In piedi costruttori di pace!
Passando da Molfetta mi fermai da don Tonino pochi giorni prima della grande assemblea di Verona. Ero diretto a Firenze per un convegno organizzato da padre Ernesto Balducci e dagli amici della rivista Testimonianze a cui avrebbero partecipato tra gli altri anche il monaco poeta nicaraguense Ernesto Cardenal e padre David M. Turoldo.
Poi avrei proseguito alla volta di Verona per il grande appuntamento dei “Beati i Costruttori di Pace”.
Trovai don Tonino intento a scrivere il suo intervento per quella stessa manifestazione e me ne volle leggere in anteprima il testo sebbene non ancora completo, chiedendomi, come era solito fare, un parere. Fui subito sorpreso dall’originalità dell’approccio al tema della pace oltre che attratto dal suo consueto linguaggio caldo, poetico, ricco di immagini suggestive e di metafore ardite.
Il tono era solenne, perfettamente adeguato all’importanza dell’evento e alla rilevanza epocale dei temi trattati, nonché alla particolare levatura morale da lui attribuita a quella convocazione assembleare.
Plurale
Le categorie concettuali adoperate per indicare le modulazioni nuove dell’antica profezia – il deserto diventerà un giardino… e la giustizia regnerà nel giardino… e frutto della giustizia sarà la pace (Is 32,15-17) – sono desunte dal linguaggio teologico e trasferite sul terreno delle emergenze storiche che interpellano le Chiese e i credenti.
Come Gesù ci ha rivelato che Dio è pluralità di persone: Padre, Figlio e Spirito facendoci così passare dal monoteismo assoluto al monoteismo trinitario di Dio, così per la pace è avvenuta la stessa cosa. (…) È balenata alle nostre coscienze la convinzione che la pace oggi si declina inesorabilmente con la giustizia e con la salvaguardia del creato. Siamo passati, per così dire, dal monoteismo assoluto al monoteismo trinitario della pace.
Ma, con una punta di malcelata amarezza, don Tonino così incalza: è mai possibile che questa visione trinitaria della pace, così saldamente fondata sui plinti saldi della Sacra Scrittura, abbia tanto stentato a diffondersi perfino nelle nostre Chiese?
La sua analisi, acuta e documentata, propone un parallelismo, direi quasi ontologico, tra il Dio dei filosofi e il Dio di Gesù Cristo da una parte e la pace del mondo e la pace di Gesù Cristo, dall’altra.
Il Dio dei filosofi, pur senza voler disprezzare la fatica della ricerca umana, è un Dio che non scalda. Non coinvolge. Non ti riempie di passione. Mentre il Dio di Gesù Cristo è diverso. (…) È un Dio garantito solo dalla nudità della nostra fede (…), è totalmente Altro ed è totalmente Oltre.
Così c’è anche una pace dei filosofi (…) prodotta dai nostri sforzi diplomatici, costruita dai dosaggi delle cancellerie, frutto degli equilibri messi in atto dalle potenze terrene. E c’è una pace di Cristo, quella che non esige garanzie, che scavalca le coperture prudenziali e che resiste anche quando crollano i puntelli del bilanciamento fondato sul calcolo. È su questa pace “made in cielo” che il cristiano fonda il motivo della sua beatitudine, del suo caparbio impegno e della sua incondizionata speranza. Essa non è alternativa alla pace del mondo, ma è solo condizione del suo stabile fondamento e promessa di sicuro compimento.
Esodo
Per questo può fare sua la celebre espressione di D. Bonhoeffer secondo cui bisogna “osare la pace per fede”, una fede che va pagata a “caro prezzo”, senza però cadere nella trappola dell’integralismo (solo con la fede si può costruire la pace) né in quella dell’intimismo (ci basta solo la pace del cuore, quella che ci dà Gesù Cristo…).
Anzi, col più grande rispetto per lo sforzo che il mondo laico sta compiendo e con la gioia più grande nel vederci accomunati come credenti accanto a tanti camminatori di ogni fede, don Tonino vuole solo indicare il contributo specifico, originale, coraggioso che i credenti, con il Vangelo fra le mani sono chiamati a dare all’interno del popolo della pace, quello cioè di essere segno dell’inquietudine, richiamo del “non ancora”, stimolo dell’ulteriorità. Spina dell’inappagamento, insomma, conficcata nel fianco del mondo.
In conclusione don Tonino rilancia l’appello accorato a mettersi con decisione in un cammino esodale, in marcia, senza tentennamenti e senza paura: “In piedi, allora, costruttori di pace!”
A questo punto il suo discorso raggiunge l’apice dell’intensità mistica che illumina l’ampiezza della prospettiva teologica e fa brillare la feconda circolarità ermeneutica tra la Parola della fede e la sua necessaria incarnazione nell’oggi del mondo.
Risuona l’eco inequivocabile e il riverbero accorato della Gaudium et Spes: “Le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono, sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo, e nulla vi è di genuinamente umano che non trovi eco nel loro cuore” (n.1).
L’appello ai credenti a non essere lucignoli fumiganti piuttosto che ceri pasquali con l’autorevole e paterno invito a non lasciarsi sgomentare dalle dissertazioni che squalificano come fondamentalismo l’anelito di voler cogliere nel “qui” e nell’“oggi” della Storia i primi frutti del Regno, viene scandito col tono di un pronunciamento profetico e lanciato con la voce squillante della sentinella che sveglia l’aurora.
Pur ribadendo l’irriducibilità della Pace verticale, dono che viene dall’alto, rispetto ad ogni sua traduzione orizzontale, frutto di volontà umane, tuttavia don Tonino sostiene l’imprescindibile collegamento tra le due dimensioni, quasi fossero poli diversi di un unico e incandescente “arco voltaico”.
Sono interni alla nostra fede i discorsi sul disarmo, sulla smilitarizzazione del territorio, sulla lotta per il cambiamento dei modelli di sviluppo che provocano dipendenza, fame e miseria nei Sud del mondo e distruzione dell’ambiente naturale. “Sono interni”, sono dentro la nostra fede, non accanto. Non sono extra da aggiungere come optionals… non riguardano cioè il contorno, gli addobbi aggiuntivi. Sono sostanza della comune e universale salvezza!