Sguardi meridiani
L’operatore di pace deve tener presente anche che, presso porzioni crescenti dell’opinione pubblica, le ideologie del liberismo radicale e della tecnocrazia insinuano il convincimento che la crescita economica sia da conseguire anche a prezzo dell’erosione della funzione sociale dello Stato e delle reti di solidarietà della società civile, nonché dei diritti e dei doveri sociali. Ora, va considerato che questi diritti e doveri sono fondamentali per la piena realizzazione di altri, a cominciare da quelli civili e politici…
Da più parti viene riconosciuto che oggi è necessario un nuovo modello di sviluppo, come anche un nuovo sguardo sull’economia. Sia uno sviluppo integrale, solidale e sostenibile, sia il bene comune esigono una corretta scala di beni-valori, che è possibile strutturare avendo Dio come riferimento ultimo…
È fondamentale e imprescindibile la strutturazione etica dei mercati monetari, finanziari e commerciali; essi vanno stabilizzati e maggiormente coordinati e controllati, in modo da non arrecare danno ai più poveri. La sollecitudine dei molteplici operatori di pace deve inoltre volgersi – con maggior risolutezza rispetto a quanto si è fatto sino a oggi – a considerare la crisi alimentare, ben più grave di quella finanziaria (cfr. Messaggio per la celebrazione della XLVI Giornata mondiale della Pace, 1° Gennaio 2013, nda).
Il liberismo, già messo in discussione dalla Populorum Progressio e la revisione del nostro modello di sviluppo invocata dalla Caritas in Veritate possono essere i due pilastri per la revisione profonda e lungimirante sul bene comune lì invocata. A partire tuttavia dai nostri riferimenti spirituali e culturali che, lungo tutto l’antico e il nuovo testamento ripartono sempre, non dai primi, ma dai secondi della storia e della geografia (Abele il secondogenito, Giacobbe il secondo gemello, Giuseppe il figlio più piccolo, Davide il figlio più piccolo, Gesù il bambino. Martirani G., Il Drago e l’Agnello. Dal mercato globale alla giustizia universale, Paoline, 2002, p.76, nda).
Come “trarre, perfino dalla crisi, un’occasione di discernimento e di un nuovo modello economico” proprio noi che non contiamo niente nello scacchiere economico? Che cosa può venire di buono dai Paesi del Sud del mondo così caratterizzati da povertà, malattie, analfabetismo, emigrazione, guerre? Che cosa può venire di buono dal Mezzogiorno d’Italia con la sua storia infinita di rifiuti e rifiutati (clandestini)? Può venire, sì, “una nuova e approfondita riflessione sul senso dell’economia e dei suoi fini, nonché una revisione profonda e lungimirante del modello di sviluppo, per correggerne le disfunzioni e le distorsioni” (Caritas in veritate cap. 2, 33).
Che cosa può venire di buono da Nazareth? Che cosa può venire di buono da Debrezeit, da Addis Abeba, dai villaggetti africani? Noi siamo venuti a dare, a portare! A noi c’è rimasta quest’idea che i missionari, le missionarie sono quelli che vano a portare aiuti. Dovremmo dire ai missionari: “Quando tornate qui in Europa,riempite gli aerei, riempite le navi, portateci, vi preghiamo, dei pacchi dono perché stiamo morendo non di fame, ma morendo di tutti questi grandi valori, mandateci pacchi dono di speranza, di fiducia, di solidarietà che qui si muore. È ancora più importante mettersi sulla pelle la camicia del povero, quella che il povero ti dona, mettersi sulla pelle il dono che ti fa un povero. Chi? Sarà la prostituta, sarà il malato di aids, sarà per noi il marocchino che viene a darci un dono che tu non sai indossare... È una cosa grande lasciarsi evangelizzare dai poveri, per portare il lieto annunzio ai poveri, che non sono stati abbandonati dal Signore. Se svuoto tutta la casa per darla ai poveri, questa è generosità, ma la carità più grande è quella di introdurre qualcosa, sia pure una piccola cosa da mettere come souvenir in mezzo a mobili stile impero. Il Signore un giorno ci rovisterà il guardaroba, così come fanno all’aeroporto per vedere non che cosa abbiamo esportato ma importato, che cosa abbiamo preso, ricevuto dagli altri, quali cose ci portiamo a casa” (don Tonino Bello).
Di buono e bello
Oggi è tempo di rispondere con chiarezza e fermezza che può venire a livello politico la nonviolenza e a livello economico un Modello di Sviluppo Integrale e Meridiano! Nonostante le mafie, nonostante i rifiuti e i rifiutati (clandestini)! Nonostante il nostro essere ultimi a livello di nazioni, di gruppi e di persone.
In questo momento di grave esplosione della crisi finanziaria mondiale e dei suoi Modelli di Sviluppo, e di grave questione settentrionale in Italia con il crollo del suo Modello di Sviluppo economico e la mancanza di ‘crescita’ del Pil, e con le sue chiusure, la sua perdita di valori e di orientamento spirituale e culturale possiamo, anzi dobbiamo affermare, che da ‘Nazareth’, dai secondi e dagli ultimi della nostra storia e della nostra geografia, a cominciare dal Mezzogiorno d’Italia e dal Mediterraneo può venire una Mistica Meridiana per un Modello di Sviluppo Meridiano più umano.
Che cosa possono mai insegnarci persone, gruppi e culture “seconde” nella storia, e popoli “secondi” nella geografia? Cosa mai possono dirci di nuovo, da un punto di vista culturale, religioso, le immense masse dei popoli del Sud, oggi in visita o mal-sopportati residenti da noi (se riescono a prenderlo il permesso di soggiorno per starci!). Cosa mai possono dirci di nuovo da un punto di vista tecnologico e politico gli immigrati dai Paesi del Nord Africa? O quel Mezzogiorno d’Italia con la sua ‘perenne’ questione meridionale ora che invece c’é una questione settentrionale con la voglia di secessione, la mancanza di figli, il mondo operaio scompaginato e in bilico e un’industria che non riesce a far ‘crescere’ il Paese e che è stretta dalla competitività mondiale?
Al massimo (si riafferma in una spocchiosa superiorità da Nord) si può andare a portar solidarietà, organizzazione sociale e politica perché escano dal medioevo in cui stanno. Si può, insomma, esportare un pò di democrazia e di… sviluppo!
Il meridiano perduto
La ricerca del proprio posizionamento nei confronti di stessi e del mondo (quello vicino del prossimo, e quello lontano dei popoli) la si può fare, invece, solo con occhi e con cuore di ‘secondi’, uscendo, cioè, dal borioso complesso di superiorità di coloro che si sentono, o si credono, superiori agli altri per intelligenza, bravura, civiltà, oppure per sviluppo fama e soldi, oppure per meriti spirituali, cultura o altro. Solo se guardiamo noi stessi e gli altri, invece, con occhi e cuore di ‘secondi’, possiamo entrare in relazioni e comunicazioni veritiere, fondate, cioè, sulla verità.
Il meridiano perduto, allora non è tanto né solo un Sud geografico rispetto al Nord (il Mezzogiorno d’Italia e i mille Sud del mondo, dall’Africa all’America Latina, all’Asia) perché anche lì si possono trovare le tante sindromi di Caino e i complessi di superiorità espliciti o latenti nella borghesia indifferente e ricca, nei poteri politici, economici, militari e spesso anche tra impoveriti che solo desiderano uscire dalla loro ‘secondità maledetta’ e subíta, (imposta dal sistema economico, culturale e politico) una seconditá non scelta, per diventare ‘primi’ anch’essi. Anche se lì si possono ancora trovare, nelle identità culturali del popolo, tanti elementi ‘meridiani’ già perduti nei nostri omologanti dibattiti culturali e politici, che alla fine non riescono a dire più nulla. L’essere secondi, che caratterizza il ‘meridiano perduto’, è la secondità scelta di chi vede con gli occhi e il cuore dei ‘secondi’.
Per ritrovare il ‘meridiano perduto’ allora bisogna riposizionarsi ‘con occhi e cuore di secondi’ non credendosi un padreterno che sa tutto, che ha le soluzioni per tutto, che pensa di potere tutto (sentendosi, quindi, onnipotente) e sfidando Dio. Si deve trovare la propria dimensione ‘minuscola nel Creato’ (l’uomo non si vede neanche dalla navicella spaziale, dove invece si vedono gli oceani e gli atomi in movimento delle nubi).
Il dono di sè
Il nostro passato (memoria) sia come famiglia/comunità/gruppo, che come città/regione/ nazione/mondo è garantito da un’attestata storia di fede.
Per uscire dall’attuale crisi finanziaria ed economica – che ha per effetto una crescita delle disuguaglianze – sono necessarie persone, gruppi, istituzioni che promuovano la vita favorendo la creatività umana per trarre, perfino dalla crisi, un’occasione di discernimento e di un nuovo modello economico. Quello prevalso negli ultimi decenni postulava la ricerca della massimizzazione del profitto e del consumo, in un’ottica individualistica ed egoistica, intesa a valutare le persone solo per la loro capacità di rispondere alle esigenze della competitività. In un’altra prospettiva, invece, il vero e duraturo successo lo si ottiene con il dono di sé, delle proprie capacità intellettuali, della propria intraprendenza, poiché lo sviluppo economico vivibile, cioè autenticamente umano, ha bisogno del principio di gratuità come espressione di fraternità e della logica del dono… (messaggio Benedetto XVI per la celebrazione della XLVI Giornata mondiale della pace, 5, nda).
Tutti secondi!
È necessario passare a un nuovo modello di futuro per liberare l’umanità dalla morte. Ma per realizzare tale primo e urgente obiettivo dobbiamo intraprendere, a livello internazionale, una via politica nuova, nonviolenta, la via meridiana della vita che innanzitutto preservi e ‘salvi’ gli immediati suoi interlocutori, i secondi della storia e della geografia… i poveri e gli afflitti, destinatari privilegiati della giustizia e della misericordia di Dio e della nostra purezza e nonviolenza. E non più solo in pari opportunità con gli uomini e con gli adulti! No! Quanto di esseri umani, in pari opportunità con tutti i secondi della storia e della geografia: uguaglianza di genere umano, il genere di ‘Figli di Dio’, tutti secondi perché l’unico primo è solo Dio perché è il Padre! E così diventiamo davvero Figli di Dio perché costruttori di Pace!
Ma tutti i Sud e cioè i ‘secondi’ della storia (impoveriti, emarginati, giovani, donne, disabili…) e della geografia (i Paesi del Sud del mondo) devono imparare a ‘vedersi da Sud’ e a recuperare il loro sogno meridiano, e, come diceva Tonino Bello deve imparare a ‘rompere gli ormeggi”. “Perché rompere gli ormeggi evoca un movimento molto simile a quello del distacco, del viaggio, insomma dell’esodo. Dalla terra della soggezione e della dipendenza a quella dell’autonomia e della ‘creatività’. Pensarsi in grado di generare futuro, di tracciare con le proprie gambe una strada inedita e originale. Rielaborare con audacia la propria storia e la propria identità senza dissimularle sotto altre spoglie. Osservare il mondo a partire dal proprio punto di osservazione e non immaginando di essere altrove. Un Sud dalla schiena dritta e non curva, con la testa in avanti e non rivolta all’indietro. Che abbia, insomma la forza di osare di più. La capacità di inventarsi. La gioia di prendere il largo. Il fremito di speranze nuove, il bisogno di sicurezze li ha inchiodati a un mondo vecchio, che si dissolve. Che sappia ancora avere la volontà decisa di rompere gli ormeggi. Per liberarsi da soggezioni antiche e nuove. La libertà è sempre una lacerazione! Non è dignitoso che, a furia di inchinarsi, si spezzino la schiena per chiedere un lavoro ‘sicuro’. Non è giusto attendersi dall’alto le ‘certezze’ del ventisette del mese. Un Sud che sappia ritrovare, e soprattutto i giovani, una creatività più fresca, una fantasia più liberante, e la gioia turbinosa dell’iniziativa che li ponga al riparo da ogni prostituzione (don Tonino Bello).
Alzarsi in piedi
La povertà, con una visione riduttiva, viene spesso rappresentata o intesa solo come scarsità di reddito. Si tratta, invece, di comprendere, con occhi e con cuore di Sud, che la povertà è una condizione di continuata o cronica deprivazione di risorse, capacità, scelte, sicurezze e potere, indispensabili a vivere in condizioni dignitose e al godimento dei diritti umani fondamentali. Ecco perché è fondamentale, come primo atto, l’empowerment, la riappropriazione di potere, degli impoveriti, alzarsi in piedi, perché andare, camminare, come un tempo le folle con Gesù sul Monte delle Beatitudini, è icona del vivere.
Non a caso Paolo VI insegnava che “ogni lavoratore è un creatore” (Caritas in Veritate, 41). Tra i diritti e i doveri sociali oggi maggiormente minacciati vi è proprio il diritto al lavoro. Ciò è dovuto al fatto che sempre più il lavoro e il giusto riconoscimento dello statuto giuridico dei lavoratori non vengono adeguatamente valorizzati, perché lo sviluppo economico dipenderebbe soprattutto dalla piena libertà dei mercati. Il lavoro viene considerato così una variabile dipendente dei meccanismi economici e finanziari. A tale proposito, ribadisco che la dignità dell’uomo, nonché le ragioni economiche, sociali e politiche, esigono che si continui a perseguire quale priorità l’obiettivo dell’accesso al lavoro o del suo mantenimento, per tutti (cfr. Messaggio per la celebrazione della XLVI Giornata mondiale della Pace, 4, 5).