Ricordo di Giulio Girardi

Pubblichiamo l’intervento di Giovanni Franzoni in apertura della celebrazione del funerale di Giulio Girardi, nella comunità di san Paolo.
Giovanni Franzoni

Foto funerale Siamo qui convocati dallo Spirito intorno a un grano di frumento: la salma di Giulio che attende la resurrezione, come ogni grano di frumento attende di dar luogo alla spiga.
A me viene in mente in questo momento il soffio dello Spirito, che è sempre bereshit, all’inizio di ogni nostro modo di essere. Un tempo si traduceva che lo Spirito di Dio in modo impetuoso si muoveva sulle acque per dominare il caos e creare la vita. Poi dopo lo sforzo degli esegeti – fra cui anche il cattolico Von Rad, ma soprattutto gli ebrei – ci ha fatto capire che il fatto che lo Spirito fosse lo Spirito di Dio, questo non voleva dire di per se stesso che fosse impetuoso e furente, ma poteva essere anche carezzevole e caldo. Hanno degli esempi belli i rabbini nel Talmud. L’unica metafora a cui alludono è che lo Spirito di Dio è come un uccello che scende sul nido verso l’uovo e lo sfiora, lo tocca e non lo tocca. È incredibile questa espressione di Bar Thoma, il rabbino che ebbe questa intuizione. Perché lo tocca e non lo tocca? Perché l’uovo deve da solo generare la vita: è raro che gli uccelli spezzino l’uovo e ne estraggano in modo rapido il pulcino, è il pulcino che deve spezzare l’uovo. È un’immagine per me meravigliosa.
E qui noi siamo di fronte a un uovo, un uovo sul quale spira lo Spirito di Dio. Lo facciamo nella tradizione cristiana e se vogliamo anche cattolica. I segni di riconoscimento sono semplici, austeri: il pane e il vino sui quali invocheremo l’anamnesi, la memoria della Cena del Signore. Non c’è nulla di nuovo, nessun apparato simbolico. L’unica violazione è questa croce che proviene dal Salvador sulla Cena nel cenacolo: quando Gesù spezzò il pane con i suoi discepoli dicendo: “fate questo in memoria di me” la croce non c’era, ma era imminente
Per il resto, noi ci troviamo insieme, siamo di varie provenienze. Giulio era un seme e il seme non è di nessuno. Il seme è dei fratelli salesiani che lo hanno fatto crescere inizialmente, che lo hanno educato. Il seme è di coloro che hanno cercato di ascoltare la sua ricerca scientifica, filosofica e teologica, il suo modo di essere discepolo di Gesù e del Vangelo. Il seme attorno a cui noi auspichiamo la discesa dello Spirito che risuscita, della Resurrezione è di coloro che furono l’ultimo amore di Giulio: le popolazioni indigene dell’America Latina, ma potenzialmente le masse degli oppressi, dei sofferenti, di coloro che scuotono le catene dello sfruttamento e dell’oppressione per rendersi soggetto e protagonisti. E’ veramente il pulcino che rompe il guscio.
Secondo me molto – non dico tutto perché altrimenti saremmo nell’egemonia dell’assoluto dalla quale in genere in questa comunità rifuggiamo – ma credo che sia nella traduzione di quella espressione del primo versetto della Bibbia “lo Spirito di Dio merahefet”: ma veramente era un vento violento e impetuoso o era un soffio carezzevole? Io la risposta non ce l’ho, ma Giulio, soprattutto negli ultimi anni, quando ha cominciato a scrivere su Gandhi, sulla nonviolenza, su un’interpretazione non violenta di Che Guevara e del suo agire rivoluzionario, suggeriva di interpretare merahefet ‘soffiava’ come un soffio leggero, dolce, di cura sul seme, affinché dia il suo frutto, con estrema e drammatica nostra sofferenza di speranze e di attesa.
Grazie a te, Giulio, ma grazie soprattutto allo Spirito che soffia e fa crescere il seme che darà la spiga.

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