Augurio di Quaresima 2012
Ecco la cattiva novella: siamo perduti, irrimediabilmente perduti. Se c'è un vangelo, cioè una buona novella, deve partire dalla cattiva; siamo perduti, ma abbiamo un tetto, una casa, una patria: il piccolo pianeta in cui la vita si è creata il proprio giardino, in cui gli esseri umani hanno formato il loro focolare, in cui ormai l'umanità deve riconoscere la propria casa comune. Non è la Terra promessa, non è il paradiso terrestre. È la nostra patria, il luogo della nostra comunità di destino di vita e di morte terreni. Dobbiamo coltivare il nostro giardino terrestre, il che vuol dire civilizzare la Terra. Il vangelo degli uomini perduti e della Terra-Patria ci dice: dobbiamo esser fratelli, non perché saremo salvati, ma perché siamo perduti.
E. Morin, B. Kern, Terra-Patria, Raffaello Cortina, Milano 1994, p. 177
Cari amici,
è il primo anno che invio un Augurio di Quaresima, che si aggiunge agli altri che mando già da una decina d'anni. Come per quello di Avvento, ho pensato ora opportuno inviare agli amici cristiani (in genere, e in modalità diverse, praticanti) una riflessione che faccia riferimento a questo Tempo liturgico così importante.
Tempo di conversione, tempo di salvezza: così si definisce.
Forse, alla “salvezza” - così come veniva comunemente intesa fino a qualche anno fa - non ci crediamo più di tanto neppure noi (in sintonia con gli autori della citazione di apertura). E, a mio avviso, è bene così.
Quel concetto di “salvezza” era legato ad una certa immagine di Dio e dell' uomo: il primo, potente, anzi “onnipotente”; l'altro, pieno di limiti e miserabile peccatore, destinato, molto probabilmente, non solo al peccato sulla terra, ma anche alla condanna e al castigo in quello che veniva chiamato l' “al di là”.
Ebbene da questa visione di Dio, e dell'uomo, per quanto mi riguarda, sono uscito diversi anni fa; e per merito, soprattutto, di un autore (e testimone!) a me carissimo (come tutti sapete): Dietrich Bonhoeffer (1906-1945).
Oggi, nella situazione sociale e psicologica che stiamo attraversando, non è facile avere fede (nella salvezza, in Dio, ma anche nell'uomo). Tuttavia - e anche in questo caso -... è bene così.
Ciò significa che possiamo (dobbiamo) vivere questo tempo che ci è dato come tempo di purificazione della nostra fede, e, quindi, come tempo di rinnovamento: tempo di conversione, appunto.
D'altronde la Quaresima non è fondamentalmente questo Tempo di “grazia”, ossia di ritorno al Signore (la sua Parola) e ritorno ai fratelli (la Riconciliazione)?
Ora - seguendo le riflessioni che ho proposto a tutti nelle ultime lettere – mi sembra che ci siano tre strade da privilegiare oggi per il nostro “ritorno”, per la nostra crescita nella capacità di amare.
La prima.
Confrontandomi con alcuni di voi, che hanno risposto per mail o a voce alle ultime mie lettere, ho sentito la difficoltà che abbiamo nell'amare gli uomini di oggi. Sì, proprio quelli che la pensano diversamente da noi, e che, secondo la nostra visione e il nostro parere, sono complici di quel sistema (economico, politico, sociale, ma, se vogliamo, anche religioso) che ci ha portato a questa realtà di un mondo che, per riprendere l'espressione utilizzata recentemente da un amico, molto preoccupato, non è altro che “un mondo immondo” (io preferirei dire “ingiusto”).
Sì, va bene, può essere così: il mondo che abitiamo è “immondo”, è sporco, è degradato, è “perduto”(per riprendere la citazione d'inizio). Ma è il nostro mondo: è, appunto, la “nostra patria”. Qui e ora dobbiamo vivere e testimoniare il nostro essere uomini e cristiani.
E la prima modalità per dimostrare che amiamo davvero questo mondo e questi uomini (e, in tal modo, rispondiamo all'amore di Dio) è quello di accettarlo e di accoglierli e non disprezzarlo e rifiutarli.
Così insegnava Bonhoeffer:
“Chi disprezza un uomo non potrà ottenerne mai nulla. Niente di ciò che disprezziamo negli altri ci è completamente estraneo. (…) Dobbiamo imparare a valutare gli uomini più per quello che soffrono che per quello che fanno o non fanno. (…) Esiste un amore per gli uomini, sinceramente inteso, che equivale al loro disprezzo. Esso ha per fondamento una valutazione dell'uomo basata sui valori in lui latenti, sulla sua più profonda salute, ragionevolezza e bontà. (…) Si ama un'immagine dell'uomo che ci si è costruita con le proprie mani e che assomiglia ben poco alla realtà, e si finisce così per disprezzare ancora una volta l'uomo reale, che Dio ha amato e di cui ha assunto la natura”.
Bisogna, perciò, che impariamo ad ascoltare di più. Per capire di più, per servire di più (e meglio). Per donarci, davvero, fino in fondo,:fino... alla croce.
Senza l'ascolto - anche di coloro che, giustamente, combattiamo e contrastiamo, di coloro che sono i nostri avversari (ma non nemici) - non possiamo amare e servire nulla e nessuno.
Sempre Dietrich Bonhoeffer: “Il primo servizio che si deve al prossimo è quello di ascoltarlo. Chi non ascolta il fratello ben presto non saprà neppure ascoltare Dio”.
Perché, dunque, gli uomini di oggi - ossia la maggioranza di coloro che ci sono accanto e con i quali abbiamo a che fare ogni giorno (anche nelle parrocchie...) - pensano e si comportano così? Che cosa li spinge a farlo? Quali sono le loro motivazioni, o, più probabilmente, le loro paure e sofferenze? Ma anche le loro miserie (piccoli interessi e meschinità, difese e maschere, gelosie e invidie)?
E cosa possiamo/dobbiamo fare per soccorrere a queste miserie e debolezze?
Già ascoltarli (di più) può permetterci di aiutarli (meglio). Chiuderci in noi (e tra di noi) e allontanare gli altri, ci porta, alla fine, ad odiare l'umanità. A disperare di essa. E infine a disperare di Dio.
La seconda.
In secondo luogo - legando queste riflessioni e proposte alla crisi, non solo economica, che stiamo attraversando - penso che la Quaresima di quest'anno, più degli altri anni, possa essere un periodo in cui verifichiamo il nostro rapporto con le cose, con i nostri beni materiali.
E qui ciascuno deve fare le sue verifiche e le sue scelte.
Io vi offro solo un bel pensiero, nientemeno che di Karl Marx, un autore caro (quanto poco conosciuto e letto male): “Più il mondo delle cose aumenta di valore e più il mondo degli uomini si svaluta. L'uno è inversamente proporzionale all'altro”.
Non è vero che, in qualche modo, anche noi tante volte diamo preferenza alle cose (quelle, soprattutto, che ci appassionano di più, quelle che più amiamo) rispetto alle persone?
E, per quanto concerne la chiamata a dare di più ciò che abbiamo, così ha scritto un maestro orientale: “Si dovrebbe concepire il dare e l'avere come uno scambio naturale, un qualcosa che semplicemente avviene” (Chogyam Trungpa).
La terza.
Impegniamoci per il bene di tutti.
É la strada più in crisi oggi, quando la tentazione (elemento quaresimale!) di ritirarsi per salvare se stessi e il proprio gruppo (la propria razza, il proprio stato, la propria regione, la propria famiglia, la propria religione) - data la crisi che stiamo attraversando - è forte.
Vi riporto ora alcune parole che ho trovato in un libro che accompagna la preghiera quotidiana dei cristiani protestanti:
“Dove si combatte l'ingiustizia, lì è il luogo della comunità, che si richiama a Cristo. Come Lui, deve annunciare la giustizia e infrangere la signoria delle classi, l'onnipotenza delle banche, il buio delle razze, la stupidità delle masse. Dove c'è giustizia, cessa la miseria, e la terra si rinnova” (Lothar Zenetti).
Alla verifica e coerenza personale, deve sempre accompagnarsi l'impegno sociale (ossia per il bene comune). È soprattutto questo impegno che oggi - delusi dai risultati che abbiamo ottenuto e impigliati nelle ripetute difficoltà che incontriamo (anche con gli stessi compagni di lotta) - vorremmo abbandonare.
Non solo, c'è, in quella affermazione, molto di più (per un credente): “lì è il luogo della comunità che si richiama a Cristo”, ossia lì possiamo fare una vera esperienza di Chiesa.
Questo a me pare particolarmente importante, e, sinceramente, molto intrigante. Perché sembra in contraddizione con l'invito rivolto sopra ad essere vicini e ad ascoltare coloro che non condividono la nostra visione ed esperienza, anche nella Chiesa.
Però tante volte mi chiedo: qual è e dov'è la mia comunità (o, meglio, la “comunità che si richiama a Cristo”)? Qual è la comunità - a me vicina e di cui posso essere partecipe - che “combatte l'ingiustizia, ecc.”?
Sono domande, più che risposte, piste di ricerca e di lavoro personale (e, dove è possibile, comunitario) più che soluzione dei problemi.
Entrare, effettivamente e non formalmente, nello spirito della Quaresima, per “morire e risorgere con Cristo”, è un duro lavoro. Ma penso che valga la pena. Qualcuno ha scritto: “Quando c' è una meta anche il deserto è una strada”.
Buona Quaresima!
Maurizio