si muove sempre nell’ottica di una teologia della guerra giusta. Così quando denunciava i conflitti si augurava che non fossero sorpassati i confini consentiti dal jus belli, dal diritto della guerra.
Su queste premesse è possibile allora cogliere meglio la portata della svolta impressa dall’insegnamento e dal pensiero di Papa Giovanni. Come per altre istanze presenti nella Chiesa cattolica, ma confinate nel sottosuolo, anche sulla tematica della pace Papa Roncalli sa dare voce e autorevolezza all’oscuro lavoro di pochi, coraggiosi pionieri. Infatti dopo essere intervenuto in prima persona per scongiurare lo scoppio di un conflitto tra le due superpotenze a seguito della crisi di Cuba, già gravemente malato consegna alla Chiesa e, ed è significativo, a tutti gli uomini di buona volontà, quella Enciclica, quale sorta di testamento spirituale dal titolo Pacem in Terris. Il Papa firma la lettera l’11 aprile e morirà la sera del 3 giugno successivo, giorno di Pentecoste.
In quel testo Giovanni XXIII prende radicalmente le distanze dal sistema di deterrenza, considerato normale in quegli anni da tutti, e sostiene la necessità di un disarmo simultaneo e reciproco e della messa al bando delle armi nucleari per pervenire a un disarmo integrale anche degli spiriti in modo che al criterio della pace che si regge sull’equilibrio degli armamenti si sostituisca il principio che la vera pace si può costruire soltanto in una fiducia reciproca e in una riconosciuta fraternità umana. Con l’Enciclica il Papa giunge a ritenere ormai impraticabile ogni legittimazione nell’era nucleare della guerra anche qualora vi fossero le tradizionali motivazioni per considerarla giusta. In sostanza qui si ha una presa di coscienza da parte del papato delle nuove condizioni che impongono l’impossibilità di giustificare qualsiasi guerra.
Il testo originale latino del passaggio chiave dell’Enciclica dice in sostanza che in questa età in cui ci si gloria della forza atomica è alieno dalla ragione pensare alla guerra. L'affermazione è forte. Colui che sarà chiamato il Papa buono opera un rifiuto categorico della guerra e toglie ogni possibilità di legittimarla, definendola giusta. Tale novità fu colta con lapidaria concisione dal teologo Yves Congar che così commentò: “La stagione della guerra giusta è terminata nella teologia cattolica”. Tuttavia il Concilio non sarà capace di proseguire il cammino verso una teologia della pace seguendo le indicazioni di Papa Giovanni. Una casistica prudenziale porterà il Concilio a esprimersi, soprattutto nella Gaudium et Spes, con accenti diversi, più deboli, eludendo la condanna della deterrenza nucleare cioè dell’ammasso di armi atomiche per dissuadere l’avversario dall’infliggere il primo colpo che risulterebbe mortale per tutti. Nel dibattito assembleare prevalsero le ragioni di una irragionevole prudenza così che all’interno dei testi conciliari, Gaudium et Spes 81, si legge un tiepido: “Qualunque cosa si possa pensare di questo metodo dissuasivo, la deterrenza atomica”, privo di alcun giudizio di condanna; si preferisce invitare a compiere ogni sforzo per preparare quel tempo nel quale mediante l’accordo delle nazioni si potrà interdire del tutto il ricorso alla guerra ma nel frattempo riproponendo il diritto dovere della legittima difesa.
Si può affermare che i Padri conciliari non giudicarono ancora maturo il tempo per interdire totalmente qualsiasi ricorso alla guerra. Certo, il Concilio ha ripreso l’invito roncalliano a liberarsi dall’antica schiavitù della guerra e a cercare vie nuove partendo dalla riforma degli spiriti ma quella franchezza che c’era nella Pacem in Terris non si ritrova più. Proprio per questa ragione sul tema della pace troviamo all’interno della Chiesa e della dottrina cattolica indirizzi anche molto diversi in merito. Si individua una corrente espressa da Lercaro, La Pira e da molti altri testimoni, che potremmo definire di pacifismo cristiano radicale, secondo la quale la guerra deve essere sempre condannata in quanto contraria al Vangelo e aliena dalla ragione, e si riconosce anche un’altra tendenza che ripropone la possibilità della guerra secondo il principio di un realismo senza futuro che ritorna al si vis pace, para bellum. Si tratta di un atteggiamento miope, perché non sviluppa tutto lo sforzo dovuto alla ricerca di attenzioni, alleanze, proposte che rendano più realistico e positivo il creare la pace. All'interno di questa posizione, si ritrova anche la presenza di persone che ripropongono lo schema intransigente dell’epoca della cristianità e affermano la legittimità non solo della guerra difensiva, ma anche di quella offensiva se condotta per l’espansione della fede cristiana.
Noi ci soffermiamo brevemente sulla posizione che segue la Gaudium et Spes che, pur auspicando la fine di ogni conflitto armato, ammette tuttavia la liceità della guerra di legittima difesa. Sarà questa la posizione approfondita da Paolo VI e poi da Giovanni Paolo II. Nell’insegnamento di Paolo VI non si trovano particolari novità riguardo alla teologia della pace, poiché la novità nell'insegnamento di questo Papa è piuttosto la comprensione del rapporto tra lo sviluppo del progresso dei popoli e la costruzione della pace; a lui dobbiamo la sottolineatura del rapporto tra una maggior giustizia sociale a livello planetario e il possibile disinnesco dei potenziali conflitti tra stati, e pure l’indicazione che all’interno degli stati stessi si registrano sperequazioni tali da spingere poi i poveri e gli impoveriti a tentare di risolvere i problemi della giustizia sociale ricorrendo alle armi. Esemplare di questo orientamento è l''enciclica Populorum Progressio.

III - Le attenzioni di Giovanni Paolo II

Con Giovanni Paolo II il quadro teologico conosce da un lato una ripresa e dall’altro una conferma di alcune acquisizioni. Tutti gli interventi del Magistero papale del 1900, da Benedetto XV a Pio XII sono costantemente citati negli interventi di questo Papa che ha vissuto in maniera diretta la tragica esperienza del secondo conflitto mondiale. E’ in questa continuità che Giovanni Paolo II cita a più riprese il versetto di Isaia Opus justitiae pax, che era già il motto episcopale di Pio XII “Opera della giustizia sarà la pace”, versetto con il quale il Papa afferma con forza che la pace equivale allo stabilire nel mondo un ordine fondato sulla giustizia e sul pieno rispetto dei diritti umani e, proprio perché la pace può nascere solo se c’è giustizia, Giovanni Paolo II arriverà a dire che si verificano casi in cui la lotta armata è un male inevitabile alla quale, in circostanze tragiche, non possono sottrarsi neppure i cristiani. La stessa affermazione è ribadita nel messaggio per la Giornata della Pace del 1984 in cui afferma: E’ il senso della realtà al servizio fondamentale della giustizia che impone il mantenimento del principio della legittima difesa.
In questa prospettiva, la Santa Sede ha mantenuto la dottrina della guerra giusta riportata nel Catechismo della Chiesa Cattolica voluto da Giovanni Paolo II, già espressa negli anni ’80 “Dovere e diritto di ingerenza per disarmare quelli che non rispettano la giustizia e i diritti di un popolo”. Fu soprattutto a causa della guerra in Jugoslavia che il Papa chiese più volte di intervenire in nome di questo diritto di ingerenza.
Molti sono gli interventi di Giovanni Paolo II in questo senso a cominciare da quello al Corpo Diplomatico nel 1993: Una volta che tutte le possibilità offerte dai negoziati diplomatici e i processi previsti dalle convenzioni internazionali sono stati messi in opera e che malgrado ciò delle popolazioni sono sul punto di soccombere sotto i colpi di un ingiusto aggressore, gli Stati non hanno più diritto all’indifferenza, sembra bene che il loro dovere sia intervenire per disarmare l’aggressore.
E’ significativo inoltre il Discorso rivolto ai cappellani militari italiani nel 1995 riferito al concetto di guerra giusta e ribadito nel messaggio del Primo gennaio del 2000: Quando le popolazioni civili rischiano di soccombere sotto i colpi di un ingiusto oppressore è legittimo e perfino doveroso impegnarsi in iniziative concrete a disarmare l’aggressore. Queste però devono essere circoscritte nel tempo, precise negli obiettivi, condotte nel pieno rispetto del diritto internazionale, garantite dalla autorità sovranazionale riconosciuta, mai lasciate alla mera logica delle armi. È evidente che il Papa è in piena continuità con il Magistero dei suoi predecessori del 1900, tanto più che la sua biografia, cittadino di una patria amata e conquistata da aggressori alleati per eliminarla, più di altri poteva comprendere il tema dell'ingiusto aggressore.
La riflessione di Giovanni Paolo II, negli stessi anni risulta maggiormente in sintonia con le intuizioni della Pacem in Terris. Infatti nel 1991, in occasione della prima guerra del golfo condotta dagli Stati Uniti verso l’Iraq, il Papa prende posizione contro la legittimazione religiosa della guerra dicendo che è assurda una guerra condotta in nome di Dio, e nel 1995 arriverà a dire che anche la Crociata Medioevale per la difesa dei luoghi santi resta un fatto dissonante col Vangelo.

In Giovanni Paolo II vi è soprattutto a partire dal primo incontro delle religioni ad Assisi 1986 una ferma volontà di togliere ogni legittimità a guerre di religione e scontri di civiltà, ma la novità dirompente per cui ricordiamo oggi con gratitudine Giovanni Paolo II è quella contenuta nel messaggio per la Giornata Mondiale del Primo gennaio 2002, certamente l’apice teologico del pensiero sulla pace del Papa e di tutto il Magistero cattolico. E’ un messaggio che giunge all’indomani della data spartiacque dell’11 settembre che ha provocato un ripensamento della stessa concezione del termine guerra e che ha in un colpo solo messo in discussione le tradizionali vie di composizione diplomatica o istituzionalizzata delle crisi internazionali. Ebbene, in quel documento Giovanni Paolo II si spinge ben oltre la convinzione che opera della giustizia è la pace. Egli, non solo ribadisce che quando la giustizia è violata e ferita deve essere ristabilita, affinché possa farsi strada la pace, ma afferma che “nella giustizia da cui dipende la pace, nella giustizia che è fondamento della pace, deve essere iscritto e contenuto il principio del perdono”. Quel messaggio, acquisito dal magistero della Chiesa cattolica deve ora diventare patrimonio condiviso da quanti si attendono dal Magistero stesso una risposta alla forza profetica contenuta in esso, apice di ogni magistero cristiano sulla pace.
Il Papa era ben consapevole che tale posizione fosse novità assoluta nel magistero della Chiesa e che fosse audace quanto affermava, soprattutto in considerazione del momento storico. Va ricordato tuttavia il suo cammino interiore che lo ha condotto a formulare e a rendere per lui stesso vincolante quella acquisizione. Il Papa, all’interno di quel messaggio, dice che proprio leggendo le pagine del Vangelo giorno dopo giorno lui si è reso conto di dover fare questa affermazione, rendendo noto il processo di acquisizione interiore cui ha potuto giungere attraverso un lavorio della sua coscienza fino ad essere convinto dal Vangelo letto giorno dopo giorno ad esprimersi in questo modo, rivelando una prassi non usuale per un Papa che racconta il suo cammino per giungere a formulare le affermazioni che diverranno proposta magisteriale.
Occorre fare attenzione anche al fatto che il Papa non propone il consueto invito all’esercizio della virtù personale, eroica fin che si vuole, del perdono; in questo senso la Chiesa ha sempre detto a tutti i cristiani di perdonare i nemici. Qui si chiede di praticare il perdono a livello politico, con la conseguente finalità della riconciliazione. Non è dunque soltanto un invito alla scelta personale del perdono, ma la richiesta a tutta la comunità cristiana e civile di praticare la giustizia a livello politico. In questo senso è nuovo il concetto di perdono: “Solo nella misura in cui si affermano un’etica e una cultura del perdono si può sperare in una politica del perdono e –attenzione a quello che arriva a dire – una politica del perdono che deve essere espressa in atteggiamenti sociali e in istituti giuridici nei quali la stessa giustizia assuma un volto umano”.
Quella del perdono perseguito come strumento efficace di pace, sembra essere la nuova frontiera del pacifismo internazionale. Il passo è significativo e importante perché non si può solo accontentarsi di usare definizioni classiche, di ricercare la pace attraverso il diritto, neppure è sufficiente fermarsi al pacifismo sociale, nelle due diverse accezioni di sostegno della rivoluzione sociale e della eliminazione dell’ingiustizie. Ora occorre mettere in campo il perseguimento ostinato e dotato di strumenti concreti del perdono a livello di polis come espresso nel seguente passaggio
“la convinzione a cui sono giunto ragionando e confrontandomi col vangelo è che non si stabilisce un ordine infranto se non coniugando tra loro giustizia e perdono. La giustizia non è sufficiente per la pace, e il perdono è immanente alla giustizia. Non c’è pace senza giustizia ma non c’è nessuna giustizia senza perdono”.
Le parole del Papa mi sembra che aprano lo spazio ad una riflessione sui fatti di contrapposizione e di violenza vissuti in questi anni, e chiamino a un confronto serrato a proposito di determinate "parole d'ordine" impartite da mass media, da giornalisti e da uomini di istituzione in questi anni. Si deve riconoscere che vi è stata una dissennata seminagione di timori, generalizzazioni nel giudizio su culture e religioni, proprio a livello di opinione pubblica. Ciò ha generato anzitutto ansietà nella gente, ma soprattutto è stato causa di ritardi nella ricerca di soluzioni politiche per il collegamento con i paesi del Mediterraneo e di vere tragedie come la guerra contro l'Iraq. Esaminando la questione da questo punto di vista, ci si accorge che sarebbe necessario un coinvolgimento collettivo nella sfida di attuare una politica del perdono.
La pace dunque nasce dallo sforzo tenace di tutti gli uomini e le donne di buona volontà che hanno iniziato insieme un cammino lungo e arduo, ma già con primi passi visibili. Penso, ad esempio, alla Commissione per la Giustizia e Riconciliazione nel Sud Africa post Apartheid; penso al cammino di perdono in atto tra ebrei e palestinesi ad opera di associazioni composte da persone che appartengono alle due comunità e che lavorano insieme per il rispetto di diritti comuni. In particolare è da ricordare l’associazione tra genitori delle vittime del terrorismo. Sono però indispensabili il contributo e la ricerca delle migliori menti e dei migliori cuori che mettono a frutto la loro competenza disciplinare e professionale e soprattutto la loro testimonianza.
L'esperienza umana trova nel perdono il segno di un dono di Dio ma anche elementi di ragionevolezza che aiutano a percepirne il valore. Ogni essere umano, quando commette il male, si rende conto della propria fragilità e desidera l’indulgenza degli altri, arrivando così a percepire, sia pure molto debolmente, l’importanza di non fare agli altri ciò che ciascuno desidera non sia fatto a se stesso. Coltivare la speranza di poter ricominciare un percorso di vita senza rimanere prigioniero per sempre dei propri errori e delle proprie colpe è, insomma, esperienza umana universalmente condivisa. E proprio a questa ragionevolezza umana del perdono Giovanni Paolo II fa riferimento, nel messaggio del 2003, quando suggerisce il valore e il riconoscimento dei “gesti di pace” nelle vite delle persone soprattutto nella loro dimensione comunitaria.

IV - Il magistero di Giovanni Paolo II dopo l'11 settembre.
La riflessione del Papa si rivolge in particolare ai seguenti temi: il ruolo delle religioni, i conflitti in atto, la preghiera per la pace.
Ripensando all’attentato delle Twin Towers, Giovanni Paolo II esprime preoccupazione per il ruolo che può avere la religione da molte parti accusata di favorire la crescita della violenza attraverso fondamentalismi che deformano il messaggio, ma hanno in sé una terribile forza di persuasione riguardo alla religione che indirizzata male, può compiere disastri immani. Perciò “è profanazione della religione proclamarsi terroristi in nome di Dio, far violenza all'uomo in nome di Dio. La violenza terrorista è contraria alla fede in Dio Creatore dell'uomo, in Dio che si prende cura dell'uomo e lo ama.”
Consapevole che la presa di distanza dal terrorismo non è sufficiente, il Papa dichiara che i leaders religiosi “hanno una loro specifica responsabilità. Le confessioni cristiane e le grandi religioni dell'umanità devono collaborare tra loro per eliminare le cause sociali e culturali del terrorismo, insegnando la grandezza e la dignità della persona e diffondendo una maggiore consapevolezza dell'unità del genere umano.” In questa prospettiva si inserisce la giornata di preghiera per la pace del 24 gennaio 2002 in cui i rappresentanti delle varie confessioni religiose riuniti ad Assisi, hanno stilato un Decalogo per la pace inviato anche ai capi di stato e di governo e qui di seguito riportato.

Il Decalogo di Assisi per la pace
1. Ci impegniamo a proclamare la nostra ferma convinzione che la violenza e il terrorismo si oppongono al vero spirito religioso e, condannando qualsiasi ricorso alla violenza e alla guerra in nome di Dio o della religione, ci impegniamo a fare tutto il possibile per sradicare le cause del terrorismo.
2. Ci impegniamo a educare le persone al rispetto e alla stima reciproci, affinché si possa giungere a una coesistenza pacifica e solidale fra i membri di etnie, di culture e di religioni diverse.
3. Ci impegniamo a promuovere la cultura del dialogo, affinché si sviluppino la comprensione e la fiducia reciproche fra gli individui e fra i popoli, poiché tali sono le condizioni di una pace autentica. 4. Ci impegniamo a difendere il diritto di ogni persona umana a condurre un'esistenza degna, conforme alla sua identità culturale, e a fondare liberamente una propria famiglia.
5. Ci impegniamo a dialogare con sincerità e pazienza, non considerando ciò che ci separa come un muro insormontabile, ma, al contrario, riconoscendo che il confronto con la diversità degli altri può diventare un'occasione di maggiore comprensione reciproca.
6. Ci impegniamo a perdonarci reciprocamente gli errori e i pregiudizi del passato e del presente, e a sostenerci nello sforzo comune per vincere l'egoismo e l'abuso, l'odio e la violenza, e per imparare dal passato che la pace senza la giustizia non è una pace vera.
7. Ci impegniamo a stare accanto a quanti soffrono per la miseria e l'abbandono, facendoci voce di quanti non hanno voce e operando concretamente per superare simili situazioni, convinti che nessuno possa essere felice da solo.
8. Ci impegniamo a fare nostro il grido di quanti non si rassegnano alla violenza e al male, e desideriamo contribuire con tutte le nostre forze a dare all'umanità del nostro tempo una reale speranza di giustizia e di pace.
9. Ci impegniamo a incoraggiare qualsiasi iniziativa che promuova l'amicizia fra i popoli, convinti che, se manca un'intesa solida fra i popoli, il progresso tecnologico espone il mondo a crescenti rischi di distruzione e di morte.
10.Ci impegniamo a chiedere ai responsabili delle nazioni di compiere tutti gli sforzi possibili affinché, a livello nazionale e a livello internazionale, sia edificato e consolidato un mondo di solidarietà e di pace fondato sulla giustizia.
24 gennaio 2002
In un quadro globale segnato da molteplici “tragiche situazioni di conflitto” e attraversato da profonde lacerazioni, più volte i messaggi del Papa si soffermano sul richiamo a ricomporre pacificamente i conflitti, primo fra tutti in ordine di tempo e di sollecitazioni è il conflitto che dilania la Terra Santa dove le incomprensioni, le tragiche memorie, le palesi e drammatiche violenze e violazioni di diritti, rendono quella terra e le istituzioni e le popolazioni che la abitano quasi un emblema della difficoltà di comporre il presente con la memoria del passato, e danno drammatica consistenza ad un conflitto che dura da cinquant’anni. Si tratta, per dirla con il Papa, di un “luogo benedetto e sacro dell'incontro di Dio con gli uomini”, ma anche di un luogo di odio e di violenza, dentro cui vengono suggeriti “negoziati risolutori”
Altrettanto non si può riflettere sul pensiero e sull’azione di Giovanni Paolo II senza far sosta sulle modalità altamente drammatiche con le quali egli si oppose con sforzi immani alla seconda guerra del Golfo. Visti inutili gli sforzi diplomatici, dispiegati sia mediante interventi diretti verso l'amministrazione americana, non accettati da George Bush sia mediante interventi diretti attraverso l'invio del Card. Etchegaray in Iraq, egli si fece icona vivente della drammatica inutilità di quella guerra, apparendo alla finestra durante il suo colloquio con i fedeli, come una tragica maschera di dolore, e gridando al mondo, e soprattutto ai giovani, l'inutilità della guerra. In quella occasione ancora una volta ha rivissuto pubblicamente la sua esperienza di giovane polacco, che ha visto la sua generazione trascinata in un gorgo di morte e di distruzione. A nulla valse, come sappiamo, il suo impegno per scongiurare la guerra, rivelatasi come ogni guerra, ovunque voglia svilupparsi, ma in particolare la cosiddetta ‘guerra preventiva’ contro l’Iraq, un atto che ha distrutto persone umane e ricchezze, ha posto un paese alla mercé dei suoi vicini, facendolo diventare campo di battaglie di fazioni politiche e di lobby economiche, aprendo purtroppo il campo a ulteriori tragedie, di cui sono vittime le minoranze culturali e religiose, tra cui i cristiani.
Verificando la vanità dei suoi interventi diplomatici, il Papa ricorda l’importanza della preghiera per la pace da praticarsi contemporaneamente all’impegno concreto per la pace, tema sviluppato nel messaggio del 2002, in cui alla preghiera viene riconosciuto un valore fondamentale di dialogo e di ricerca dello Spirito del Signore, di responsabilità e di fiducia, di dono e di accoglienza. Essa sta al cuore dello sforzo per l'edificazione di una pace nell'ordine, nella giustizia e nella libertà: “Pregare per la pace significa aprire il cuore umano all'irruzione della potenza rinnovatrice di Dio. Dio, con la forza vivificante della sua grazia, può creare aperture per la pace là dove sembra che vi siano soltanto ostacoli e chiusure; può rafforzare e allargare la solidarietà della famiglia umana, nonostante lunghe storie di divisioni e di lotte. Pregare per la pace significa pregare per la giustizia, per un adeguato ordinamento all'interno delle Nazioni e nelle relazioni fra di loro. Vuol dire anche pregare per la libertà, specialmente per la libertà religiosa, che è un diritto fondamentale umano e civile di ogni individuo. Pregare per la pace significa pregare per ottenere il perdono di Dio e per crescere, al tempo stesso, nel coraggio che è necessario a chi vuole a propria volta perdonare le offese subite”.

V GLI OPERATORI DI PACE
Nella sua riflessione sul tema della pace Papa Giovanni Paolo II ha indicato alcune categorie di persone particolarmente sensibili alla realizzazione di un mondo riconciliato: i giovani, le donne, i cristiani.
Infatti, a partire dai frequenti richiami alla sua esperienza personale, in lui il magistero sulla pace non è mai retorico o puramente teorico, perché provoca le coscienze dei singoli a trasformarsi in operatori di pace coraggiosi e responsabili a cui assegna un ruolo di grande importanza e incisività.
In particolare fu in occasione di uno dei primi messaggi che Giovanni Paolo II tratteggiò l’irrinunciabile ruolo delle nuove generazioni, alle cui fondamentali scelte morali è legato il futuro della pace e quindi dell’umanità intera.
Facendo risuonare più volte l’invito ad accantonare ogni forma di paura o sfiducia, e facendo affidamento sul grande desiderio di pace e di giustizia che caratterizza l’età della giovinezza, il Papa invita i giovani a trovare risposte vere alle domande che inevitabilmente essi si pongano: qual è la vostra idea di uomo? che cosa costituisce la grandezza di un essere umano? e ancor più in profondità: chi è il vostro Dio?
Consapevole che le risposte a questi interrogativi segneranno l’orientamento della vita di ogni giovane e, di conseguenza dell’intera società, il Papa sollecita i suoi giovani interlocutori a non accontentarsi di un istintivo desiderio di pace, ma di renderlo “trasformato in una ferma convinzione morale, che abbraccia tutto l’ambito dei problemi umani e costruisce valori profondamente apprezzati.
Ricollegandosi alle affermazioni presenti nella Mulieris Dignitatem, secondo la quale alla donna è affidata da Dio in maniera speciale la cura dell’essere umano, Giovanni Paolo II invita ogni donna ad assumere il ruolo di educatrice di pace. In profonda comunione e perfetta reciprocità con l’uomo, ella deve essere messa nelle condizioni di trasmettere in pienezza i suoi doni all’intera comunità, per aiutarla a riflettere meglio sulla sostanziale unità della famiglia umana.
Proprio perché nel corso della storia la donna ha pagato il prezzo più alto della mancata realizzazione dell’originario progetto di Dio sulla coppia, può ora testimoniare l’anelito verso la pace e partecipare alla sua realizzazione, anche mediante l’assunzione di responsabilità pubbliche.
Premettendo l’interesse specifico del Papa per il ruolo di giovani e donne, non si può dimenticare che al termine dei suoi messaggi, Giovanni Paolo II si rivolge quasi sempre in maniera diretta a tutti i fedeli cristiani, offrendo loro indicazioni concrete sul modo propriamente evangelico di operare per la pace, la giustizia, la solidarietà, la libertà.
L’impegno del cristiano si fonda sulla verità del Vangelo, la cui sorgente profonda è Gesù, Verbo di Dio incarnato: egli “è la nostra pace” (Ef 2,14), è dono di pace per tutti gli uomini e colui che dichiara beati gli operatori di pace (Mt 5,9).
Ne consegue che la libertà, dono conseguente alla pace, non deriva dall’uomo, ma per un cristiano dall’obbedienza alla volontà di Dio nella fedeltà al suo amore. Lo stesso vale per la giustizia e la solidarietà, che devono essere modellate sull’esempio di Cristo, sintetizzabile nella famosa regola d’oro: “Fate agli uomini tutto quanto voi vorreste che essi facciano a voi” (Mt 7,12).
Al cristiano spetta il compito di riscoprire la forza della preghiera la quale gli permette di accogliere la grazia che trasforma i cuori e impegna a conformare la propria vita alla Parola di Dio. Ma pregare è anche entrare nell’azione di Dio sulla storia, parteciparvi con l’intercessione e l’instancabile impegno personale.

Conclusioni

Cercando di sintetizzare il pensiero di Giovanni Paolo II sulla pace e sui temi ad essa connessi, per un approfondimento di contenuto ed un arricchimento della vita spirituale dei credenti, sembra di poter rilevare, da un lato una sua grande e appassionata attenzione ai valori universali che accomunano le religioni, le culture e i diversi sistemi di pensiero, traducendosi nella perseverante richiesta di pace per tutti, dall’altro alla sua adesione alla dottrina contenuta nel Concilio Vaticano II, là dove si legge: «la chiesa che contiene nel proprio seno i peccatori, è santa e insieme sempre bisognosa di purificazione, e sempre persegue lo sforzo di pentimento e di rinnovamento». Su questa chiarezza di impostazione si fonda il pensiero del Papa che ritorna continuamente alla sintesi di fondo secondo cui il binomio pace giustizia si fonda sulla capacità del perdono reciproco che costruisce il dialogo e la storia dei popoli , qualunque credo essi professino.
Così meglio comprendiamo come il Papa Giovanni Paolo II non si è mai stancato di richiamare i cristiani alla centralità di Gesù che, abbattendo ogni muro di separazione, mostra la possibilità reale, concreta e non generica di un impegno per la pace universale.

Pregare per la pace
“L'ansia e la tristezza, purtroppo già tante volte espresse per la guerra in corso nella regione del Golfo, continuano ad essere alimentate dai perduranti combattimenti, ai quali si aggiungono, ora, anche catastrofici rischi ambientali. Le vittime, civili e militari, e le enormi distruzioni, rendono sempre più grande e più intenso il dolore e noi tutti siamo invitati a rivolgerci al Signore con maggiore insistenza e fede: è il grande ricorso a disposizione di chi crede e spera nella misericordia divina.
2. Preghiamo innanzitutto per la pace: che Dio ce la conceda al più presto, illuminando i responsabili in modo che abbandonino quanto prima un simile cammino non degno dell'umanità e ricerchino con fiducia la giustizia tramite il dialogo e i negoziati! (…)
Preghiamo ancora per e con tutti i credenti, appartenenti alle tre religioni che trovano nel Medio Oriente le loro radici storiche: ebrei, cristiani e musulmani. La fede nel medesimo Dio non deve essere motivo di conflitto e rivalità, ma di impegno a superare nel dialogo e nella trattativa i contrasti esistenti. Che l'infinito Amore del Creatore aiuti tutti a capire l'assurdità di una guerra in nome Suo ed infonda nel cuore di ognuno veri sentimenti di fiducia, comprensione e collaborazione per il bene dell'intera umanità!”
Giovanni Paolo II, Angelus del 27 gennaio 1991

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