Ad caelum

Don tonino spm
16 gennaio 2013 - Nunzia Scardigno

Sì, mi dissero che era arrivato il nuovo vescovo una mattina come le altre in cui mi ero affrettata al seminario. Non ci feci caso, pur trovandomi a avere a che fare con un cumulo di libri malamente conservati nella biblioteca compresavi. Ci avevi appena messo piede, fresco di nomina. Non avevo trasporto né per la religione cattolica né per i suoi rappresentanti. Di vescovi ne avevo conosciuto uno allorquando dietro consiglio di un buon conoscente mi ero portata in curia per chiedere di aiutarmi a trovare un impiego, una buca tra le tante e senza convinzione alcuna, a tacere il resto. Coi preti ci avevo avuto a che fare un po' di più, non escluso il rettore del complesso, che procurava di sovrintendere tre giorni sì e due no al lavoro delle stipendiate alla sistemazione del materiale librario ivi custodito. Il frutto di una convenzione stipulata su territorio nazionale tra Stato e enti privati per la 'valorizzazione del patrimonio culturale', di fatto una soluzione decisamente opportuna dati i tempi per avviare e assorbire nella catena produttiva migliaia di giovani disoccupati.
Il rettore dunque. Non altro che oggetto di risa e recriminazioni per la caparbietà con cui s'era assunto il ruolo di controllore del gruppo operativo a che s'attenesse alle regole. Quali? Doveva ben saperle lui e intendersene dell'interpretazione anche se pretendeva che si rispettassero. Costui rappresentava la summa dell'immaginario pretesco che s'era andato formando nella mia testa durante la crescita. Quello maggiormente negativo intendo, fatto di tenebrosità, viscidume, laidezza. Vestiario, movimenti, gesti, toni di voce, parole... da capo a piedi era intriso di ogni artificio e ipocrisia affinatasi in duemila anni di esercizio del potere nei luoghi chiusi del regno di Dio. Per la cura che avesse del proprio corpo ivi compresa l'immancabile essenza profumata, ahimè, emanava inconfondibile l'odore di putrescenza stantia che afferrava alle narici a distanza. Non dovrei dirlo, ma destava in me ripugnanze da non credersi.
Non sarà lo Stato, non sarà lo Stato, non faceva che ripetere e ribadire, a scavalcare e sostituirsi alla Chiesa, né a impossessarsi subdolamente del suo patrimonio. Questo in mancanza dei raptus predicatormistici da cui era facilmente colto. In tali casi prendevano il via interminabili sermoni accompagnati da intonazioni e performance gestualdeclamatorie quasi si rivolgessero da un altissimo pulpito a una nutrita folla di entusiasti. Quanto esercizio gli era costato il raggiungimento di siffatta perizia? Quanto a lungo doveva aver covato, provato e riprovato in solitudine esibizioni del genere in vista del momento fatidico? Fin dove miravano le sue aspirazioni? chi erano gli illustri precedessori suoi esempi? E chi poteva saperlo? Fatto sta che nei frangenti il nostro si compenetrava talmente nelle solenni vesti da perdere completamente il contatto con la realtà. S'invasava, pian piano si riempiva e gonfiava della sua stessa retorica, lievitava come un pallone in rigonfiamento, e con un vero e proprio decollo partiva per attraversare mari e monti, chiamando a testimoni padri e santi della Chiesa che col loro sacrificio avevano reso grande e immortale la casa del Signore contribuendo nei secoli a innalzare gli spiriti... innalzare gli spiriti... Alla terza reiterazione dell'elevazione di qualcosa non meglio definita ma che aveva a che fare di nuovo con gli spiriti si rendeva necessario da parte del misero pubblico incredulo, irrefrenabile nel cogliere la ridicolaggine di cotanta fuori posto capacità oratoria, farlo ridiscendere in terra e addivenire a condizioni più ragionevoli con un autorevole altisonante richiamo all'ordine. Che dice! che sta dicendo! si rende conto? il grido di stop.
Rispetto alla netta divisione dei beni tra i contendenti, memore evidentemente dei gloriosi espropri messi a segno in epoche andate s'era autonominato paladino supremo di ciò che restava ancora in possesso dei tenutari delle dimore del Padre. Se a qualcuno spettava affondare le mani nei possedimenti religiosi doveva trattarsi di uno di famiglia, alias nella casa dei suonatori non si suona. Eccome se non assolveva al ruolo di supervisore il rettore! A cominciare dagli orari. Puntualità! Puntualità! Segno imprescindibile di decoro viste le circostanze da esigere dalle dipendenti. Non era raro che avesse da cercare o consultare un libro all'ora d'entrata, nascosto nel semibuio delle polverose stanze sul percorso per il fondo illuminato dalla luce di due finestroni e idoneo perciò ai lavori. Lo scopo? Direi gli scopi. Cogliere di sorpresa la ritardataria puntando a spaventarla e mandarle il messaggio ti vedo! ci sono a rilevare la grave infrazione! pentiti! pentiti! obbedisci agli ordini! l'orario d'ingresso è alle otto, sei in fallo di dieci minuti! A seguire la registrazione costante dell'andamento delle operazioni. In base a quali criteri poi era e resterà un mistero. A volergli chiedere i minuti necessari a suo parere per decifrare e decodificare frontespizi pieni zeppi di nomi, titoli, sottotitoli, dedicatari, dedicatori, città, stamperie, tipografi, date, in lingua latina, classificarli, collocarli secondo argomento ecc. dubito sarebbe stato in grado di rimandare una risposta pertinente. In breve, presto risultò che non gli sfuggiva niente delle attività in corso apertamente o dietro le quinte comprese le pause e gli intercalari sollazzevoli che con abbondanza il gruppo faceva entrare nelle pieghe delle mattinate. Sì, era vivace il gruppetto, inventivo, propenso a scambiare occorsi privati, aneddoti e varie che servissero a interrompere la cadenza monotona e regolata degli andirivieni dei libri dagli scaffali all'inizio durante e dopo la disamina. Spiava, spiava, a tutto spiano il responsabile. Di qui l'inevitabile attrezzarsi delle sciagurate in questione per eluderne la funzione non perché non si volesse lavorare o si avesse l'intenzione di approfittare del contesto, ma perché, andiamo, non era lui che pagava. La proprietà? poteva ben friggersela il don! ciò che di commerciabile vi era contenuto tra recessi e suppellettili era stato periziosamente trafugato e piazzato sul libero mercato per tempo. Insomma, si sarebbe fatto volentieri a meno del suo insulso ingombro.
"È un bell'uomo, l'ho visto, finalmente l'ho visto il vescovo" tornò a parlarne una di noi curiosa e attenta agli accadimenti nel vuoto casermone.
"Davvero? dove?"
"Nel corridoio, stamattina, ha salutato e io ho risposto".
"E basta?"
"E basta, che altro?"
Eri in ricognizione. Avevi preso a aggirarti nei solitari spazi per renderti conto di chi ci abitava e chi c'entrava di passaggio per poi scomparire. Chi erano le giovani donne che ti passavano davanti nei giorni feriali e cosa ci facessero nell'ala sinistra imboscate in qualche angoletto? Catechiste? assistenti? volontarie? Avrai fatto domande per informarti e ti saranno state date risposte raffazzonate su due piedi per fartene sapere il meno possibile. Lasciai correre ancora, anche quando ti incrociai a mia volta sul percorso di uscita e ti salutai ricambiata. Era l'autunno del 1982.
Pian piano arrivarono indizi che ti riguardavano. Nell'atrio antistante l'ingresso, di là dal cancello vidi sostare un sabato un certo assembramento di gente. A lato della strada accostato al marciapiede della villa comunale era fermo un pullman con nessuno a bordo.
"Chi sono?" chiesi incuriosita.
"Vengono per il vescovo, dal paese suo, vengono a trovarlo ogni domenica. Oggi hanno anticipato. Quelli della parrocchia di prima. Lui è contento. La prima cosa che fa si mette a distribuire caramelle ai bambini, se ne prepara pacchi interi. Sono affezionati, assai, non si rassegnano a non averlo più con loro". Tanto mi bastò a non dar per scontato niente circa la tua persona. Inconsolabili fedeli avevano trovato il modo di continuare il legame col loro pastore assicurandosi settimanalmente il rinnovo dell'incontro con lui. Una testimonianza di attaccamento non comune. Per farti piacere portavano insieme i loro bambini che tu dovevi amare non poco.
"Non l'ho mai visto così felice" fu l'aggiunta. Il rimpianto, avevi il rimpianto del tuo mondo, del tuo paese. Dovevi sentirti molto solo catapultato giovane e all'insaputa in una nuova realtà investito, di compiti superiori che in obbedienza avevi accettato. Presi a interessarmi a te, a quello che facevi. Chi eri dunque?
Giunsero le copie del giornale della diocesi per l'archiviazione di routine, una delle nostre mansioni, con editoriali a tua firma. Quale occasione migliore per conoscerti meglio? Mi detti a leggere le tue colonne, per sommi capi, per sommi capi però. Cosa aspettarsi da un prete sia pure con un devoto seguito alle spalle? La scrittura la trovavo accattivante. Sorvolando interi periodi concernenti argomenti prettamente religiosi, subii di botto un arresto. Diritto al cuore mi giunse un tuo appello agli uomini di cultura, ai consapevoli tutti, a destarsi, venir fuori dalle tane, abbandonare i rifugi in cui restare in totale disarmo ma comodamente trincerati invece di uscire allo scoperto e dare una mano, collaborare a affrontare le innumerevoli contraddizioni che fioccavano intorno. A chi ti rivolgevi dio buono? Ai cattolici delusi? ai laici disillusi? E da che elementi ti risultava che nel paese c'erano risorse congelate, quasi avvolte e accomunate da una disperante rassegnazione, mentre volgari affaristi occupavano la scena a trecentosessanta gradi? Fu come avessi saputo e parlassi a me, a tanti uguali a me, ciascuno chiuso nel proprio privato, a debita distanza dal bivacco di campeggiatori laici e non affondati nei trogoli fino al collo. E fu come riportarmi d'un colpo a me stessa. Sì, avevo scelto la tana, un riparo caldo da un esterno insostenibile da tempi immemori. Avevo smesso di coinvolgermi se pure questo termine è da usare trattandosi nel mio caso di mere velleità giovanili. Intanto che la sinistra - ero stata di sinistra io, sai, ero partita da lì - avanzava trionfante sull'autostrada dell'oscurantismo appianando qualsivoglia tentativo e ricerca di opporvisi in un fosco pantano ecco che dal versante opposto s'apriva uno spiraglio. Sorpresa? No, attenta e ricettiva. Abbiate fiducia, abbiate speranza, riprendiamo insieme il cammino smarrito! Coraggio, c'è bisogno di voi! persistevano a risuonarmi in mente le tue parole.
Continuavo a chiedermi chi fossi, così capace negli scritti di colpire nel segno. Chi avrebbe ascoltato e risposto al tuo appello? Non io di sicuro, non io, pur essendone rimasta di sasso. Da non cattolica mi trovavo nell'impossibilità di incontrarti nei luoghi deputati... lascio stare, lascio stare il resto. A me, don Tonino, quando tu stilavi con penna d'oro - non eccedo, conosco cosa comporta certa modestia - il tuo messaggio d'amore e l'abbandonavi alla corrente fiducioso che qualcuno lo raccogliesse bastava e avanzava il privato.
Giunse il giorno che inaspettato superasti la soglia dell'ampia sala di lettura e ti presentasti discreto nel nostro covo. Sia pure con discrezione trasmettesti subito ben altra autorità che ci si aspetterebbe da un recente investito. Tu vescovo? chi l'avrebbe creduto? Giovane eri, giovane e aperto nel corpo e nello spirito, diretto, cordiale, affabile, franco, uno di noi, uno di noi, a cominciare dagli abiti privi di alcuna pretensione. Quanto di irrimediabilmente compromesso trasmettevano l'aura e i sorrisi d'altri tu restituivi all'inverso. Poche domande, un piccolo colloquio di conoscenza e un gran compiacimento al commiato, immagino per aver collocato l'assiduo nugolo alle prese coi libri interni del seminario.
Passarono settimane e ai pochi ragazzi convittori, le donne della cucina e delle pulizie, qualche giovane prete contorno del rettore, s'aggiunse una comparsa sui generis. Di prim'ora un vecchietto a passeggio per l'ultimo corridoio. Non di passaggio evidentemente se lo si vedeva a uguale ora ogni volta, spaesato ma gentilissimo al saluto.
"È un musicista. L'ha trovato don Tonino mi sembra di notte in stazione e l'ha portato qua. Suonava il violino ma è rimasto povero, non ha una casa. D'ora in poi abiterà qui. Esce e fa quel che vuole liberamente ma avrà dove mangiare e dormire". Cos'altro sentire? Senza parole e condizioni mi avesti dalla tua parte per sempre.
"Lei suona?" chiesi all'arrivo una mattina all'ospite che aveva cominciato a familiarizzare con le altre della biblioteca. Una situazione assolutamente romantica per me poter avvicinare nei paraggi un conoscitore di musica. Un regalo che devo a te. Lo sentii particolarmente disposto a fermarsi e scambiare parolette e gli andai incontro.
"In passato, sì, suonavo il violino, ma è da un po' che non succede più, che vuole, la vita...". Notai subito l'ottima proprietà di linguaggio. Più che restarne impressionata n'ebbi conferma di consolidate convinzioni.
"Si trova bene qui spero".
"Sì, grazie al mio amico don Tonino. Siamo amici, sa, siamo diventati molto amici. Trova sempre il tempo di scambiare quattro chiacchiere con me. E lei perché è qui?" Lo informai su ciò che solo per cortesia aveva chiesto, sapeva che ci facevo nelle vicinanze. Ci congedammo con l'augurio di una buona giornata e un arrivederci.
E si cominciò a toccare con mano le ostilità che ti attorniavano. Tra poco se ne andrà, è una condizione provvisoria, non può restare, non può restare, se si prende a fare incetta degli sbandati che sono in giro e dargli ricetto non sapendo cosa aspettarsi dove andremmo a finire? il parere spassionato e privo di mezzi termini a riguardo del vecchietto d'un ligio e ossequioso pretino incaricato di sostituire il rettore nei controlli delle lavoranti quando impegni inderogabili gliene sottraevano il piacere.
"Ma don Tonino..."
"Lasciate stare, lasciate stare don Tonino... quell'uomo vive nelle nuvole, non bisogna dargli retta. Non si rende conto, è fuori dal mondo, non siamo un albergo noi", l'immediata raggelante interruzione d'ogni precisazione a tua difesa.
Non sto a dirti la pena che provai per il solitario che avevi raccolto - trasporto? compassione? identificazione? - destinato al ritorno alla dura panca d'una sala d'aspetto, a andar bene. Mi avevi aperto uno squarcio di realtà fino allora mai supposta possibile nel circondario. Tra noi vivevano degli homeless, non l'avrei mai detto, e erano loro i soggetti delle tue ricerche e scorribande notturne, i referenti privilegiati. Avevi cominciato dagli ultimi e provato a trovare una soluzione. A cos'altro destinare un palazzone in mano a uomini di fede se non a testimoniarla la fede? Ma eri solo tu a pensarla così, mentre si provvedeva con sollecitudine a manutenerla e preservarla la proprietà della Chiesa a spese dello Stato, magari per ampliare e modernizzare un bagno privato in camera. Libera Chiesa in libero Stato, no? un secolo e mezzo dopo.
Che cercassero di porre un freno alle tue iniziative fuori della loro minuscola portata codesti figuri non meravigliava punto, rientrava nell'ordine naturale e atavico delle cose.
Venne Natale e ci fu l'interruzione delle feste. Una pausa salutare nel continuo tran tran di casa, impiego, bambini. Si tornò appena più riposate a sedere intorno allo stesso tavolo. Come fu, don Tonino, che ti lasciasti andare a amare costatazioni quando tornasti a visitarci? non ti saresti mai aspettato che capitasse? era inconcepibile per te che s'arrivasse a tanto?
"Mi hanno lasciato solo per tutto il tempo, né riscaldamento né cibo. Pur sapendo che sarei rimasto qui hanno allontanato le donne e mi sono ritrovato chiuso e isolato nella struttura. Mica uno scherzo, nessuno a cui rivolgermi, al freddo e al gelo. C'era di che aver paura. Mi sono rintanato nella mia stanza a leggere e aspettare il sorgere del sole con niente per spegnere la fame la vigilia di Natale. Che mi restava da fare? mi sono reso conto della situazione all'ultimo minuto quando era troppo tardi per rimediare". Avrei voluto interromperti mentre parlavi, dirti, quasi a rimprovero non so se rivolto a me o a te, che avresti potuto tenerci presente, mi sarei onorata di portarti a casa, averti alla mia tavola, ti avrei offerto un po' di calore familiare sotto forma di frittelle e piatti tipici della tradizione insieme ai miei che pur non condividevano la tua fede, un modo per farti conoscere e addentrare nelle abitudini conviviali della comunità a te destinata. Non lo feci, lasciai che finissi il tuo sfogo. Sappi che mi rammaricai non poco per non averci pensato. L'idea di quella tua notte sola mi era intollerabile. Tu pure non ci avevi pensato in mancanza di altri contatti? e l'avresti potuto con la poca confidenza creatasi, senza indirizzi e numeri di telefono? che sciocca! D'altronde si sarebbe potuto supporre un tale perfido tiro a tuo danno per la vigilia del ventiquattro? Oltre a leggere avrai pregato il tuo dio, a mo' di Gesù raccolto nel deserto, ti sarai anche convinto ch'era una prova che ti mandava cui avresti dovuto far fronte con onore in nome del tuo amore per lui. Ma non dicesti i tuoi pensieri per intero. Se dovesse capitare ancora, don Tonino, fa conto su di noi, fu l'invito che cercammo di farti arrivare.
"Non ce ne sarà bisogno, non capiterà più, grazie comunque, siete molto gentili. Prenderò le mie precauzioni d'ora in poi, vorrà dire che farò fagotto anch'io se sarà il caso, andrò al mio paese... ".
Ogni volta che ti vedevo non faceva che ribollirmi dentro il ricordo dell'episodio di cui ci avevi messo a parte. In poche battute avevi trasmesso il senso di disperante solitudine che ti aveva morso in prossimità della nascita del Bambinello. Se fosse capitato a me dubito che sarei stata capace di superare lo sgomento.
"Hanno spento il riscaldamento nella zona di don Tonino, il resto funziona regolarmente. Me ne sono accorta quando sono passata dalla porta di fronte che immette nel suo reparto. La differenza di calore zompa addosso. Le donne non vanno mai a casa per le vacanze, anche quando lo chiedono, le costringono a stare qui per i loro comodi. Le hanno obbligate a togliersi di mezzo, anche qualcuna che non voleva, che non sapeva dove andare, sono abituate così, mancano dai paesi loro da anni. Le tengono a far da serve gli stronzi, trecentosessantacinque su trecentosessantacinque giorni l'anno. Per evitare che si rendevano utili a don Tonino le hanno cacciate proprio. Avete capito?", il corollario informativo dell'accaduto. Tra un va e vieni alcune di noi avevano allacciato rapporti di scambio con il personale 'd'infimo' livello e raccoltene le rimostranze. E il quadro riguardante il magnifico rettore si completò.
Di classe uguale costui si rodeva d'invidia per essersi visto posposto nella nomina a vescovo, lui compenetrato assai più d'un fesso qualunque quale doveva considerarti, nella missione sacerdotale. Per vendicarsi s'era fatto un imperativo di intralciarti il cammino. Ordini superiori? voleri personali? Presumibilmente entrambe le cose o solo le seconde, comunque atte insieme a accelerare l'avanzamento della propria di carriera. Ti era chiara la faccenda? tu che viaggiavi in direzione contraria capivi i moventi dei tuoi nemici, i perché d'un simile accanimento? Certo se sì non ce ne avresti parlato. Con noi di confidenze non te ne concedesti più, e io non credetti che sarebbe bastato quel crimine a fermarti. Ti sarebbe servito a irrobustirti invece, aprirti maggiormente gli occhi sul campo minato su cui eri ridotto a muoverti, precipitarti all'esterno a tessere una rete alternativa di appoggi e alleanze. E pian piano ci sarai riuscito se è vero che presto in paese si cominciò a sentire la tua presenza e nelle sedi di pertinenza chi di dovere non poté non tenerne più conto.
Arrivò il momento che si pensò noi di bussare alla tua porta per un piccolo aiuto. Non voglio prima trascurare un particolare al cui manifestarsi non mi riuscì di dare una spiegazione. Si rientrava dalla pausa al bar, chi prima chi dopo nel sole pieno di una mattinata. Serviva a spezzare il trascorrere delle sei ore contrattuali. Un'andata e ritorno per stanze, sala, corridoi, scale dell'usuale percorso. Discendendo gli ultimi gradini dal piano di sopra avevi girato lo spigolo a novanta gradi del muro, diretto nella camera d'accoglienza del piano terra. Nel mentre rivolgesti in mia direzione un rammaricato sguardo, come consapevole d'una insospettata infelicità in cui versavo. Ti facevo questo effetto? al solo apparire ero capace di farti rabbuiare in volto? provavi pena per me? No che non me la passavo male pur con i comuni immancabili intoppi giornalieri. A che dunque il viso dolorante? Ma no, dovevo essermi sbagliata, non poteva trattarsi di me, dovevi essere soprapensiero, trovarti alle prese con problemi ostici e incrociato per caso il mio sguardo. Pure il dubbio rimaneva, l'impressione iniziale continuava a persistere. Ti sorrisi per rassicurarti. Stavo bene io, stavo bene.
Dicevo dunque che gira e rigira decidemmo di rivolgerci a te per risolvere un problema che pareva irrisolvibile. Ti chiedemmo un incontro e dovemmo aspettare. Avevi troppi impegni all'attivo. Era, don Tonino, che non ci riusciva di ottenere l'apertura al pubblico della biblioteca già in via di definitivo riordino secondo gli accordi di stipula. Trascorso un determinato periodo, in base alle previsioni, con una buona quantità di materiale cartaceo sistemato i beni sarebbero dovuti essere messi a disposizione di chi volesse usufruirne. Nelle realtà identiche in provincia alla nostra s'era proceduto in tale ordine, ma da noi non ancora. Volevamo fartelo sapere non con urgenza, sarebbe pure arrivato il nostro turno e te ne avremmo parlato. Fosti tu a aprire il dialogo quando ci avesti sedute di fronte. Anticipasti eventuali richieste chiarendo lealmente di non essere nelle condizioni di assicurarci la continuità del rapporto lavorativo, non avevi da che reperire i fondi necessari per pagarci concludesti candidamente. Ci misi poco a capire di come eri stato intenzionalmente informato.
"Vi sfugge la situazione don Tonino, se permettete. Non siamo qui per questo, noi siamo impiegate regolarmente stipendiate dallo Stato" precisai.
A tua volta ci mettesti poco a capire che ti eri ingannato. Ne prendesti atto velocemente e ti accingesti a riformulare la questione, non nascondendo il sollievo per averci evitato la delusione che avevi presunto di doverci dare. Un problema in meno per te mostrasti in viso con il sorriso rasserenato. Ormai eri abbondantemente conscio del gioco alle tue spalle. Non ponendo indugi aggiornasti l'incontro con la richiesta di un dettagliato promemoria scritto che ti permettesse di avere completo e chiaro il quadro a noi relativo. Secondo tuo suggerimento provvedemmo a farti pervenire quanto premurosamente sollecitato. Consegnammo nelle tue stesse mani una relazione sintetica ma esaustiva sulla nostra presenza in seminario a cominciare dall'inizio. Passò del tempo e tornasti a trovarci pieno di gioia.
"Un luogo ideale, ideale! È perfetto! C'è pure lo svincolo dell'ingresso, ho perlustrato metro per metro il perimetro, sapete? Qui è possibile prevedere grandi cose, basterà aprire la porta. È immaginabile ogni tipo di iniziativa. Guardate di che magnifica sala disponiamo. Con i dovuti interventi, l'illuminazione adeguata, intendo faretti alogeni situati nei punti giusti possiamo promuovere incontri, esposizioni, proiezioni... Ci forniremo di sedie, allestiremo bacheche, percorsi guidati..." Bello, bello.
Sulle prime il tuo entusiasmo ci contagiò, rimanemmo a ascoltarti infervorato guardandoci dall'interromperti. Finalmente si prospettava un allargamento insperato di orizzonti. Troppa grazia si sarebbe detto.
"Tale, don Tonino, tale era il progetto iniziale per la zona dove siamo. Risalgono agli anni trenta del secolo scorso le volontà del promotore, l'abate Giovene. Aveva persino previsto il lascito d'un terreno annesso i cui proventi dovevano servire al mantenimento del personale preposto. Per iniziare vi trasferì il proprio fondo librario. Abbiamo trovato la locandina del bando di inaugurazione con la data e tutto. Una biblioteca popolare voleva che fosse, aperta a chiunque, senza distinzioni di censo o altro, completamente autonoma dal resto dell'edificio, e provvide all'apertura della porta che ora è sbarrata, rientrava negli intenti originali..."
"E così li riprenderemo, così sarà. Cominciamo a organizzarci ragazze, cominciamo da adesso", riprendesti impaziente.
Gli istanti di congedarci e tornarci su che mi si riaffacciò il dilemma. Per chi avrei dovuto sobbarcarmi di un surplus di lavoro? A quale mulino avrei portato acqua, a quello della Chiesa renitente? a quello dello Stato complice e latitante? L'avrei fatto per l'ingegnoso don Tonino? io che rifuggivo da qualsivoglia appartenenza non riconoscendomi in nessuna istituzione? Dove non arrivava il debito di ognuna nei miei confronti! A volerlo avrei mai potuto pareggiarlo?"
"Se fossi cattolica mi investirei pure di abnegazione per un programma simile - confessai a una mia collega - ma non lo sono e non mi va di farlo per chicchessia, pur nel rispetto di don Tonino. Mi basterebbe l'apertura al pubblico, la noia di non poter intraprendere niente stando qui mi deprime". Non ebbi risposta, né possibilità di conoscere una divergenza di parere. Si lasciò cadere l'argomento.
A nostra insaputa invece facesti le tue mosse. Ricevemmo in breve la visita di una funzionaria regionale piuttosto alterata per la mancata ottemperanza degli impegni. Nell'occasione il frastornato rettore durante i tentativi di giustifica prontamente tacitati e frustrati a voce alta se ne dovette sentire delle belle. Ci fu anche qualcuno implicato nella ripartizione dei ruoli che dal basso della sua viperina ignavia, con la sornioneria d'un gatto privo di pelo, parlò di miracolo di Sant'Antonio. Avremmo aperto al pubblico.
Le nostre strade tuttavia erano destinate a dividersi. Diverse furono le decisioni ai livelli superiori giunte ad hoc a fare la felicità di più d'uno. In primis del rettore che poté rientrare nel pieno possesso dei beni a lui affidati liberandosi in un colpo di presenze ormai davvero ingombranti. A seguire dei funzionari statali che poterono procedere spediti sul cammino fanfarescamente avviato della valorizzazione del patrimonio culturale della provincia, chiudendo risicati e marginali spazi librari a favore di aperture di più larghi e adeguati, garanzia di maggior efficienza di servizio per la comunità intera. Del personale poi, perché no? che secondo inconfessate volontà si vide aprire prospettive professionali insperate. Altro che le tue, don Tonino, altro! al confronto le tue erano da considerarsi, consenti, modeste, chiuse relegate in un angolino di paesotto, inadeguate, inadeguate alle effettive potenzialità d'un respiro cittadino. A finire non dimentichiamoci dei vermi. Era da molto che i poveretti si sentivano alquanto disturbati nell'ininterrotto lavorio di loro competenza. Avevano dovuto sopportare financo... l'avevano chiamata? l'avevano chiamata? ah, sì, 'la disinfestazione', tu vedi che parola! S'erano insomma dovuti sorbire in compagnia di fisse ficcanaso - ma chi erano? che volevano? non si levavano di torno e ridevano sempre, stavano sempre a ridere tra una perlustrazione e l'altra di prelibate riservatezze, ma si può? - effluvi piuttosto urticanti di sostanze non meglio identificate. E sì che s'impegnavano nella paziente artistica opera i striscianti, debitamente coadiuvati da topini, topolette e toponi in libera uscita, adeguata del resto ai pregiati testi in trattamento! Al buio e indisturbati i nostri terricoli poterono continuare a scavare caverne, allacciare gallerie e cunicoli, tessere trame, intarsiare e cesellare trine e ricami di variegate forme e gradi tra le righe stampate di antico sapere. Quali custodi meglio adeguati se capaci di nutrirsi, amalgamare, fagocitare, emettere e propagare doverosamente rielaborate conoscenze trasmesse in millenni di cui poter fare tesoro e tesoro? Permetti, don Tonino, permetti, un po' di sostenibile leggerezza, so che capirai.
E l'investimento, le energie spese chiederai? Punti di partenza, presupposti propedeutici, trampolini di lancio, i-n-v-e-s-t-i-m-e-n-t-i appunto, indispensabili basi per mirare a ambiziosi traguardi. Ad maiora! ad maiora! augurò il rettore al commiato, quanto sollevato si comprese quanto ironico non ugualmente. Con cordialità e scioltezza a seconda dei destinatari ricambiammo saluti e pace fu. Era il novembre del 1984.
Non mi esentai da parte mia né smisi di seguire e compiacermi fossanche a distanza del tuo operato e successi che tra infinite difficoltà riuscivi a ottenere. Mi meravigliavi, non smettevi di meravigliarmi e aumentare la mia ammirazione. Nell'assenza annosa di personalità e punti di riferimento valenti rappresentavi un faro per naufraghi e viandanti barcollanti nella notte. Inevitabile non condividere a dirne una la tua scandalosa ritrosia a farti complice e partecipe di feste e festini cui in sostanza si riducevano le ricorrenze salienti di intere vite di fede, in nome di uno spreco esasperato e inutile se non delittuoso. Si trattava di celebrazioni pertinenti lo spirito, sì o no? Ancora e ancora ti toccava assistere e ritrovarti in mezzo a individui che oltre ogni limite avevano perso il senso delle proporzioni, proiettati univocamente nell'esaltazione di pure apparenze e vanità. Faticosamente, instancabilmente cercavi di porvi un argine, richiamare il significato dei detti del Cristo, riportare il gregge all'autenticità dei valori primordiali cui continuava a rifarsi non dando il minimo segno di avvedersi della misura dell'allontanamento e schizoide dissociazione. Si poteva andare oltre? E scrivevi, mirabilmente in concomitanza con la coerente milizia scrivevi, rivolgendoti con fervida immaginazione a celesti e terreni.
Guardavi più lontano e facevi più politica tu dell'eletta schiera messa insieme di meschinelli che si avvicendavano sugli scanni del comando. E mietevi consensi, mietevi pronunciamenti a tuo favore e in proporzione odi, feroci odi e ostracismi. Da dove mai mi sarei aspettata indicazioni e esempi di aperture, ricerca del nuovo, tangibili segnali di possibile ripresa e rinascita ecco arrivare te a segnare trasversalmente la strada super omnes partes. Da quando non accadeva in paese? Tanto n'era passato di tempo che se n'era persa memoria e parve davvero te ne fossi reimpossessato tu di quel patrimonio gettato al vento, deriso e calpestato, sembrò che avessi raccolto nelle tue mani l'eredità del sognatore laico tuo pari che ti aveva preceduto un secolo prima. Lo citavi e a ragion veduta il nostro Salvemini. Perché ti documentavi tu, certo che ti documentavi, per conoscere la realtà che intendevi incidere.
Giunse l'occasione che daccapo ci avrebbe fatto incrociare. Uno dei tuoi assilli era combattere la situazione di stallo disoccupazionale della gioventù e col carisma che ti distingueva tra le mille iniziative pensasti di dar vita a un progetto editoriale. Un'intrapresa scontata per un uomo di cultura come te, convinto che da lì sarebbe dovuta partire la forza propulsiva per un cammino di riscatto del sud, non però per i numerosi titolati e pennivendoli di cui le diffuse scuole e l'istruzione di massa avevano riempito il territorio. Non ci sarebbero mai arrivati costoro, impegnati com'erano a esercitare altrove e per altri scopi le meningi. Una casa editrice! un sogno per me! Ero riuscita a scribacchiare qualcosa di mio e pur accarezzandone l'idea non avevo osato sottoportene la lettura, poco convinta del risultato e... troppo utili a mio parere le tue ore per andar sprecate con bazzecole. Per circostanze che tu sai me ne ritrovai coinvolta contenta d'esserlo. Chissà, chissà che arrivato il momento non avessi potuto ritagliarmi un part time, io che facevo il conto alla rovescia dei giorni che mancavano per liberarmi da un destino impiegatizio a dir poco... insoddisfacente? esito a pronunciarmi chiedendomi se può bastare un unico aggettivo a definire la qualità di vita su cui insistevo. Al di là delle contingenze la possibilità di conoscerti meglio, addentrarmi nel tuo mondo e nei tuoi plurimi positivi contatti, collaborare marginalmente alla realizzazione della tua idea restavano per me occasioni impagabili. In che maniera ringraziarti?
Giunse infine la notizia. Se non affliggersi per i possibili risvolti c'era da non smettere di bestemmiare, astemé nella mia lingua, per la piega che stavano prendendo i fatti. Che io sapessi non avveniva da decenni che la fortuna ci arridesse con un vescovo degno del suo nome, con davanti una vita di buon operare. E cosa decideva l'imperscrutabile sorte? di portarti via, sottrarti a coloro che avevano imparato a amarti e a non sapere più fare a meno di te.
Sperai, sperai a intervento avvenuto che potesse tornare la normalità. Dovetti ricredermi. Il male continuò l'inesorabile corso mentre tu ti preparavi a accogliere qual eri il volere divino. Senza smettere, senza smettere di profonderti nel propugnare pace e amore tra i viventi tutti.
Inusitato coraggio mostrasti nel portare a compimento la missione a Sarajevo, in piena guerra fratricida! Sfidando paure, pericoli, ragion di stato, diplomazie, autorità... ti inoltrasti in terre devastate da rovine frutto di accaniti e perseveranti bombardamenti col tuo seguito altrettanto intrepido. Immagino le preoccupazioni e gli scrupoli che dovesti vincere nel fermarti a riflettere di mettere a serio rischio non la tua ma la vita di chi follemente volle condividere l'impresa con te. Di quali sfide non eri e saresti stato capace! E ti vidi, ti vidi in televisione emaciato e provato dal male denunciare gli orrori di massacri e indecenze, dire in faccia al mondo che sì, dissentire, disobbedire, d-i-s-e-r-t-a-r-e si poteva, se non categoricamente do-ve-va da cristiani che si ritenessero tali. Un altro mondo era possibile, invitasti a credere, una maniera diversa di abitare questo pianeta, e andava osato a costo della vita! Quella guerra non finì, ne sarebbero arrivate diverse camuffate con indorature verbali inglobanti la parola pace, don Tonino, p-a-c-e! Intanto avevi lanciato il tuo messaggio, qualcuno ci avrebbe pensato e forse qualcosa ne sarebbe conseguita. Le tue condizioni peggiorarono e ci si rassegnò all'arrivo della fine.
Benché preparata non mi rendevo conto di cosa avrebbe potuto significare per me. Meglio, non me lo chiedevo. La vita aveva preso da molto a mettermi di fronte a difficili prove al punto da non saperne valutare la gravità, orientarmi per un maggior o minor peso da dare a ciascuna. Continuavo nelle pause di raccoglimento a avere di fronte il ritratto di un'anima bella che ci aveva appena lasciato cui tu avevi dedicato un poetico pensiero e ne rivivevo l'intollerabile ricordo accomunandovi.
Ti lascio con una confessione che spero perdonerai. Un segnale di cosa avevi rappresentato per me e in che misura avevi inciso sulla mia persona l'ebbi il giorno del tuo funerale. In mezzo alla dilagante folla raccolta sul porto per l'ultimo saluto - perché il riconoscimento e apprezzamento di persone eccellenti sa essere unanime alla dipartita? non sono nelle condizioni ormai di nuocere? di far da indice puntato diritto sulle cattive coscienze...? - sentii all'improvviso affacciarsi alla testa un dolore strano, come si stesse interrompendo una qualche connessione nei circuiti cerebrali arrestandone il regolare flusso sanguigno. Di lì a poco potei sentire gli scricchiolii quasi a veder le stelle e avvertii l'avvicinarsi del crollo. Non so, non so la congiuntura cui dovetti il non essermi accasciata dallo svenimento. C'entrò il pudore forse tanto tengo alla mia intimità? Fatto sta che non mancai, riuscii a restar dritta finché non sentii il sangue tornare a fluire e la fisicità del dolore rientrare. Fu il mio modo di congedarmi da te? la manifestazione della volontà, meglio impossibilità, di rifiutarmi di farlo? Lascio a te l'intesa. Quanto gravido di conseguenze non lo sapevo ancora. Ti portavi più che una speranza di vita, e non mi rimaneva che riprendermi e continuare a tirare avanti con sulle spalle il noto fardello.
Il mese dopo il tuo mensile riportava grande in copertina il tuo volto con su impressa la frase DON TONINO È VIVO! Certa che così e non altrimenti fosse la conservai e conservo ancora tra le cose irrinunciabili.
Con infinito e imperituro affetto ti giunga questa mia

Molfetta, 24 agosto 2011

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