Ricordo di Giulio Girardi
Siamo qui convocati dallo Spirito intorno a un grano di frumento: la salma di Giulio che attende la resurrezione, come ogni grano di frumento attende di dar luogo alla spiga.
A me viene in mente in questo momento il soffio dello Spirito, che è sempre bereshit, all’inizio di ogni nostro modo di essere. Un tempo si traduceva che lo Spirito di Dio in modo impetuoso si muoveva sulle acque per dominare il caos e creare la vita. Poi dopo lo sforzo degli esegeti – fra cui anche il cattolico Von Rad, ma soprattutto gli ebrei – ci ha fatto capire che il fatto che lo Spirito fosse lo Spirito di Dio, questo non voleva dire di per se stesso che fosse impetuoso e furente, ma poteva essere anche carezzevole e caldo. Hanno degli esempi belli i rabbini nel Talmud. L’unica metafora a cui alludono è che lo Spirito di Dio è come un uccello che scende sul nido verso l’uovo e lo sfiora, lo tocca e non lo tocca. È incredibile questa espressione di Bar Thoma, il rabbino che ebbe questa intuizione. Perché lo tocca e non lo tocca? Perché l’uovo deve da solo generare la vita: è raro che gli uccelli spezzino l’uovo e ne estraggano in modo rapido il pulcino, è il pulcino che deve spezzare l’uovo. È un’immagine per me meravigliosa.
E qui noi siamo di fronte a un uovo, un uovo sul quale spira lo Spirito di Dio. Lo facciamo nella tradizione cristiana e se vogliamo anche cattolica. I segni di riconoscimento sono semplici, austeri: il pane e il vino sui quali invocheremo l’anamnesi, la memoria della Cena del Signore. Non c’è nulla di nuovo, nessun apparato simbolico. L’unica violazione è questa croce che proviene dal Salvador sulla Cena nel cenacolo: quando Gesù spezzò il pane con i suoi discepoli dicendo: “fate questo in memoria di me” la croce non c’era, ma era imminente
Per il resto, noi ci troviamo insieme, siamo di varie provenienze. Giulio era un seme e il seme non è di nessuno. Il seme è dei fratelli salesiani che lo hanno fatto crescere inizialmente, che lo hanno educato. Il seme è di coloro che hanno cercato di ascoltare la sua ricerca scientifica, filosofica e teologica, il suo modo di essere discepolo di Gesù e del Vangelo. Il seme attorno a cui noi auspichiamo la discesa dello Spirito che risuscita, della Resurrezione è di coloro che furono l’ultimo amore di Giulio: le popolazioni indigene dell’America Latina, ma potenzialmente le masse degli oppressi, dei sofferenti, di coloro che scuotono le catene dello sfruttamento e dell’oppressione per rendersi soggetto e protagonisti. E’ veramente il pulcino che rompe il guscio.
Secondo me molto – non dico tutto perché altrimenti saremmo nell’egemonia dell’assoluto dalla quale in genere in questa comunità rifuggiamo – ma credo che sia nella traduzione di quella espressione del primo versetto della Bibbia “lo Spirito di Dio merahefet”: ma veramente era un vento violento e impetuoso o era un soffio carezzevole? Io la risposta non ce l’ho, ma Giulio, soprattutto negli ultimi anni, quando ha cominciato a scrivere su Gandhi, sulla nonviolenza, su un’interpretazione non violenta di Che Guevara e del suo agire rivoluzionario, suggeriva di interpretare merahefet ‘soffiava’ come un soffio leggero, dolce, di cura sul seme, affinché dia il suo frutto, con estrema e drammatica nostra sofferenza di speranze e di attesa.
Grazie a te, Giulio, ma grazie soprattutto allo Spirito che soffia e fa crescere il seme che darà la spiga.