Educarci alla giustizia e alla pace
Beati quelli che hanno fame e sete di giustizia perché saranno saziati.
Beati gli operatori di pace perché saranno chiamati figli di Dio” (Mt 5-6, 9)
Tre beatitudini come dono e impegno, tre dimensioni fondanti del credere. Tre modi per vivere il Vangelo seminando-coltivando segni e alimentando sogni di bellezza e di bene nell’esperienza quotidiana, nell’impegno sociale, nella vita ecclesiale, nell’azione formativa-educativa, nella spiritualità, nella teologia, nella politica, nella cultura, nell’arte... I miti sono chiamati alla cura gioiosa e responsabile della terra, nuova creazione; gli affamati e assetati di giustizia preparano il convito di persone e popoli differenti, banchetto messianico; gli operatori di pace pronti a vivere la condizione di figli amati, a esistere come fratelli e sorelle dell’unica famiglia umana. Tre segni per tre sogni. Li incontriamo nella comunità parrocchiale, in ogni azione orientata al bene comune, nella marcia Perugia-Assisi di 25 settembre, nell’Assemblea delle religioni di ottobre. Il seme deposto nella terra, nella polvere della storia (giustizia), reca con sé la bontà di un segno-seme pronto alla fioritura (pace), nel soffio dello spirito.
Parola di Dio
Isaia canta la nascita di un bambino “principe della pace”, donato per offrirci il suo regno di pace “mediante il diritto e la giustizia” (9, 5-6). Immagina che “il deserto diventerà un giardino” abitato dalla giustizia, afferma che “opera della giustizia sarà la pace e il frutto del diritto sarà la sicurezza” in modo che il “popolo abiterà in una dimora di pace” (32, 15-18). “Gocciolate, cieli, dall’alto e le nubi facciano piovere la giustizia! Si squarci la terra, fiorisca la salvezza e insieme germogli la giustizia” (Isaia 45,8). Geremia chiama il Signore “Giustizia Nostra” (Ger 23,6).
Amos vede scorrere “la giustizia come fiume e fonte perenne” (5, 24). Per Baruc Gerusalemme sarà avvolta dal “manto della giustizia” perché sarà chiamata “pace della giustizia e gloria della pietà” (5, 1-4). Un salmo immagina che “giustizia e pace si baceranno” (Sal 85, 11). In un altro salmo la regalità messianica rovescia i criteri del potere: “I poveri possederanno la terra e godranno una grande pace. I giusti possederanno la terra e la abiteranno per sempre” (Sal 37, 11.29). ). “Beati coloro che agiscono con giustizia e praticano il diritto in ogni tempo” (Sal 106,3). Forte è l’invito alla vigilanza: “Non c’è sincerità sulla loro bocca, i loro visceri sono colmi di malizia, la loro gola è un sepolcro spalancato, la loro lingua è tutta adulazione” (Sal 5, 10); poi alla scelta: “Amministrate la giustizia ogni mattina, liberate il derubato dalla mano dell’oppressore” (Ger 21,12).
S. Paolo chiama Cristo “nostra pace” perché ha abbattuto il muro di separazione tra i popoli, “annullando nella sua carne l’inimicizia” per renderci “concittadini dei santi e familiari di Dio” (Ef 2, 14-19). Secondo Giacomo “per coloro che fanno opera di pace viene seminato nella pace un frutto di giustizia” (Gc 3, 18). In Luca 11, 42 Gesù esclama: “Guai a voi, farisei, che pagate la decima sulla menta, sulla ruta e su tutte le erbe, e lasciate da parte la giustizia e l’amore di Dio”. Pietro si rende conto che “Dio non fa preferenza di persone, ma accoglie chi lo teme e pratica la giustizia a qualunque nazione appartenga” (Atti, 10, 35).
La giustizia vive in uno sforzo di superamento continuo: “Se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei non entrerete nel regno dei cieli” (Matteo 5, 20). In Matteo spiccano esempi di giustizia progressiva e traboccante che diventa pace: non uccidere, non lasciarsi travolgere dall’ira, riconciliarsi col fratello, purezza di cuore e di mente, non giurare, avere un linguaggio verace, amare i nemici, aiutare i bisognosi, non accumulare tesori, contemplare, pregare.
Vivere il Vangelo della giustizia e della pace.
Educarci alla pace e alla giustizia come credenti in una comunità che ascolta la Parola di Dio vuol dire vivere lo shalom biblico come benedizione e pienezza di vita, la giustizia come fedeltà di Dio al suo progetto d’amore, buona notizia della felicità umana, il Vangelo di Cristo, “ via, verità e vita” (Gv 14, 6), che è essenzialmente annuncio di pace: gloria cantata a Betlemme e saluto del Risorto, inno del Magnificat e cammino delle Beatitudini, mistero pasquale e vento di Pentecoste, pane eucaristico e relazione trinitaria.
Educarci alla pace e alla giustizia vuol dire cammino ecclesiale e civile per costruire assieme la casa comune partendo dai 4 pilastri della pace indicati da Giovanni XXIII nella “Pacem in terris” (1963): ricerca della verità, pratica di libertà, sete di giustizia, forza dell’amore.
Per il Concilio nella “Gaudium et spes” la pace viene definita “opera della giustizia” e “frutto dell’amore”,“un edificio da costruirsi continuamente” con “l’assidua pratica della fratellanza umana”(78). A causa di sentimenti di ostilità di disprezzo e di odio diventa di “estrema urgente necessità “ l’opera per “una rinnovata educazione degli animi e un nuovo orientamento nell’opinione pubblica, specie della gioventù…Ciascuno di noi deve adoperarsi per mutare il suo cuore mirando al mondo intero e a tutte quelle cose che gli uomini possono compiere insieme per condurre l’umanità verso un migliore destino” (82). Così facendo, ogni credente partecipa della funzione sacerdotale, profetica e regale nel popolo di Dio in cammino (“Lumen gentium”, 31, cap. IV), è sacerdote, profeta e re!
Non c’è pace senza giustizia, non c’è giustizia senza perdono, osservava Giovanni Paolo II nel messaggio mondiale del 2002; nel 2003 il messaggio era Pacem in terris: un impegno permanente; nel 2004 Un impegno sempre attuale: educare alla pace.
Nel febbraio 2007 Benedetto XVI vede nelle Beatitudini la magna carta della nonviolenza cristiana. Il 1 gennaio 2011 osserva che nei volti di chi soffre sta “la strada della pace”. In Germania (22.9. 2011) afferma che “la politica deve essere un impegno per la giustizia e creare così le condizioni di fondo per la pace”. Nel 2012 il messaggio mondiale è Educare i giovani alla giustizia e alla pace. Da parte sua il Sinodo della Chiesa veronese ci ha parlato di “Vangelo della carità” da vivere in una “identità dialogante” (Libro sinodale, 192, 194) e in “comunità accoglienti” dove la differenza è vissuta come “parabola della Trinità” (145).
Giustizia: biblicamente la fedeltà di Dio al suo progetto d’amore con l’umanità; virtù morale e costruzione della convivenza; ordine basato su equità e rettitudine; dare a ciascuno il suo: la differenza personale, l’uguaglianza della dignità, la relazione umana; competenza della politica orientata al bene comune: avere a cuore i più deboli, partire dagli ultimi; giustizia sociale, uguaglianza; legalità e sicurezza comune; sostanza della Costituzione italiana (“patto di amicizia e fraternità”), orizzonte della Dichiarazione universale dei diritti umani; primi articoli dello Statuto del Comune di Verona del 1992; economia sociale; cittadinanza umana; senso della politica in uno stato di diritto, “uno stato che non fosse retto secondo giustizia si ridurrebbe a una banda di ladri” (Agostino, De Civitate Dei IV); giustizia distributiva, restitutiva, riconciliativi, quindi pace…
Pace: biblicamente lo shalom come benedizione e pienezza di vita, opera della giustizia e suo completamento-superamento, ricerca della felicità, diventare umani, vivere come fratelli e sorelle figli del Dio della pace, gestire costruttivamente i conflitti (loro trasformazione nonviolenta), “amore in azione che crea comunione”, amore politico, etica del volto, amicizia liberatrice, convivialità delle differenze, disarmo integrale, riconciliazione, gratuità, perdono…
Porre segni, coltivare sogni, camminare assieme.
M. L. King nel 1964 osserva che ”i neri degli Stati Uniti hanno dimostrato che la nonviolenza non è passività servile, ma poderosa forza morale che provoca trasformazione sociale. Prima o poi tutti i popoli del mondo dovranno scoprire un modo di vivere insieme in pace e trasformare quindi questa incombente elegia funebre cosmica in salmo creativo di fratellanza. Se vogliamo avere pace in questo mondo, uomini e nazioni devono accettare l’affermazione nonviolenta che il fine e i mezzi devono essere coerenti. Si dovrà presto arrivare a considerare la pace non soltanto come una meta, ma anche come il mezzo con cui si può arrivare alla meta stessa. Dobbiamo raggiungere fini pacifici con mezzi pacifici. E questo equivale a dire che il fine e i mezzi devono essere coerenti perché il fine preesiste nei mezzi e mezzi distruttivi non potranno mai raggiungere un fine costruttivo”. Si può, quindi, dire, sii tu il sogno che cammina, sii tu il cambiamento umano che desideri. Esistenza personale e movimento di liberazione sociale si intrecciano. Mezzi e fini si promuovono l’un l’altr. Semi e alberi. Lavoro umile scavando in profondità e fioritura del grande albero. Bella la parabola del regno di Dio come piccolo chicco di senapa che cresce come albero che consola, ospita e allieta. Il sogno di giustizia e di pace, per essere credibile e concreto vive nei segni di giustizia e di pace. I segni, per avere senso e orizzonte, annunciano il sogno di giustizia e di pace. Quali sono i nostri segni? Quali segni poniamo nella terra o nella città veronese, nella chiesa veronese, nella nostra via?
Tanti sono i problemi presenti nella nostra città: raddoppio della cassa integrazione nel 2010 rispetto al 2009, disoccupazione giovanile sul 16% in città ma circa quattro volte di più nella provincia per i nuovi veronesi, precarietà logorante di tanti giovani, incidenti sul lavoro, aria inquinata a livelli alti, ambienti a rischio, carenze scolastiche, violenze urbane e domestiche contro donne e bambini, rischi di illegalità-corruzione nella società e nella politica, panico e voglia di respingere poche decine di persone già respinte anche dai nostri bombardamenti in Libia, forme di criminalità organizzata, tossicodipendenza, povertà crescente...
Quando si parla di valori-ideali come la giustizia e la pace, mi chiedo: a che punto e' la mia ricerca di tali valori, la mia vita nella giustizia e nella pace? Che cosa può significare oggi il termine giustizia e pace alle orecchie dei ragazzi-giovani con cui lavoriamo o che incontriamo ma anche a quelle degli insegnanti e degli operatori socio-educativi diventati adulti in questi nostri anni? E’ bene evitare le definizioni e andare dritti al cuore: all’esperienza personale, alla relazione educativa. Ciò che conta non sono le dichiarazioni di principio bensi' i processi. I processi comunicativi, relazionali, didattici, familiari, sociali, decisionali. A fare la differenza non sono le parole ma la pedagogia dei fatti: la qualità dello stare insieme, le modalità dell’ascolto e dell’accoglienza reciproca, la pratica del dialogo o del confronto, l’attraversamento dei conflitti.
L’educazione alla pace più interessante e più fertile è proprio quella che crea contesti e ambienti in cui si possano raccontare storie senza censure e giudizi, accettando il rischio del conflitto, perche' si e' disposti ad attraversarlo ed a valorizzare le opportunita' che offre per la crescita di tutti. Il lavoro di costruire la pace e giustizia nella vita quotidiana e nella nostra città a volte prigioniera di tante solitudini, impaurita, rabbiosa o rassegnata, preda dell’ossessione della ricchezza facile, governata dalla paura, coinvolta in logiche di autosufficienza tribale è difficile ma liberante e bello...Nessuna cultura o etica di pace è possibile se non si realizzano il disarmo delle menti e dei cuori, il disgelo del disamore, la smilitarizzazione del territorio civile e umano; se non si promuove il cantiere della cittadinanza attiva che è fatto di buone pratiche sociali e amministrative orientate al bene comune e alla sicurezza comune, di pratiche civili ed ecclesiali interattive, di dinamiche familiari costruttive, di percorsi di giustizia anche nella lotta a ogni forma di criminalità e di corruzione, di progetti di cooperazione, di atti di solidarietà, di fiorire di spazi e momenti di cura delle fragilità, di condivisione del disagio, di riconoscimento reciproco, di integrazione-interazione, di contemplazione e di preghiera, di celebrazione liturgica credibile, di bellezza artistica e di festa.
I testimoni di giustizia e pace ce lo dicono forte: mai farsi dominare dalla rassegnazione davanti al male e a tanti mali. Aprire anche l’indignazione alla fiducia nella possibilità di cambiare.
“Svelare la verità di un disordine abilmente celato e saturo di complicità, far conoscere la sofferenza degli emarginati e degli indifesi, annunciando ai poveri, in nome di Dio e della sua giustizia, che un mutamento è possibile, è uno stile profetico che educa a sperare” (Per un paese solidale, n. 19). Buono stile profetico è quello della nonviolenza che è, anzitutto, amore politico. Invece di urlare con enfasi padroni a casa nostra preferiamo dire: siamo tutti ospiti di una casa comune di cui siamo responsabili. Apparteniamo gli uni agli altri, ci educhiamo l’un l’altro.
Il coraggio e la passione di educare
Occorre accendere la passione educativa che è forza di liberazione dalle paure e dalle solitudini, dall’arroganza e dalla superficialità, dalla volgarità e della cinismo rassegnato; che è parola affidata tramandata, performativa…E’ formazione comune: curare i luoghi della formazione, investire sui giovani e con i giovani, aprire itinerari formativi, coscienti che nessuno educa solo con le parole, nessuno educa nessuno dall’alto, da fuori , nessuno si educa da solo, ma che ci educhiamo assieme coltivando buone relazioni con pratiche di ascolto e di comunicazione rispettose.
Il documento decennale “Educare alla vita buona del Vangelo” (2010) invita a «ravvivare il coraggio, anzi la passione per l’educare» (30) cioè «assumere come scelta di vita la passione per i ragazzi e i giovani, disposta ad ascoltarli, accoglierli e accompagnarli, a far loro proposte esigenti anche in contrasto con la mentalità corrente»(34 e 32). Vivere- realizzare «l’arte sovrana dell’educare» (Paolo VI) diventa «esperienza liberante della continua ricerca della verità, dell’adesione al bene e della contemplazione della bellezza» (13). Il contesto in cui ci troviamo dà ancora più forza alle parole di papa Montini «L’uomo contemporaneo ascolta più volentieri i testimoni che i maestri, o se ascolta i maestri lo fa perché sono dei testimoni» (34).
Educarci alla pace e alla giustizia vuol dire educarci come educatori credibili (credenti, coerenti), autorevoli (convinti cercatori di verità), amorevoli (relazionali e appassionati), affidabili (fiduciosi, veraci). Adottare e diffondere un linguaggio mite, gentile, umano e umanizzante…
Parliamo certo di processi, percorsi e contesti ma, soprattutto, occorre parlare-creare atti o gesti d’amore che aiutano, guariscono, consolano e salvano perché ognuno vale e importante, e cresce se è atteso, sognato, amato, amico. Ne abbiamo tutti bisogno. La volontà di educare è certo un dovere ma anche un piacere, quello di risvegliare la mente, di accendere il cuore, di cogliere una scintilla di luce negli occhi dei ragazzi e dei giovani, di mettersi in gioco. Voluntas presenta una parentela con voluptas. Il verbo volere indica una tensione intima verso ciò che si ama perché buono e bello. Volontà è anche forza vitale, slancio d’amore. Vuol dire andare spesso controcorrente...
Per farlo bene, è necessario sempre agire insieme…quindi, costruire ponti, attivare le reti presenti in città: quella della dignità umana, del bene comune e dei beni comuni, dell’ambiente, di un’economia di giustizia, del consumo critico, della finanza etica, del commercio equo-solidale; quella del dialogo tra culture-religioni, dell’ecumenismo; quella del disarmo delle menti, delle religioni, della cultura, dell’economia, della finanza, della politica (stiamo spendendo 15 miliardi di euro per 131 cacciabombardieri a Cameri), del linguaggio (disarmo è anche disarmare ogni immagine di Dio potente-violento). Quella dei nuovi stili di vita (a Verona l’esperto testimone è d. Giulio Battistella). Quella del decalogo della Perugia-Assisi del 25 settembre 2011. Quella della cooperazione locale e internazionale, dalla Palestina all’Africa, dall’America latina al Mediterraneo, del servizio civile. Quella di chi dice “nella mia città nessuno è straniero”, “nella Chiesa nessuno è straniero”, “L’Italia sono anch’io”…Quella che negli anni ’80 e ‘90 si raccoglieva attorno all’appello “Beati i costruttori di pace” e all’esortazione di tanti, come Tonino Bello, a promuovere convivialità con i popoli del Mediterraneo che sta diventando un cimitero di respinti. Egli, come il sindaco Giorgio La Pira, sognava che diventasse un grande lago di Tiberiade. In piedi costruttori di pace, ammoniva don Tonino nel 1989. Si sta in piedi davanti al risorto! Beati, belli sono i piedi di coloro che annunciano la pace, canta il profeta Isaia (52,7). Beati noi qui pronti a camminare seminando segni e coltivando sogni in ogni piccola cosa. Il poeta Andrea Zanzotto scriveva in Il vero tema : «Non c’è bruscolo di tempo / né di spazio / che non meriti per sé infiniti poemi / che già in sé non li sia».