SOCIETÀ

Mettiamoci in gioco!

Quanto spendono gli italiani per il gioco d’azzardo?
Nelle pieghe di una piaga. Per uscire dal tunnel.
Al via una Campagna nazionale.
Matteo Iori (presidente del Co.Na.GGA ed esponente della Campagna “Mettiamoci in gioco”)

Pochi lo sanno, ma in Italia il gioco d’azzardo “è vietato”… salvo deroghe specifiche concesse dallo Stato, e le deroghe non sono mancate: nel 1997 nascono il Superenalotto e le Sale scommesse, nel 1999 il Bingo, nel 2003 le Slot machine, nel 2005 la terza giocata del Lotto e le scommesse Big Match, nel 2006 i nuovi corner e punti gioco per le scommesse, tra il 2007 e il 2008 il gioco d’azzardo on line (seppure con una serie di limitazioni), nel periodo 2009-2011 le nuove lotterie a estrazione istantanea, il Win for Life, le VideoLottey, il gioco del Bingo a distanza, 7.000 nuovi punti vendita di scommesse ippiche e sportive, e viene prevista l’apertura, da gennaio 2013, di 1.000 sale da gioco per tornei di poker dal vivo…
Se nel 2000 in Italia si spendevano al gioco 14,3 miliardi di euro, si è saliti ai 47,5 miliardi del 2008, ai 79,9 miliardi di euro del 2011 e per il 2012 si prevede una cifra spesa al gioco di circa 90 miliardi di euro; sapendo che per legge i minorenni non possono giocare d’azzardo, questo significa che in media ogni maggiorenne della penisola spenderà intorno ai 1.900 euro a testa. Una parte di questa cifra tornerà in piccole vincite, o meglio sarebbe definirle “minori perdite”, ma oltre 18 miliardi saranno quelli definitivamente persi dai cittadini italiani, meno della metà dei quali andrà allo Stato e la parte rimanente andrà alla filiera dell’industria del gioco d’azzardo.
Ovviamente, per ogni italiano che non spende questi millenovecento euro all’anno, qualcun altro ne spende il doppio; e in questo contesto di offerta di gioco, non tutti hanno le stesse “difese”.
Secondo i dati Eurispes, nel gioco investe di più chi ha un reddito inferiore: giocano il 47% degli indigenti, il 56% degli appartenenti al ceto medio-basso, il 66% dei disoccupati. E l’azzardo non è neppure una cosa che riguardi esclusivamente gli adulti; infatti, secondo il Cnr (Consiglio nazionale delle ricerche), il gioco attira il 47,1% dei giovani che frequentano le scuole medie superiori e l’11% dei ragazzini che gioca d’azzardo rischia di diventare uno scommettitore patologico.

Chi sono?
A prescindere dall’età, i più attratti dal gioco sono le persone con meno risorse e meno scolarizzazione. Secondo la ricerca Co.Na.GGA-CNCA 2011 il gioco d’azzardo aumenta con la diminuzione della scolarizzazione. Coloro che dichiarano di giocare hanno generalmente una scolarizzazione medio-bassa: sono l’80,3% di chi ha la licenza media, contro il 70,4% di chi ha licenza superiore e il 61,3% dei laureati. Anche da un punto di vista della situazione lavorativa si notano differenze importanti rispetto all’approccio con il gioco d’azzardo: se il 70,8% di chi ha un lavoro a tempo indeterminato dichiara di aver giocato almeno una volta nell’ultimo anno, la percentuale sale all’80,2% dei lavoratori saltuari o precari che dichiarano di aver giocato e, infine, tocca l’apice con l’86,7% dei cassintegrati.
E una parte diventano proprio dipendenti dal gioco d’azzardo; secondo i dati presentati lo scorso 11 dicembre dal Ministro della Sanità Balduzzi nella “Relazione sullo stato sanitario del Paese per l’anno 2011”, emerge che in Italia le persone con un gioco d’azzardo problematico (quindi a rischio) sono 700 mila, 300 mila dei quali hanno già instaurato una vera e propria dipendenza dal gioco d’azzardo.
La cosa paradossale è che, in altri Stati in cui si gioca meno che da noi (Francia, Spagna, Svizzera, Germania), il gioco d’azzardo patologico (GAP) è considerato una malattia e il recupero è sostenuto dallo Stato; in Italia no. Nonostante questi dati e questi numeri, il gioco d’azzardo, non essendo inserito nei LEA (Livelli Essenziali di Assistenza), non è ancora riconosciuto dallo Stato come una dipendenza per la quale fornire assistenza sanitaria e sociale gratuita ai giocatori. Una legge approvata a novembre 2012 dovrebbe far entrare finalmente il gioco d’azzardo nei LEA, ma questo dipenderà dal lavoro delle Commissioni ministeriali e dall’accordo della Conferenza Stato-Regioni. Non è affatto scontato che si possano rispettare i tempi previsti, anche in virtù del fatto che lo Stato non ha riconosciuto alcuna copertura economica per permettere ai servizi pubblici delle Ausl di garantire la cura da questo tipo di dipendenza.

La Campagna
Dei 90 miliardi di euro che si presume siano stati spesi in gioco d’azzardo in tutto il 2012, circa 8 saranno destinati alle casse dello Stato. Un’entrata certamente importante, ma “Mettiamoci in gioco”, Campagna nazionale contro i rischi del gioco d’azzardo, lo scorso 4 dicembre ha presentato in Senato un dossier sui costi sociali connessi all’azzardo, un’attività non così conveniente per il nostro Paese. Utilizzando i parametri di uno studio condotto dall’Istituto di Ricerca Economica dell’Università di Neuchatel, si è potuta stimare una cifra compresa tra i 5,5 e i 6,6 miliardi di euro annui come costi sociali e sanitari che il gioco d’azzardo patologico comporta per l’Italia. La ricerca prende in considerazione sia i costi diretti che i costi indiretti; quelli diretti sono legati alla spesa sanitaria, inoltre vi sono dei costi indiretti che riguardano il contesto lavorativo (perdita di performance lavorativa del 28% maggiore rispetto ai non giocatori, perdita di reddito), e infine dei costi legati alla qualità della vita del giocatore (problemi che ricadono sui familiari, violenza, rischio di aumento di depressione).
Inoltre, secondo “Mettiamoci in gioco”, occorre tenere in considerazione un’altra cosa: nel 2011 in Italia sono stati giocati 80 miliardi di euro, 61,5 sono tornati nelle tasche dei giocatori, 18,4 sono stati quelli definitivamente persi al gioco (oltre 8 miliardi di questi sono andati allo Stato). Se questi 18,4 miliardi di euro fossero stati investiti in acquisti di beni di consumo avrebbero portato allo stato un’imposta di valore aggiunto (Iva) pari al 21% e quindi avrebbero rappresentato un guadagno di 3,6 miliardi di euro di maggiori entrate di Iva; mentre i soldi persi al gioco d’azzardo di ulteriore “valore aggiunto” hanno ben poco.
Già da questi dati si nota quanto poco sia conveniente il gioco d’azzardo per lo Stato: a fronte di 8 miliardi di euro previsti per l’Erario nel 2012, avrebbe costi complessivi di circa 6 miliardi e altri 3,6 miliardi stimabili per mancata entrata Iva per acquisti non fatti.
Ma, oltre ai costi economici, occorre tenere conto anche dei costi per la società che non sono contabilizzabili: gli interessi della criminalità organizzata sul gioco d’azzardo, l’aumento delle separazioni che secondo l’Associazione avvocati matrimonialisti italiani per il 6-8% dei casi è dovuto a problemi con il gioco d’azzardo e infine il fatto che una fascia molto ampia di giocatori è rappresentata da coloro che fanno parte di ceti medio bassi e che spesso fruiscono anche di sussidi statali che finiscono a loro volta nel gioco d’azzardo.
Sono tutti questi motivi ad aver spinto molti enti di livello nazionale a lanciare “Mettiamoci in gioco”. Enti del terzo settore, associazioni di consumatori, enti istituzionali e sindacati hanno deciso di mettersi insieme per chiedere allo Stato una presa di coscienza sul fenomeno del gioco d’azzardo. Le richieste della Campagna sono legate alla sospensione dell’introduzione costante di nuovi gioco d’azzardo, al creare dei limiti veri sulle pubblicità dell’azzardo, a riconoscere il diritto alla cura per tutti i cittadini dipendenti da gioco, a promuovere Campagne di prevenzione per i più giovani, a restituire ai sindaci il potere di limitare il gioco d’azzardo sui propri territori. Una campagna certamente difficile perché, come sottolineato da don Armando Zappolini, presidente del CNCA, “nell’assalto alla diligenza di fine legislatura, i cittadini – e il diritto alla salute – hanno certamente perso. Ma anche la politica ne esce davvero male, come ha denunciato lo stesso ministro Balduzzi: sottomessa alle lobby più potenti”.

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