Inquietudine e tormento, passione e tenerezza
Contributo per l’assemblea “Chiesa di tutti, chiesa dei poveri”, Roma – 15 settembre 2012
Fare memoria creativa del Concilio vuol dire attivarne le dinamiche generatrici. Per essere Chiesa di tutti, Chiesa povera e dei poveri, una Chiesa fedele al Concilio Vaticano II deve testimoniare il legame inscindibile tra pace e giustizia e vivere la profezia della pace di Cristo “nostra pace” nella vita quotidiana, nella dimensione formativa-educativa, nell’azione civile ed ecclesiale, nelle dinamiche socio-economiche e nelle istanze politico-istituzionali. Il Concilio nasce dall’esigenza di costruire, assieme a tutti gli uomini di buona volontà, “un nuovo ordine internazionale” promotore dello sviluppo integrale della persona e dell’unità della famiglia umana.
Sul tema della pace il Concilio non ha pienamente recepito le sollecitazioni della “Pacem in terris” – quelle del rifiuto della guerra moderna intesa come fenomeno “alienum a ratione” (collocato in una nota della “Gaudium et spes”) e quelle della simultaneità di libertà-verità-giustizia-amore come “pilastri” della casa della pace, come valori universali interdipendenti, presenti nella ricerca umana, nelle scelte esistenziali e nell’esperienza ecclesiale. Ma ha aperto una strada, ha deposto un seme fecondo di bene. Occorre curarlo.
Le due solenni dichiarazioni contro la guerra moderna totale e contro la corsa agli armamenti; l’esortazione a considerare i problemi bellici “con mentalità completamente nuova”, a concepire la pace con mezzi di pace, a coniugare pace, giustizia e amore; lo spazio per l’obiezione di coscienza e altro contengono le premesse per praticare la nonviolenza come formazione costante, scelta etica, azione civile, progetto politico, economia di giustizia, cittadinanza attiva, civiltà del diritto, cammino di fede, testimonianza evangelica, esperienza ecclesiale di popolo. Con il Concilio possiamo dire che la pace è possibile e va costruita ogni giorno in ogni ambito della vita personale e comunitaria.
Assieme ad altri documenti, la “Lumen gentium” e la “Gaudium et spes” hanno riaperto il cantiere delle Beatitudini. Hanno rinnovato l’impegno laico cristiano, ecumenico e universale, per il disarmo nucleare e convenzionale, per la trasformazione nonviolenta dei conflitti, per itinerari di riconciliazione, per un’economia di giustizia, per una politica promotrice del bene comune, per la riduzione delle spese militari e il blocco di progetti di armamenti devastanti (e anticostituzionali), per la riconversione civile dell’industria bellica, per il controllo e la riduzione del commercio delle armi, per il rispetto del creato, per la centralità di un’Onu rinnovata e autorevole, per una reale cooperazione internazionale, per il dialogo ecumenico e interreligioso, per l’accoglienza e la sicurezza comune, per la cittadinanza umana.
In tale contesto, valorizzando e rilanciando il movimento ecumenico per la pace, la giustizia e il rispetto del creato, è possibile avviare percorsi conciliari verso il progetto, espresso nel 1934 dal teologo luterano antinazista Dietrich Bonhoeffer, di un Concilio ecumenico delle Chiese cristiane per la pace. Il Concilio Vaticano II è un bene comune universale da curare con amore tenace. L’azione da compiere è grande, quotidiana e planetaria a un tempo.
Carlo Maria Martini, in un video-messaggio per l'Assemblea nazionale di Pax Christi a Triuggio nell'aprile 2010, ci diceva che “un operatore di pace deve essere disposto a soffrire molto”. La pace per noi in quest'epoca “magnifica e terribile” è, contemporaneamente, inquietudine e tormento, passione e tenerezza. Una Chiesa fedele al Concilio può attivare esperienze e pratiche atte a risvegliare, dal torpore o dal freddo, la fragile aurora sorta nell’ottobre del 1962. Della sua luminosa eredità siamo tutti padri e madri, figli e figlie. Promotori responsabili.