Augurio di natale 2012
Invece di pensare indietro, questi sono i giorni in cui superare la storia che si racconta e vedere le Alte Frontiere dove tutto si appoggia in avanti inchinandosi davanti al mistero, senza paura, nel silenzio del sole lontano.
Davide Sapienza, La Valle di Ognidove, CdA & Vivalda, 2007, p. 146
CARI AMICI,
è così. Arriva anche Natale.
Uno non può farci niente.
Se non pensare a come lo vivranno i poveri delle favelas brasiliane o indiane che ha visitato, come è capitato a me. Se non ricordare, come io voglio fare, a come lo trascorsero i soldati italiani nella steppa russa, a trenta o quaranta gradi sottozero, o i partigiani e antifascisti che vissero il loro ultimo Natale nelle prigioni del regime, prima di essere fucilati.
Il resto, ossia ciò che ammorba di sentimentalismo e di sdolcinate melodie, il vero significato di questa festa, lo sopporta con pazienza, come cerco di fare io, e penso anche molti di voi che mi leggete.
Alla ricerca del vero sentimento e del valore universale di questa realtà: la nascita di un bambino, del profeta di Nazareth, del Salvatore, per chi è credente.
Festa dell'amicizia - di Dio con l'umanità, anzitutto -, della famiglia (visto che la nascita di un bimbo rallegra la vita di una coppia, oltre che la responsabilizza), della società che, comunque, sente un appello ad una maggior “bontà”, ossia, tradotta in maniera seria, un appello alla giustizia e alla pace.
“Alla nascita d'un bimbo / il mondo non è mai pronto”, ha scritto la poetessa Wislawa Szynborska.
Mai pronto, perché il nuovo nato chiede dignità, considerazione, spazio per vivere. Mentre i vecchi stanno saldi al potere. O vorrebbero tornarci. Recentissime, e vergognose, vicende italiane, mi hanno fatto pensare ad una frase ascoltata a teatro qualche mese fa: “Chi i confini del lecito ha potuto varcare / finirà col violare i confini più sacri; / anche il male, come il bene, ha le sue gradazioni: / mai s'è vista la timida innocenza / passare d'improvviso all'estrema licenza” (Jean Racine, Fedra, Atto quarto, Scena II). Il problema, in realtà, è nostro, che abbiamo lasciato passare“i confini del lecito”, oltre che del dignitoso.
Ma vi sono anche i vecchi del potere religioso (magari non di età, ma di mentalità); vi sono i padri (“la società dei padri”) che vorrebbero sacrificare i figli (come, quel giorno, Abramo), ossia i giovani che oggi non trovano lavoro e spazio nella vita sociale; infine, ci siamo tutti noi, non sempre disponibili a“vedere le Alte Frontiere dove tutto si appoggia in avanti inchinandosi davanti al mistero” come dice l'esergo che ho posto a questo Augurio.
Lasciamoci condurre, piuttosto, dai giovani (ve ne sono di splendidi, in mezzo a tanti che sono preda della banalità, dell'ottusità e del degrado degli adulti) e dai bambini che ancora, e nonostante tutto, facciamo nascere, perché non abbiamo perso la fiducia nell'uomo.
Talvolta, o spesso, ci preoccupiamo troppo per i nostri figli. O, meglio, ce ne preoccupiamo in maniera sbagliata. Ansiosa. Sono, essi, vittime delle nostre paure.
Così diceva Martin Luther King: “Non preoccupatevi per i vostri figli, non gli succederà niente di male. E se vogliono andare in prigione (* a causa delle manifestazioni di protesta) non ostacolateli. Perché quel che fanno non lo fanno soltanto per se stessi, ma lo fanno per tutta l'America, per tutta l'umanità. Sta scritto: “Un fanciullo li condurrà”. Ricordate che c'è stato un altro fanciullo, di dodici anni appena, che quella volta a Gerusalemme si è impegnato in un dibattito... Ha detto: “Devo occuparmi delle cose di mio padre”. Questi giovani si occupano delle cose dei loro padri” (Discorso a un'assemblea a Birmingham, in Autobiografia, Mondadori, 2000, p. 214).
Vivere il Natale è fare spazio al futuro che ci viene incontro, è superare lo sconforto del momento presente, è credere che il bene è più forte del male.
È non perdere la speranza. È ritrovare il coraggio di vivere.
Questo il mio Augurio per questo difficile Natale 2012.
Maurizio Mazzetto