STORIA

La ricerca della verità

L’onda lunga dello Spirito e della nonviolenza sollevata da Gandhi.
Antonino Drago (Comunità dell’Arca di Lanza del Vasto)

Da quando noi occidentali ci siamo impossessati del cristianesimo, che era medio-orientale, e ne abbiamo fatto una nostra caratteristica distintiva, riteniamo che tutti gli avvenimenti religiosi importanti debbano avvenire a casa nostra. E, invece, il più grande avvenimento religioso del secolo XX è probabilmente avvenuto in India per opera di Gandhi, un piccolo e umile indiano.
Gandhi divenne noto in Europa con un libro di Romain Rolland (La Jeune Inde, Stock, Paris, 1924); questi scrisse una frase che Lanza del Vasto così ricordava: “Da storico di mestiere, abituato a veder scorrere il flusso e il riflusso delle grandi maree dello Spirito, io ho visto alzarsi dal fondo dell’Oriente quest’onda lunga, che non ricadrà finché non avrà ricoperto il mondo intero” (I Quattro Flagelli –1959 – SEI, Torino 1996, p. 482).

Riforma della religiosità
Come ha potuto un uomo solo creare questa novità nella storia dell’umanità? Gandhi non era un bramino, ma un laico (in effetti, anche Gesù non era della tribù di Levi, ma di David).
Egli ha avuto la forza dello spirito di ripensare tutta la sua religione; ma non per cercare nuovi dogmi o nuove verità (e anche Gesù non si è separato dall’ebraismo, ma lo ha rifondato); Gandhi ha rinnovato la sua religione nella pratica di vita; perché, da buon laico, ha preso questa prassi come verifica costante di quanto elevati fossero i suoi pensieri e le sue intenzioni.
Ha centrato la fede sulla personale esperienza ma lasciandosi guidare dalla ragione, quella stessa ragione che aveva appreso con lo studio del diritto a Londra, ma che poi, abbandonata la professione di avvocato, ha sottoposto alla sua “vocina interiore” nel compiere i suoi tanti “esperimenti con la Verità”.
Da questa ricerca è rinato il legame con Dio: “La [ricerca della] Verità è Dio” (Antiche come le montagne, Comunità, Milano, 1963, 101 e 95).
Egli ha rifondato la fede antropologicamente e la sua antropologia è universale, perché basata su valori umani (coscienza e ragione) che ogni uomo può condividere.
Così la sua ricerca ha portato a una riforma di religiosità (non di religione, come è stato il protestantesimo).

La riforma dell’etica
Della sua religione, antica di migliaia d’anni, ha trovato il bandolo della matassa nell’ahimsa (nonviolenza); con essa ha ricostruito secondo un filo coerente una nuova vita interiore (vedasi ad. es. il suo Commento alla Bagavad Gîta, ed. Mediterranee, 1988), che non è più collegata alla guerra e all’affermazione di sé, ma indirizzata alla soluzione nonviolenta dei conflitti, cioè dei momenti della vita in cui tutta la nostra persona viene messa alla prova,
Guidato dalla nonviolenza, intesa come principio di metodo su come comportarsi nella vita quotidiana e nei conflitti, Gandhi si è riferito a un fondamento comune a tutte le grandi religioni: la lotta tra il Bene e il Male, la conoscenza di sé, la conversione, la fratellanza, l’impegno per i fratelli, la collaborazione secondo uno spirito interreligioso, per compiere azioni comuni.
La nonviolenza non è una parola esotica, ma è il Vangelo stesso; che, nella pagina più sublime – il brano delle Beatitudini – dice che ancor più delle azioni (“Non uccidere”), conta l’atteggiamento profondo. Gesù ha sintetizzato le Beatitudini con una frase (positiva): “Amate i vostri nemici”. Ma oggi sappiamo la parola che estende il “non uccidere” a un atteggiamento generale di rispetto verso tutti, nemici inclusi: non violenza; un atteggiamento che si realizza, come ci ha mostrato Gandhi, solo se si è sostenuti da quell’amore che Gesù ci indica.

Riforma della politica
Recuperata la completezza della legge morale, nella vita sociale non ci sono più zone franche dove vale una logica differente (egoismo personale o collettivo), come invece ha fatto l’Occidente (con Machiavelli e Hobbes). Questa rifondazione della religiosità porta il fedele a impegnarsi, per fede, anche nella società, nella politica intesa in senso ampio. Gandhi ha individuato una “terza via” tra la sottomissione e la contro-violenza distruttrice; l’ha sperimentata prima in Sudafrica (nella lotta per i diritti umani) e poi in India (lotta per la liberazione dal colonialismo mondiale britannico), mostrando come ogni uomo possa combattere efficacemente le più violente strutture di potere anche senza violenza.

Quale religiosità?
Fu lo Spirito a ispirare papa Giovanni XXIII a concepire il Concilio, anche contro il suo segretario e poi tutti i cardinali. E fu lo Spirito che, a Concilio inaugurato, ispirò quei Padri (Lénart) che si opposero alla Curia che voleva chiudere l’evento in tre giorni. E ancora lo Spirito guidò 2.300 vescovi, per la prima volta in rappresentanza di tutto il mondo, a realizzare un avvenimento di straordinaria grande apertura (anche se inferiore a quella della Pacem in Terris!).
È opportuno un confronto: con la nonviolenza Gandhi ha compiuto una riforma di religiosità ponendosi come un singolo e semplice laico; quella riforma che si è estesa tra credenti e non credenti di tutto il mondo. Quella cattolica è stata, invece, una riforma partita dal vertice della religione più istituzionale e più influente nel mondo. Ha coinvolto per primo un Papa e poi migliaia di vescovi; e ha trovato resistenza prima nella Curia e poi in 800 vescovi in opposizione costante. Cosicché ha potuto ispirare solo parzialmente il risultato scritto; i testi dei 13 schemi sono frutto di compromessi. Ancor meno ha influito sui laici che nel dopo Concilio si sono mossi sui temi rimasti scoperti. Infatti, oggi, a distanza di cinquant’anni, possiamo osservare che questa riforma della religiosità aveva sì creato una grande apertura, ma non aveva dato indicazioni su una nuova liturgia, su ecumenismo, su povertà e soprattutto su politica e scienza. In sostanza, tutta la Chiesa cattolica, nonostante la straordinaria apertura concilare, non ha saputo rifondare completamente la religiosità. In effetti, quello che è mancato al Concilio, e anche dopo, è stato il bandolo per ritrovare una spiritualità adatta alla modernità.
Ma Gandhi aveva già indicato quel bandolo: la nonviolenza. Era dal 1965 che si attendeva che la Chiesa cattolica si impegnasse di più rispetto alla molto cauta apertura (scritta a seguito di un digiuno di dieci giorni condotto da venti donne internazionali a Roma, organizzato da Lanza del Vasto): “… noi non possiamo non lodare coloro che, rinunciando alla violenza nella rivendicazione dei loro diritti, ricorrono a quei mezzi di difesa che sono, del resto, alla portata anche dei più deboli, purché ciò si possa fare senza pregiudizio dei diritti e dei doveri degli altri e della comunità” (Gaudium et Spes, n. 80).
In ben cinquant’anni, lo Spirito ha ispirato di nuovo papa Benedetto XVI: “Questa pagina evangelica [le Beatitudini] viene considerata la magna charta della nonviolenza cristiana, che non consiste nell’arrendersi al male – secondo una falsa interpretazione del ‘porgere l’altra guancia’ (cfr. Lc 6, 29) – ma nel rispondere al male con il bene (cfr. Rm 12,17-21), spezzando in tal modo la catena dell’ingiustizia. Si comprende allora che la nonviolenza per i cristiani non è un mero comportamento tattico, bensì un modo di essere della persona, l’atteggiamento di chi è così convinto dell’amore di Dio e della sua potenza, che non ha paura di affrontare il male con le sole armi dell’amore e della verità” (“Angelus” del 16-2-2007).
Ci vorrà un nuovo Concilio per proporre questa nonviolenza come la direzione di fede per tutti i cattolici? Questo evento realizzerebbe il miglior dialogo possibile col mondo moderno e allora “l’onda lunga dello Spirito” potrebbe ricoprire il mondo intero.
Anche nella Chiesa cattolica c’è stato un rinnovamento dal basso: la teologia della liberazione, anche se questa ha assunto i significati esterni dell’onda lunga dello Spirito, la rifondazione antropologica della religiosità basata sul collettivo, più che sulla conversione personale. La lettura sociale dei testi sacri è stata realizzata assumendo a priori una precedente teoria sociale, anche se era limitata a una sola struttura (di peccato), quello dell’economia capitalista, senza neanche aggiungere la struttura combattuta da S. Francesco, il bellicismo. Non a caso questa teologia ha seguito il mito del progresso delle strutture sociali; in particolare non ha avuto dubbi sulla scienza e sulla tecnica.
Dopo quarant’anni, questa riforma della religiosità è apparsa parziale. Mi ha fatto capire che ora il mondo moderno ha messo alle corde tutte le religioni: è sorto un ampio movimento di atei, che ha minacciato la stessa sopravvivenza delle religioni, considerandole un residuo del passato. Ora le religioni debbono trovare un chiaro motivo di nuova vita: non solo ripetere all’individuo la speranza in un mondo ultraterreno, ma superare il carattere o solo individualistico o solo di massa della religiosità, per passare a una religiosità che parta dalla consapevolezza dell’intreccio di rapporti che ogni persona ha con tutte le strutture della società. In particolare le religioni al tempo d’oggi debbono chiarire, oltre il peccato individuale, cosa sia il peccato collettivo, strutturale, sociale (ad es.: chi ha colpa della disoccupazione?). Come convertirsi per combattere le forme di oppressione sociale? Come essere lievito nelle istituzioni?

Il peccato strutturale
Nel cristianesimo colui che si è posto tali interrogativi, e si è interrogato rispetto ai mali strutturali della società occidentale, è stato S. Francesco. Egli vide, in anticipo, le strutture sociali negative dell’Occidente, il capitalismo (in suo padre Bernardone e nei mercanti di stoffe del tempo) e il militarismo (nelle guerre a cui aveva partecipato in gioventù e nelle Crociate); a queste strutture sociali ha risposto con il “non attaccamento ai beni” e con il saluto che ognuno della “Compagnia della Pace”, che lui aveva fondato, rivolgeva alla gente: “La pace del Signore sia con te!”. Con ciò ha saputo fare politica dentro la Chiesa e nella storia dell’umanità.
Il male strutturale è stato chiarito con precisione teologica da Lanza del Vasto quando, da discepolo cattolico di Gandhi, ha interpretato in maniera sociale la Bibbia di Genesi 3 (Peccato Originale) e di Apocalisse 13 (Due Bestie che bestemmiano Dio e soggiogano l’umanità). Questi racconti trattano i due tipi estremi di peccato strutturale: il primo peccato è quello che sta all’origine di ogni aggregazione umana, la quale può essere trasformata dai tanti interessi egoistici individuali, coperti dalle regole del gioco, in una piramide di potere sui più deboli; e il secondo peccato strutturale è quello di un regime totalitario che opprime la vita spirituale e sociale di tutti. Lanza del Vasto ha pure chiarito che ci si converte da un peccato strutturale uscendo dalle sue strutture (a costo di una disobbedienza civile), lottando contro di esso (cioè contro le strutture sociali negative che lo esprimono) e ricostruendo in positivo le organizzazioni contestate (programma costruttivo di Gandhi). Il sermone del monte, caro anche a Gandhi, indica la dinamica delle conversioni strutturali del Cristianesimo.
Oggi, ogni grande tradizione è impegnata nel rileggere i propri testi sacri per capire spiritualmente la moderna struttura della vita sociale e per agire di conseguenza. Anche i monaci buddisti, quelli che hanno come massimo ideale della vita spirituale il nirvana, l’annullamento del sé e della società attorno a sé, anche loro si sono mossi per fare delle rivoluzioni; prima in Vietnam al tempo della guerra contro gli USA (furono la terza parte degli accordi finali di Parigi), poi in Myamar (ricordiamo Aung San Suu Kyi) e nel Tibet (che è senza esercito né si fa difendere da altri – come il Vaticano difeso dagli Stati nucleari Italia e USA).

Lanza Del Vasto
La nuova vita interiore propone tutta una modalità alternativa di vita. Lanza del Vasto l’ha concretizzata fondando la comunità interreligiosa dell’Arca (che tra i sette voti ha quello della nonviolenza). I buddisti hanno proprio un Ordine specifico per la pace e la nonviolenza, che costruisce pagode della pace nel mondo (uno di questi monaci dal tempo dei missili vive a Comiso). Tra i cristiani, era sorto l’Ordine francescano; ma, nonostante esso si sia suddiviso secondo le più disparate direzioni spirituali, nessuna di esse ha ritrovato lo spirito originario di dedicarsi alla Pace con un voto specifico (né si ricorda dell’obiezione di coscienza, che era inclusa dalla regola primitiva). A quando allora un Ordine cristiano che, con la sua struttura, manifesti la conversione dell’Occidente a un cristianesimo rinnovato nonviolentemente, e che, per voto, si dedichi alla Pace nel mondo?

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