Augurio nella ripresa 2012

3 settembre 2012 - Maurizio Mazzetto

IPAZIA
Le nostre aspirazioni s'infrangono
tra queste mura putride e formicolanti.
Bisogna rientrare nell'ombra, ricominciare da capo la nostra opera.
(Mario Luzi, Libro di Ipazia, 1978)

Ciò che noi sappiamo sin d'ora è che
la vita sarà tanto meno inumana quanto più grande sarà
la capacità individuale di pensare e agire.
(Simone Weil)

CARI AMICI,
tre sere fa, partecipando a una serata al Festival NO DAL MOLIN, a Vicenza, incontro un amico, il quale mi pone la medesima, problematica, domanda che spesso, da voi, mi viene posta: "Maurizio, offrimi un motivo di speranza!". Risposta mia: "Mah! Mi è difficile trovarla, così su due piedi; e se penso solo all'ultima settimana, ho partecipato a due incontri con amici e compagni di lotta dove le persone mi hanno deluso...".
La crisi attuale - che sappiamo essere non solo economica/lavorativa, ma anche più strutturale e profonda: si rivela, in essa, la crisi di un modello di società e di umanità, oltre che di politica e di economia - ci travolge tutti, anche chi ha un lavoro, o chi, in un modo o nell'altro, è "garantito".
Tutto è in crisi. E tutti, personalmente, lo siamo. Dove trovare, appunto, motivi di speranza? per riprendere - con, almeno, un po' di vigore e convinzione, se non proprio di entusiasmo - la vita di ogni giorno. E da dove ripartire? Dal momento che la ripresa delle attività ordinarie, dopo la pausa estiva, potrebbe davvero interrogarci su che strade vogliamo prendere, individualmente e comunitariamente.
Qualcuno potrebbe pensare: ripartiamo dai bambini, ripartiamo dalle nuove generazioni, rifacciamo il mondo da lì, da loro. Può essere una buona idea. Guardando i bambini - e spesso anche i ragazzi e i giovani, al di là delle mode di cui sono vittime, non meno, peraltro, di noi adulti - come ho avuto già modo di dire, riprendo io stesso la fiducia che, talora, ho perduto. Ma vale la pena, a tal proposito, confrontarsi con una riflessione di questo tipo (che condivido solo in parte, ma ci fa pensare):
“La nostra maggiore preoccupazione dovrebbero tornare ad essere i bambini. Non è da adesso che ce la cantiamo con slogan “il futuro sono i bambini”, “la speranza del mondo sono i bambini”. Non credo ci sia ipocrisia più grande. Dei bambini come futuro, a questo nostro mondo presente non sembra importare affatto. E d'altronde, se è da tempo che lo slogan corre, si può constatare molto facilmente quanto sia bugiardo: forse che il mondo è migliorato man mano che i bambini degli anni passati diventavano adulti? Che noi diventavamo “grandi”? Anche le scuole e le famiglie e le società e le istituzioni migliori del mondo in fatto di educazione dell'infanzia, hanno dovuto verificare come, una volta adulti, quei bambini allevati nei modi migliori finivano per accettare un mondo che invece di migliore andava peggiorando e ferinizzandosi, e farsi da adulti non meno egoisti e cattivi dei loro nonni e genitori. Conosco bene l'Italia: forse che gli adulti emiliani di sinistra, cresciuti da bambini in asili e scuole modello, considerati allora tra i più belli del mondo, sono davvero migliori di quelli brianzoli e leghisti? O veneti, o calabresi, o siciliani?”. (Goffredo Fofi, Salvare gli innocenti. Una pedagogia per i tempi di crisi, Edizioni la Meridiana, 2012, p. 29). Qualche altro va dicendo: ripartiamo da noi stessi! E pure questo è una cosa buona e giusta: è ciò che, certamente, anche se limitatamente, possiamo e dobbiamo fare. Una frase che corre spesso tra di noi, una delle più belle, è quella di Gandhi, che cito a memoria: "Sii tu stesso il cambiamento che vorresti vedere nel mondo!". E' una convinzione che trova il suo riscontro in tutte le tradizioni e proposte spirituali e religiose del mondo. Come diceva lo stesso Padre Ernesto Balducci, che abbiamo ricordato più volte quest'anno: "Nei ritmi dell'esistenza, ogni piccola scelta potrà sembrare inutile, ma può essere la cellula che manca, il raccordo vitale necessario per qualcosa di più ampio, di più grande".
Solo che Gandhi - e noi con lui - aveva in mente non solo una conversione e coerenza personale, ma anche una rivoluzione, sociale, economica e politica, necessaria per il raggiungimento del bene di tutti. Una rivoluzione, tra l'altro, che può partire solo dal basso; ancora Balducci: "Dai palazzi non possono venire ventate di speranza, ma vengono semmai le polizie a frenare la speranza".
Una buona sintesi, quanto all'atteggiamento da assumere oggi, potrebbe essere questa, offertaci da Enrico Peyretti: “Mi sembra di vedere, nella vita, alcune fasi non necessarie né automatiche, ma armoniche: anzitutto illusione, delusione, dedizione. L'illusione non è male: permette di andare con coraggio ed entusiasmo nelle imprese dell'imparare, operare, costruire, amare. La delusione non è male: mostra il limite di ogni cosa ed esperienza, a cominciare da noi stessi, dal nostro lavoro, dal nostro sapere. La dedizione è bene: supera l'illusione e la delusione cercando di dare ciò che si è ricevuto, e possibilmente immaginare e creare di più”. (in Rocca, 1.7.2011).
Riprendiamo, dunque, il cammino, nella fedeltà e nella perseveranza, e, per chi crede, cercando di “non trattare”, cioè di non svendere, la nostra fede. Ecco alcune righe di una canzone - scritta, in alcune sue parti, come un salmo imprecatorio della Bibbia - di un musicista che in molti amiamo, Vinicio Capossela:
"Non trattare. Non trattare / non trattare... la tua fede non trattare // Non trattare / non ti frantumare / o il peccato ti renda mortale / (e mantieni l'unità) (…) // Se non chiedi non ti sarà dato / se non cerchi non sarai trovato / Non sappia la tua destra / che fa la tua sinistra / non gettare le tue perle ai cani, / a chi non vede / affinché non ti sbrani // Per amore verrà divorato / chi all'amore in pasto si è dato / a Babilonia la gran prostituta / che ha bevuto del sangue dei profeti (…) / eccolo l'empio / che viene gonfio d'orgoglio / chiomato come un cedro del Libano // Guardali, Signore / latran come cani / escono la sera / son tutt'intorno alla mia casa / ma tu che sei la mia forza e la grazia / sii tu la mia roccia / Perciò non trattare / non trattare / la tua fede non trattare // E intanto / nei giorni che hai contati / nel niente sotto il sole / a mascellate d'asino / difenderai il tuo cuore...".
Sì, come diceva don Tonino Bello: “In tempo di alluvione è necessario mettere in salvo la semente”. Metterla in salvo e non svenderla (svenderci) affatto. Continuiamo, perciò, a cercare, a servire, e a fare il bene (“Ciò che è giusto...”), anche quando, come in questi tempi, è difficile sperare: “Tu ricordati di FARE IL BENE CON DISPERAZIONE. Se fosse con soddisfazione, chi non farebbe bene? È bene perché fatto con disperazione; perché abbandonato – a ogni costo – a qualunque opinione. E del resto, apri tranquillo il suo solco, e lascia cadere il tuo seme. Tanto il vento e il sole sono di Dio”. (Piero Jahier, Con me e con gli alpini, Mursia, 2005 (or. 1918), p. 37).
Un abbraccio a ciascuno, che ci infonda forza, coraggio e fedeltà,

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