PAROLA A RISCHIO

Artigiani e tessitori

Cosa è la pace? Come armonizzare l’esistenza in ogni sua dimensione? Chi costruisce rapporti solidali e tesse relazioni di dialogo, di comprensione e di perdono “fa” la pace. E di essa impasta tutta la sua vita.
Giovanni Mazzillo (Teologo)

N come Natura e anche come la sua Negazione: appunto come il cosiddetto Nichilismo. Ma noi preferiamo la natura, perché preferiamo e amiamo la vita.
L’annuncio del tema “Beati gli operatori di pace” per la 46^ Giornata Mondiale della Pace, da parte di papa Benedetto XVI, fa riferimento alla natura e all’incidenza del nichilismo come vera emergenza educativa, ma al fine di rimandare alla bontà della pace, da abbracciare nella sua estensione e profondità: “La pienezza e molteplicità del concetto di pace, a partire dall’essere umano: pace interiore e pace esteriore”. Su questa via dobbiamo mostrare che la vita ha un senso e un significato, così come ha senso e significato sempre attuale l’espressione di Gesù: “Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio” (Mt 5,9).
Ha senso e significato la vita perché ha senso e significato la pace. Entrambe hanno entrambi, cioè senso e significato. Ma giacché ci siamo, potremmo dire che entrambe hanno anche rilevanza, e che rilevanza! Prima di andare avanti, perché distinguiamo il senso dal significato delle cose e degli eventi? Dovremmo dire innanzi tutto nei concetti.
La parola concetto suona in italiano troppo “astratta”. Tuttavia qui si vuole indicare più che un’astrazione, una concezione, un modo di accostare la realtà, cercandone una sua interpretazione sensata e significativa. Perché si precisa tutto ciò? Per complicare il concetto di pace e di conseguenza quello della vita? Niente affatto, solo per porre dei punti fermi, grazie ai quali, chi vuole (spero davvero che siamo in tanti) può debellare il nichilismo. Debellare: cioè sminarlo del suo potenziale apparentemente innocuo eppure terribilmente distruttivo. Solo riacquistando il senso e il significato della pace, si può eliminare ciò che gli antichi romani chiamavano “bellum” e che bello di certo non era, perché era la guerra, evocando nel suo concetto non ciò che è gradevolmente umano e cresce a misura dell’uomo (in latino detto pulcrum), ciò che ne costituisce la negazione, come ricaduta nell’elemento belluino, quello appunto della bestia, ma di una bestia peggiore di ogni altra in quanto animale, fosse anche il più feroce.
Qui è appunto il valore del senso, prima ancora che quello del significato. La normale bestia, in quanto essere vivente, ha la sua sensatezza, il suo posto logicamente comprensibile. Non solo. Ha anche la sua funzione, in quanto utilità storico-ambientale. Pertanto, si armonizza con la natura nel suo insieme e nei suoi vari sistemi, incluso l’ecosistema. Insomma, come “animale”, avente una vita, reale e non solo logicamente presupposta, persino la “bestia” ha anche il suo significato.

La guerra
La guerra, invece, non ha né l’uno e nell’altro. O meglio, se proprio li dobbiamo indicare, ha un senso che più che nichilista è annichilente. È ciò che distrugge e devasta, ciò che rade al suolo le città, mentre azzera qualsiasi sentimento di umanità nei cuori e nell’anima. Ha un significato storicamente afferrabile, ma solo per chi sopravvive alla catastrofe programmata e provocata; e tale significato è solo decostruente e distruttivo, in ogni senso. Appunto: distrugge l’uomo e la sua umanità; distrugge la vita e tutte le sue espressioni; distrugge la natura e quanto è fatto per la vita; distrugge del tutto la vita. Se in ciò si può ancora cogliere un senso logico (che risponda alla domanda: perché?) il senso è nella sua risposta che non è una risposta, ma un atto di annientamento. La risposta non può essere che questa ed è la peggiore che ci sia: “Perché in guerra bisogna distruggere”. Distruggere il nemico, distruggere l’altro, distruggere il suo ambiente e le possibili vie di ripresa di chi si è voluto annientare e deve restare un nulla di fatto. Perché la guerra è solo progetto ed esecuzione verso il nulla e pertanto, oltre ciò non vi si può scorgere alcun senso.
Il nichilismo non è proprio la stessa cosa, non sembra avere di primo acchito la stessa capacità distruttiva e tuttavia ne è più che l’esito – è anche questo – il brodo, o piuttosto, la ributtante brodaglia in cui cresce il disprezzo della vita dell’altro, allorché qualcuno comincia a disprezzare il valore della propria vita; comincia a negare il valore del proprio posto nel mondo, il significato della propria esistenza e dell’esistere, persino il senso del venire al mondo. Nichilismo è negare una qualsiasi verità nell’uomo e nel mondo, nel suo presente e soprattutto nel suo futuro; è il veleno che intossica, fino a rendere infecondo il futuro.

Essere contemplattivi
La pace, al contrario, ha senso e significato per l’attimo presente e per la costruzione del futuro. Il suo senso è ricostruibile da quelli che tradizionalmente sono indicati come i suoi ambiti: l’interiorità e la relazione con gli altri, la preghiera e l’impegno, la contemplazione e l’azione, insomma: la mistica e la politica. Ciò che con don Tonino Bello, a Rossano, in un’estate di diversi anni fa, si indicava come duplice faccia della stessa medaglia della pace: essere operatori di pace significa essere contemplattivi. Non è un refuso e si scrive con due T. È un neologismo interessante e semplificatore, che unisce senso e significato in una sola parola. Chi veramente arriva a contemplare qualcosa di Dio nel volto di Cristo diventa immediatamente portatore e artefice di pace. Un suo artigiano. Chi realmente costruisce rapporti e tesse relazioni di dialogo, di comprensione, di perdono e pertanto “fa” la pace, è come se la impastasse, oltre che la impostasse come chiave e molla della sua vita. Il testo originale del Vangelo dice: «Beati gli eirenopoioi…», cioè i facitori dell’eirene, della pace. Chi la realizza, quasi la crea. Anche da condizioni umanamente belluine. Non si arrende all’odio e al nichilismo, ma inventa la pace. Costui, anche se non lo sapesse, concorre a costruire un diverso futuro, perché contempla qualcosa come il volto stesso di Cristo, primo e supremo artefice di pace. Colui che ha fatto la pace, avvicinando i diversi tra loro e a Dio (cf. Efesini 2,14-15).
Il primo operatore di pace è stato e resta Gesù (poion eirenen). Pertanto, nel suo stile e nel suo Spirito, ha voluto che quanti si richiamano a lui e a Dio come Padre, siano i costruttori infaticabili della pace. Il senso letterale e la provocazione teologica dell’espressione di Gesù risultano evidenti, appena si pensi che contemporaneamente al Battista, tra i movimenti messianici, religiosi e politici, ce ne erano alcuni che ritenevano il mondo ormai prossimo al giudizio definitivo di Dio. Un giudizio che se per Giovanni Battista poteva lasciare qualche margine di spazio al ravvedimento e quindi alla salvezza, per altri invece, alla pari degli Esseni, era un giudizio dal quale poteva salvarsi solo chi come loro si era dedicato a una pratica, tanto esigente quanto, alla fin dei conti, irrealizzabile: appartarsi da tutti e da tutto, purificandosi più volte al giorno e implorando la venuta del giorno di Dio. Non solo implorandola, ma affrettandola, se è vero – come sembra – che quest’immagine integralista di Dio diventava immediatamente fondamentalista, fino ad armare se non le mani, certamente i pensieri e i fervori aberranti, lo zelo, di quanti venivano chiamati Zeloti e, proprio al tempo di Gesù, non facevano mistero, né si facevano scrupolo, di eliminare fisicamente quanti ritenevano nemici di Dio. Li annientavano, perché “nemici di Dio” e ritenuti propri nemici. Come tali, questi erano solo materia da distruggere, zavorra da buttare innanzi tempo nel fuoco terreno, visto che stava per venire il fuoco definitivo del giudizio. In un rotolo di Qumram, ritrovato in una delle grotte dove questi scritti coevi di Gesù sono stati conservati per secoli, c’è chiara l’affermazione che sono graditi a Dio e, pertanto giustificati e potremmo dire suoi figli, perché figli della luce, coloro che fanno la guerra in nome di Dio e iniziano a distruggere, magari con il fuoco, ciò che Dio non gradisce.
In questo contesto che esalta la guerra in nome della religione e considera figli di Dio quanti fanno la guerra nel suo nome, Gesù proclama in maniera definitiva, rivoluzionaria e irreversibile, per tutti i tempi, per la sua Chiesa allora nascente, come per la Chiesa e la storia di tutti i tempi: “Beati coloro che fanno la pace, perché sono essi i figli di Dio!”.

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