Augurio di Capodanno 2012
CARI AMICI,
tra le diverse reazioni al mio “Augurio di Natale 2011” ve n'è stata una che mi salutava con un “Benvenuto nel club”: suppongo dei delusi dagli adulti, visto la riflessione-comunicazione che avevo svolto; oppure tra i delusi del mondo?
Incominciare un nuovo Anno - cosa che ci apprestiamo a fare - con questi pensieri (e “conclusioni”) non è il massimo, come si dice. Ma, qui, occorre, una precisazione: il mio Augurio di Natale non era un invito allo sconforto, né tanto meno alla rassegnazione. Piuttosto ad una speranza impegnata: non a caso concludevo con queste parole: “Ho ancora una fiducia (…). È possibile tornare al bambino, tornare alla verità e alla nonviolenza...”.
Si tratta di trovare il modo migliore di essere presenti nel mondo.
In un intervento il filosofo Mario Tronti, qualche tempo fa, aveva scritto:
“La bellezza salverà il mondo? Lo diceva quel tale. Ma lo prendevano appunto per pazzo. Ammesso che valga la pena di salvarlo questo mondo, penso che, in esso, malgrado tutto, sì, “la bellezza, o mio Fedro, solo la bellezza è insieme divina e visibile”. Allora: amor pulchritudinis (* amore per la bellezza), e odio per chi non sa vedere, non sa sentire, non sa contemplare, non sa stupire. Il mondo di oggi è tutto intero questo non sapere. Nessuna indulgenza. Ma anche nessuna durezza, o spietatezza. Guerra al mondo, senza violenza. È facile amare con furore. Il difficile è odiare con tenerezza”.
Sì, vale la pena “salvare” questo mondo (anche contro chi, tra i credenti, lo disprezza, e vorrebbe lasciarlo andare, tanto c'è “l'altro mondo” che ci aspetta).
Poco prima, Tronti affermava:
“Rimarrebbe la fuga mundi (* fuga dal mondo) dei Padri del deserto, se il deserto non fosse quasi tutto occupato da pozzi di petrolio, alcuni tra l’altro in fiamme. Pier Damiani inizia il racconto della vita di S. Romualdo con l’esclamazione di questi: mondo immondo, non mi avrai! Parole anch’esse oggi impronunciabili. L’invettiva è ridicola davanti alle cose soprattutto futili di questo mondo. L’indignazione è fuori luogo, fuori tempo rispetto alla fatua leggerezza di ogni relazione, malgrado il noto privilegio femminile per essa. L’odio per il mondo non è perché esso è cattivo, ma perché è stupido. Magari fosse il male ad armare la mano degli uomini. Ci sarebbe di che combattere. È invece l’insensatezza a inaridire il loro cuore. Non la follia, che è cosa santa. Ma l’insipienza, questa laica condizione umana. Da rileggere ogni mattina, appena svegli, il saggio musiliano Sulla stupidità.”
Va bene il suggerimento, accompagnando la lettura del saggio di Musil con quella, ancora più importante, e che vi consiglio, di Dietrich Bonhoeffer Della stupidità (in Dieci anni dopo. Un bilancio sul limitare del 1943), e quella, del successivo capitolo bonhoefferiano, Disprezzo degli uomini?
E, d'accordo: possiamo essere stupidi (talora, o spesso) - o, meglio, resi stupidi, come precisa Bonhoeffer - ma non siamo perduti, per sempre. Non solo possiamo amare, ma anche amare con tenerezza e fermezza insieme (meglio che "odiare con tenerezza”, come sostiene Tronti). Questo mondo va amato, non odiato (è, questa, la tentazione delle persone "religiose"). Compresi gli adulti. Anche quelli che vanno “combattuti” (o, meglio, amati nella lotta).
Questo l'ho imparato da Cristo e da Gandhi (e da san Francesco, e...).
Il mondo che va odiato è quel “mondo” di cui parla Giovanni nel suo Vangelo, non è il mondo così com'è, così come si presenta a noi nelle persone (compresa la nostra persona), ma quella parte, negativa, di noi e degli altri (e della storia) che dobbiamo amare se vogliamo cambiarla.
Talvolta, ad ogni nuovo e faticoso inizio, o, meglio, alle svolte della vita (e della storia), verrebbe la voglia di desistere e smettere di impegnarsi: “Tanto non serve a nulla” (… anche pochi giorni fa una persona mi ha chiesto: “Ma voi, eravate proprio convinti di fermare la nuova base militare?”).
Eppure, non possiamo fare a meno di impegnarci: non è solo per abitudine, quasi per forza d'inerzia, per “partito preso”, per cocciutaggine, bensì per fedeltà (e per “testimonianza”, direbbe un cristiano).
Ecco cosa scrisse uno storico cinese del IV secolo a.c., a proposito del filosofo Sung Tzu e dei suoi seguaci:
“Costantemente respinti ma mai scoraggiati, andarono in giro stato per lo stato aiutando la gente a comporre le loro divergenze, polemizzando contro gli attacchi unilaterali e propugnando la soppressione degli armamenti perché l'epoca in cui vivevano potesse essere salvata da uno stato di guerra continua. A questo scopo ebbero abboccamenti con principi e tennero lezioni alla gente comune, non ottenendo mai grandi successi, ma persistendo ostinatamente nel loro intento, finché tanto re quanto cittadini si stancarono ugualmente di ascoltarli. Ciò nonostante, per nulla intimoriti, continuarono a cercare di imporsi all'attenzione della gente”.
Ci attende un nuovo anno di impegni, di incontri, di parole (… e di scritti), di vita e di lotta. Consideriamo allora, e per finire, questo testo del poeta Eliot:
Sono dunque qui, nel mezzo del cammino, dopo vent'anni
Vent'anni del tutto perduti, anni entre deux guerre -
Cercando di apprendere l'uso delle parole, ogni tentativo
E' un ricominciare, una specie differente di rovina
Perché s'impara un uso migliore delle parole
Soltanto per quello che non diciamo,
per quello che non vogliamo più dire. Dunque ogni impresa
è un nuovo ricominciare, un assalto all'indistinto
con miseri strumenti che guastano
nel generale disordine dei sentimenti vaghi,
nelle sfuggenti schiere dell'emozione. Quanto c'è da conquistare,
con forza e sottomissione, è già svelato,
una volta e più, da uomini (e donne) che non si speri
d'emulare - non esiste disputa -
c'è soltanto lotta per ritrovare quanto perduto
trovato e perduto continuamente: adesso l'ordine
non sembra favorevole. Ma forse non si guadagna né si perde.
Per noi esiste soltanto la prova. Il resto non è affare nostro.
T.S. Eliot, East Coker
Un caldo Augurio di Buon 2012,
Maurizio Mazzetto