L'inutile inganno
“Il pesce dorato” è il nome di un pub di Sarajevo in cui mi ritrovo per un serrato confronto su giovani e pace. Il pub ricorda gli androni maledetti in cui si incrociavano storie e sogni, rivoluzioni e rivelazioni. Al posto di Verlaine, Baudelaire, Rimbaud, Mallarmé, Corbière incontro Sabrina, Marcello, Giacomo, Alessandra, Giorgio, e poi ci raggiunge Laura, tutti giovani. In questo scritto non faccio altro che raccogliere e riportare le loro idee e suggestioni, preoccupazioni e progetti che provano a rispondere alla questione: cosa posso e cosa sono io per la pace? Non cercate coerenza e logica, che non mancano, ma immaginatevi di essere al tavolo con noi e continuate il dialogo con altri giovani lì dove vivete.
Aristofane e Lisistrata
Un busto di Aristofane, comparso fra i mille oggetti sopra e sotto di noi, apre il confronto e ricorda l’obiezione di coscienza delle donne raccontata nella commedia “Lisistrata”: niente sesso, cari uomini, finché non la finite di fare la guerra! Più che la donna o il sesso, per la pace è fondamentale l’antifascismo, cioè porre una pietra definitiva sul passato e fare qualcosa di veramente nuovo. Solo che il pacifismo come antideologia non regge più, è fuori tempo e fuori prassi. Troppe parole e romanzi dicono che la pace deve essere concreta e comprensibile per i piccoli. È vero, le discussioni sulla pace, i trattati, le grandi organizzazioni internazionali sono inutili: la pace non si costruisce dietro una scrivania o attorno a un tavolo, ma con la semplicità dei gesti. È la storia che ci racconta come la guerra sia stato uno dei modi di fare pace; una pace a tutti i costi con un prezzo altissimo, una macroarea della politica più che un percorso personale, dove io mi metto in gioco. La pace è “spersonalizzarsi” all’ennesima potenza, è uscire da sè, essere meno proprietari, in altri termini è donare la vita per averla, ecco perchè può partire solo dal nostro “inutile quotidiano” in cui tessere comunicazione di vita. Non parlare, non comunicare porta alla violenza di cui solo la solitudine ti fa provare il gusto. Vedo un uomo cattivo, egoista, distruttivo, predatore, virale (basta guardare a come trattiamo l’ambiente e le relazioni), assediato dalla banalità, non sa più per chi e per che cosa lottare. L’uomo che non lotta è rassegnato, è fallito, non crea nulla. La violenza, come metodo di lotta, si insinua con la sua estetica sociale: piace a troppi e sempre di più e, nel suo riconoscimento sociale, ci porta a farci sentire, a essere qualcuno, a diventare protagonisti.
Religione e pace
La religione a noi appare più come imposizione e lavaggio del cervello che come processo di pace. Una religione che ti porta troppo spesso a uccidere, a barattare la vita per la libertà non possiamo sceglierla e appoggiarla. Si può dire “meglio morire che vivere ad Auschwitz” adesso che siamo liberi, ma se fossimo là, non sappiamo cosa faremmo. Si descrive sempre la pace nella sua dimensione socio-politica dimenticando che è soprattutto un’esperienza intima, spirituale che ci regala l’armonia e l’equilibrio interiore. Sono finiti i tempi delle religioni guerriere (non delle spiritualità): dire come ha fatto il Papa “Gesù tornerà presto e il nemico sarà sconfitto” cosa trasmette ai giovani? Temo desiderio di guerra, più che impegno per la pace. I linguaggi religiosi sono ancora troppo intrisi di sacrificio e sangue.
Politica e pace
Per costruire il futuro è meglio stare fra la gente, rigettare le istituzioni e ricostruire la società civile perchè solo una partecipazione attiva dal basso costruisce pace. Il partito, di parte, è strumento vecchio e la politica che divide sempre di più non è strumento consono ai giovani. La politica che ha generato benessere (così ci hanno raccontato) ora non serve più perchè lo mette in dubbio. È la stessa politica che elimina, rottama, esclude e non ha nulla di pacifico in sè. Serve sempre più scuola e alfabetizzazione e meno politica distruttiva: è la cultura che genera pace.
I primi nomi citati sono classici: Martin Luther King che lotta contro ogni muro razzista, etnico, religioso, culturale; Gandhi con la sua disobbedienza civile, quotidiana e non aggressiva; Dunant e la Croce Rossa che si prende cura delle vittime indipendentemente dalla loro appartenenza, così come Gino Strada, Giovanni Paolo II... e poi la svolta inaspettata ma affascinante: costruttore di pace è chi sorride, chi semplicemente rispetta l’altro, chi comprende la diversità e le situazioni, chi serve gratuitamente e come stile, chi sa assumere la fatica della sintesi in un contesto di diversità, chi sa essere amico e chi sa arricchirsi nell’incontro con altri modi di pensare e progetti di vita.
Dove costruire pace?
I luoghi della pace non sono facili da scovare e si parte dall’associarsi, partecipando a porre delle basi comuni e concrete di convivenza. Viviamo, come giovani, da precari e precaria è anche la nostra appartenenza ai movimenti di base: la vita è precaria e la partecipazione mi chiede tutto: cosa faccio e come mi organizzo? Il viaggio è luogo di pace perchè accresce le nostre conoscenze e relazioni attraverso l’incontro. Ma lo sradicamento, il continuo spostarci per la scuola o per il lavoro, ci impedisce di fare la nostra parte con convinzione e concretezza. Potremmo gestire una informazione corretta e costruttiva, prospettica e collaborativa che superi il violento opinionismo di questi tempi. Anche se ci stiamo abituando a una comunicazione sempre più settaria e provocatoria. E se riuscissimo a trasformare l’università in universo che si incontra e si riconosce nella diversità, cioè facilitando scambi e progetti di collaborazione? Troppo spesso il nostro muoverci è asettico, saltellante, disincarnato, astorico. Costruisco futuro con azioni di pace e penso alla marcia dei 500 a Sarajevo: chi è andato aveva lavoro, casa, futuro, noi, se partissimo, potremmo tornare e aver perso lavoro, casa e futuro. Sappiamo che abbiamo tutto da perdere e al ritorno nessuno ci accoglierà: perchè farlo? A volte sogni di poterti comprare un orto in pieno regime autarchico: questo sarebbe già il primo capitolo per fare pace, impedirci di essere rapaci. Eppure mi resta il dubbio: parto per il Rwanda, la Siria o coltivo il mio orticello? Sarà che la pace è vivere nel dubbio? Il lavoro non sembra un luogo in cui costruire pace, oppure semplicemente questi giovani non hanno lavoro.
Cosa mi da’ gioia?
Lo Shalom, la pace danno gioia alla persona e all’umanità. Se penso, vedo che mi da’ gioia stare bene con gli altri, cogliere la loro felicità e farla mia. La soddisfazione e l’appagamento per quello che sono senza dovermi alzare ogni mattina con il “magone” perchè non sono nessuno. La corrispondenza di affetti e sentimenti che mi fanno sentire stimato e amato. Trovare il modo per poter esprimere me stessa per quello che sono senza dover ogni giorno cambiare maschera. Un abbraccio e una risata nei momenti più improbabili: è la sorpresa che mi da’ gioia, non lo scontato. Arriva Laura, giovane veneziana, ci serve al pub, sta facendo uno stage con la Caritas Internazionale e ha scritto una tesi dal titolo “L’umorismo bosniaco in tempo di guerra”. Se ci abituassimo a reagire con un sorriso a ciò che accade useremmo meno la violenza come unico e consueto modello di risposta ai problemi del vivere. Beati, contenti i costruttori di pace? resta una domanda.
Confidare nei giovani
“Ci sembra infatti che la presente crisi del mondo, caratterizzata per molti giovani da una grande confusione, denunci da una parte l’aspetto senile di una civiltà commerciale, edonistica, materialistica, che tenta ancora di spacciarsi come portatrice d’avvenire. Contro questa illusione, la reazione istintiva di numerosi giovani, pur nei suoi eccessi, esprime un valore reale. Questa generazione è in attesa di qualche altra cosa. Privata repentinamente di tradizioni protettive, e poi amaramente disillusa dalla vanità e dal vuoto spirituale delle false novità, delle ideologie atee, di certi misticismi deleteri, non sta forse per scoprire o per ritrovare la novità sicura e inalterabile del mistero divino rivelato in Gesú Cristo? Non ha forse egli – secondo la bella espressione di sant’Ireneo – ‘disvelato ogni novità venendo nella sua persona’?”. Sono parole di Paolo VI nella sua incredibile esortazione sulla gioia (Gaudete in Domino, 1975).
Ecco il segreto di una pace comprensibile anche ai giovani e vocazione di un’intera vita: esserci come persone, in mezzo ai problemi, con gli ultimi, dalla parte delle vittime, esigendo giustizia, vivendo la verità, progettando liberazione e con tanto amore, quell’amore che salva il mondo e fa sorridere l’umanità e il creato intero.