Romanzo di frontiera
Doppia difficoltà, quella di una donna latinoamericana migrante, che spera di costruirsi una vita migliore negli Stati Uniti. La prima difficoltà è quella di superare il Muro di contenzione dei flussi migratori, iniziato in parte già nell’Ottocento, e sviluppatosi a partire dal 1994 per concretizzare tre progetti locali anti-immigrazione: il progetto “Gatekeeper” in California, il progetto “Hold-the-Line” in Texas ed il progetto “Safeguard” in Arizona (presidenti Bill Clinton e George W. Bush). Questo Muro è in lamiera metallica sagomata, alto dai due ai quattro metri, si snoda per 1.123 km di lamiere e filo spinato, controllato a vista da migliaia di militari, costruito con il solo fine di ripristinare, dopo l’11 settembre 2001, la nuova ideologia: quella della “sicurezza”. É praticamente la seconda barriera artificiale al mondo per lunghezza, dopo la muraglia cinese. Il muro è illuminato da fari ad altissima intensità ed i suoi sensori elettronici e visori notturni sono collegati con le sedi della polizia di frontiera statunitense. In aggiunta a questo, esiste anche un sistema di vigilanza permanente, effettuato da terra e dall’aria tramite veicoli ed elicotteri armati. I clandestini vi penetrano, dopo aver pagato profumatamente i coyotes e i polleros, cioè degli accompagnatori illegali corrispondenti agli scafisti, che sfruttano gli immigrati trasportandoli su barconi nel nostro Mediterraneo. Una volta entrati, ciò che i clandestini temono di più non sono né gli automezzi né gli elicotteri militari bensì le squadre di volontari chiamate “cazamigrantes” (in Italia le chiamerebbero “ronde”) che acciuffano i clandestini e li consegnano alle caserme della polizia, dove vengono rinchiusi nelle locali galere (in Italia le chiamano Centri di Prima Accoglienza).
Ogni fine settimana, Tijuana è oggetto di una doppia circolazione migratoria: di giorno, messicani e latinos che, usufruendo di regolare permesso, si dirigono al Nord per andare a trovare i parenti immigrati negli USA. In senso contrario, migliaia di statunitensi si dirigono al Sud a "pasársela bien", come sintetizza il famoso cantante Manu Chao con "Welcome to Tijuana: tequila, sexo y marihuana". Alla domenica pomeriggio, la circolazione si inverte. Di notte, quando circa 10 mila latinos senza documenti regolari (cubani, guatemaltechi, salvadoregni, peruviani, equatoriani, ecc.) aspettano il momento propizio per dribblare i sensori, le telecamere, i fili spinati del Muro di frontiera, sperando di andare al Nord, di entrare nell'American dream, senza essere intercettati dai cani lupo, che vengono sguinzagliati dalle pattuglie motorizzate di controllo. (Cfr. internet e You Tube alla voce "Muro de Tijuana").
Lungo il muro di Tijuana, detto della vergogna, oltre alla difficoltà come migrante, la latinoamericana deve superare la sua vulnerabilità di donna. Corpo di donna è il tema di Romanzo di frontiera (Albatros, Roma, 2011), scritto da Azzurra Carpo, ex cooperante MLAL, operatrice Fondazione Migrantes-Vicenza, che ha condotto una ricerca in zona. Corpo di donna migrante, sul piatto asimmetrico dei rapporti di Potere tra persone del Nord e persone del Sud, in questo particolare momento storico di trasformazioni globali. Si parla di 3.000 donne latinas scomparse nel nulla. Si parla anche di un’oscura industria mafiosa pornografica specializzata in DVD di violenza estrema sul corpo delle donne. Questo libro non è una descrizione cronachistica; fa intuire la realtà ma non insegue esotismi o crudi dettagli morbosi di cui è avido il voyeurismo di certi programmi televisivi. Romanzo di frontiera si iscrive bensì alla scuola di Kapuscinski, che se ne intendeva delle solitudini e degli amori del Sud. Report, come testimone del nostro tempo. Report, con pathos e ethos, empatia di genere. Con passione e coraggio civile ma anche con poetica levità musicale. Magari con la fantasiosa creatività, musicalità e ironica allegria dei latinoamericani. Il Romanzo raccoglie una leggenda dei Caraibi secondo la quale, ogni volta che nel mondo c’è una violenza ad una donna, si afflosciano le corde di un pianoforte. Accordarle, è un po’ aggiustare il mondo. Tocca alla nostra indignazione, aggiustare un po’ il mondo, fare qualcosa, cioè fare magia civile.
Un viaggio, per toccare il delicato tema del corpo di donna, ma con realismo magico sulla scia della scuola latinoamericana ispirata al premio Nobel Gabriel García Márquez, a José María Arguedas, alla grande pittrice messicana Frida Kahlo e ad altri artisti.
Trama: 9 novembre 1989, giorno della caduta del Muro di Berlino, a La Avana (Cuba) giunge Ben, il protagonista maschile del romanzo, un accordatore di pianoforti di New York, scanzonato amante delle donne e della vita. Nello stesso momento, a Berlino, il grande musicista russo Slava Rostropovith esegue una suite di Beethoven: cade il Muro. Secondo la leggenda caraibica, solo il potere della musica, cioè della cultura e della civiltà democratica, potrà far cadere i tanti Muri della storia. Quelli fisici, militari, politici, religiosi, etnici, ideologici, omofobici, razzisti, e, i più difficili, quelli del potere misogino. La protagonista femminile è una giovanissima pianista cubana, si chiama Leonor. Sogna di diventare un’artista famosa. Vuole raggiungere gli Stati Uniti, passando dal Messico. Dopo un’odissea di due anni, dove si adatta a qualsiasi lavoro, Leonor riesce ad arrivare alla frontiera tra Messico e Stati Uniti, a Tijuana. E’ l’11 settembre 2001. Ma visto dal Sud. Visto con gli occhi delle donne. Subito sul corpo delle donne. Lungo il Muro della vergogna, ogni notte, le donne come Leonor devono gettare il proprio corpo al di là della barriera per poi andare a riprenderselo. Non è detto che sempre lo ritrovino, a Tijuana. E la narrazione assume i tratti stilistici di “frontiera porosa” tra la scontata realtà e la sorprendente magia, tra generi di musica, tra gli ibridismi magmatici di cento lingue contaminate di frontiera, tra la vita contingente e l’arte eterna dei “poeti che non muoiono mai ”, cantando la forza della donna che nessun Muro riuscirà a fermare.