ULTIMA TESSERA

Africa armata

La guerra attuale in Mali, la lotta al fondamentalismo e ai traffici.
Quali interessi sottendono gli interventi europei armati?
Giulio Albanese

La “Grand France” di Hollande non fa sconti a nessuno! È, infatti, entrata in guerra in terra africana, intervenendo, il 12 gennaio scorso, nel Mali, contro i fondamentalisti islamici affiliati ad al Qaida. Si tratta di una serie di formazioni jihadiste che, dallo scorso anno, avevano il controllo della regione dell’Azawad, nel nord del Paese. Nessuno, in sede internazionale, ha la sfera di cristallo per prevedere il futuro del Mali. Certamente, l’iniziativa francese, sostenuta dalle diplomazie occidentali e da molti Paesi africani, potrebbe segnare una svolta per il Mali, anche se il rischio è che la crisi bellica non si risolva velocemente, col risultato che i gruppi jihadisti, fuggendo, possano destabilizzare i Paesi limitrofi.

Confini bellici
La riconquista di alcune città strategiche come Gao, non significa, assolutamente, che i ribelli siano stati sconfitti. L’esperienza della guerra somala, dove le forze jihadiste, in questi anni, hanno fatto il bello e il cattivo tempo, la dice lunga. Viene spontaneo, pertanto, esprimere grande preoccupazione per un quadro bellico ancora estremamente fluido. A questo proposito, è utile rileggere una dichiarazione di François Hollande, formulata durante il suo primo viaggio in Senegal, il 12 ottobre scorso. Ebbene, il numero uno dell’Eliseo, parlando di “partenariato tra due Paesi fondato su relazioni di rispetto, chiarezza e solidarietà”, ha detto, chiaro e tondo, che “Il tempo della ‘Françafrique’ è finito. C’è la Francia e c’è l’Africa”. Una presa di posizione, la sua, che è stata interpretata dalla stampa francese come la fine di un modello di relazioni, tanto privilegiate quanto ambigue, che la République intratteneva con le sue ex colonie africane. In effetti, però, in coincidenza con la visita di Hollande, uno dei più importanti giornali senegalesi, Le quotidien, ha sì riconosciuto a Hollande di avere detto le cose giuste, ma precisando che “l’importante è tradurle in azioni concrete. L’Africa non ha mai smesso di sentire dichiarazioni di buone intenzioni. Gli anni passano, il ritornello è sempre lo stesso. Ma nella pratica gli interessi geostrategici riprendono velocemente il sopravvento rispetto ai buoni propositi”. Non v’è dubbio che la fine della “Françafrique” è stata una scelta politica sagace, di cui va dato merito al presidente Hollande. Ma attenzione! La dottrina di cui sopra era già in crisi da tempo, almeno sul piano concettuale, perché a Parigi si avvertiva il bisogno di un cambiamento che era già in parte dovuto a una riduzione dei margini d’azione economica della Francia e in parte all’affermarsi di una nuova generazione di dirigenti africani.
Detto questo, però, guardando all’odierna crisi maliana, per quanto l’intervento militare sia stato dettato dall’urgenza di arginare le formazioni jihadiste, esige più che mai vigilanza da parte della comunità internazionale, non foss’altro perché i costi di questa missione rischiano di ricadere sul popolo maliano, che potrebbe vedersi costretto a svendere le proprie risorse minerarie dell’Azawad, come già avvenuto in altre circostanze. Sottoterra, nel nord del Mali, c’è oro (forse più che nel Ghana), petrolio e uranio (mai sfruttato). Ecco che allora, chissà, non sarebbe una cattiva idea chiedere alla signora Catherine Ashton, alto rappresentante per la politica estera dell’Unione Europea, di offrire garanzie concrete in tal senso. Si tratterebbe, in sostanza, di fugare ogni dubbio sulle reali intenzioni di Parigi. La protezione offerta al Mali dalla Francia, contro gli estremisti islamici, non può, infatti, rappresentare, ancora una volta, il pretesto per procrastinare nel tempo il “neo colonialismo” di cui la Françafrique è stata un’espressione eloquente. Da una parte, è vero, il terrorismo va sconfitto, dall’altra, però, è necessario riconsiderate seriamente le procedure d’intervento, sia per quanto concerne il coinvolgimento in questi conflitti degli organismi internazionali come l’Onu – spesso messi di fronte al fatto compiuto – sia rispetto alle modalità dal punto di vista operativo. Infatti, quella sinora utilizzata – l’intervento militare – si è rivelata, su più fronti, a dir poco fallimentare nello scontro asimmetrico contro il jihadismo. Qui è in gioco, certamente, la lotta al terrorismo islamico, anche se poi manca tuttora, in sede internazionale, la volontà politica di fare chiarezza sul vero grande “sponsor” che foraggia i predoni di cui sopra. Dietro le quinte, c’è, infatti, il movimento salafita, lasciato troppo libero d’interferire nelle vicende africane. Come mai, ad esempio, il dialogo in sede internazionale, prescinde, in queste tragiche ore, da un coinvolgimento franco e diretto tra l’Occidente e il mondo islamico che, nella Lega Araba dovrebbe trovare l’interlocutore privilegiato?

Traffici e commercio
Il jihadismo di matrice salafita, che ha trovato una sua collocazione e soprattutto un suo riconoscimento sulla sponda africana del Mediterraneo, ha il radicamento nel contesto Mediorientale e la sua genesi nel Wahabismo saudita. E cosa dire dei convogli del narcotraffico latinoamericano che da anni procedono spediti lungo la direttrice maliana, senza che vi sia mai stata premura alcuna nel vigilare sui porti d’approdo in Guinea Bissau, Liberia e Ghana? Non sarebbe ora che si arginasse questo diabolico commercio che, non solo genera morte e distruzione nel vecchio Continente, ma foraggia lautamente i gruppi eversivi che oggi imperversano nel cuore nevralgico del Sahel? Una cosa è certa: a pagare il prezzo più alto, oggi, in Mali è la stremata popolazione civile. Sia per la crisi alimentare in atto da mesi, che per quella umanitaria causata dalla guerra in corso. Aveva ragione Carlo Levi, illustre scrittore e saggista torinese: “…che la sola ragione della guerra è di non aver ragione (ché, dove è ragione, non vi è guerra); che le guerre vere ed efficaci sono soltanto le guerre ingiuste; e che le vittime innocenti sono le più utili e di odor soave al nutrimento degli dèi”.

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