PAROLA A RISCHIO

Dal caos al cosmo

O come onore. Onore per la dignità infinita che Dio ha donato, sempre e a chiunque. Orrore per le sue efferate violazioni.
Giovanni Mazzillo (Teologo)

O come onore, ma anche come orrore. L’onore, che è la dignità infinita alla quale Dio ha elevato l’uomo, e l’orrore che suscita in noi il vedere violata tale dignità. Onore come corredo originario di ogni persona umana, piuttosto che come onorabilità, acquisita per meriti reali o presunti, o, come capita molto più spesso, per posizione sociale. Potrei scrivere che la dignità originaria dell’uomo sta all’onorabilità “sociale” come la persona sta al personaggio. La persona è il soggetto umano, il figlio di Dio; l’altro uguale a me, dal quale imparo a essere me stesso; il compagno di viaggio più che socio in affari; l’alterità con la quale mi devo relazionare per crescere e per crescere tutti insieme. Il personaggio, invece, è sovrastruttura, talora maschera, spesso solo funzione e tal’altra pura finzione.

Persone
Appunto, di persona si tratta e ogni teologia della pace deve farvi continuo riferimento, perché proprio dalla innata dignità dell’essere umano in quanto tale, discende l’inviolabilità della persona, l’appello eticamente vincolante a prendersi cura del bisognoso, l’insostenibilità non solo cristiana, ma anche etica della pena di morte, l’illegalità della guerra, l’immoralità della costruzione delle armi, del loro commercio, oltre che del loro utilizzo.
Ma, per restare in tema, faccio riferimento ad alcuni esempi concreti: presentano con immediatezza il doppio aspetto dell’onore come inviolabile dignità umana e dell’orrore che suscita vederla profanata; profanata dall’esterno o per autodistruzione. Da coloro che l’attentano per loschi affari o per paura di perdere il proprio potere, come insegna la storia di Erode prima e di Ponzio Pilato poi. Oppure per autodissoluzione da parte di coloro che, fiaccati dalle traversie della vita e soprattutto da relazioni fallimentari, hanno rinunciato a esprimere il valore innato della propria dignità, perché ormai non ci credono più nemmeno loro. L’onore umano non corrisposto, ma profanato, diventa motivo di orrore. L’orrore esprime non solo disgusto e ripugnanza, ma inquieta e sconcerta. Perché? Perché manifesta uno sconvolgimento totale di prospettiva, anzi una destrutturazione radicale della realtà. Va nella direzione opposta a quella che dal caos ha portato al cosmo e da esso alla dignità inarrivabile dell’uomo. L’orrore esprime il nostro terrore di fronte alla possibilità rea-le di ripiombare nel caos primordiale.
Il primo esempio. La basilica maggiore. Appartiene alla biografia e al magistero di don Tonino Bello. Presente anche un cardinale, intervenuto per l’avanzamento di grado di una chiesa che passava al rango di “basilica minore”, a don Tonino era stata rivolta la domanda sul perché l’edificio sacro non arrivasse a essere “basilica maggiore” e soprattutto quale fosse la differenza tra una “basilica minore” e una “basilica maggiore”. Ricostruisco a memoria quanto egli raccontò di aver replicato: «Risposi che ogni chiesa materiale è l’edificio del re, da cui la parola prende origine». Basileus, in greco, è infatti il re e la stessa espressione regno di Dio o meglio regalità di Dio nell’originale evangelico suona basilèia toù theoù. «Essendo il luogo dove noi incontriamo Dio, la chiesa viene riconosciuta come basilica, dimora del Re, ma si tratta pur sempre di una basilica minore, perché fatta di mura. Il luogo vivente, invece, in cui incontriamo Dio, al punto che egli vi ha preso dimora permanente, è l’uomo. Di più: è il povero, di cui Gesù ha detto che ciò che avremmo fatto a questo fratello ultimo l’avremmo fatto a lui. Pertanto, proprio lui, il povero con cui Gesù arriva a identificarsi, è la basilica maggiore». Con l’indimenticabile afflato di simpatia e di dolcezza che accompagnava le sue parole, don Tonino aggiunse: «Mi girai verso il cardinale, per vedere cosa pensasse di questa mia risposta (nell’ordinamento canonico le basiliche maggiori sono quelle di Roma) e fui felice di notare il suo gesto di approvazione e di compiacimento!».
Nel filo del nostro discorso ecco l’onore che spetta al fratello, al più bisognoso, proprio a colui che, per la situazione esistenziale in cui si trova e ci appare, può talora suscitare “orrore”. Il racconto proseguiva dicendo che, terminata la bella liturgia e le domande del pubblico, egli faceva rientro verso la casa vescovile dove abitava, a Molfetta. Ma ad attenderlo sull’ultimo tratto della sua strada c’era un tale che, ormai tramortito dall’alcool e dalla stanchezza, era sdraiato per terra… «Allora bloccai la macchina – raccontò – e dissi: deve essere lui ... Viene spesso qui, quando non sa più dove andare e si sente rifiutato da tutti… E qualcuno, che era con me, replicò: eccola qui la “basilica maggiore”! Usciamo a soccorrerlo!».
Il ribrezzo, il disgusto, l’orrore che possiamo provare per la persona umana, la cui dignità appare deturpata, ferita, violata sono umanamente comprensibili come espressioni di quella mancanza strutturale che non ci aspetteremmo, ma non possono giustificare alcuna deresponsabilizzazione da parte nostra. Dobbiamo intervenire almeno per cercare di riportare l’uomo a riacquistare la sua dignità e possiamo farlo a una condizione: che noi crediamo nella sua dignità, nonostante tutte le apparenze in contrario.

Basiliche
Ma ci credono davvero gli infelici della terra? Coloro che infangano se stessi non lo fanno forse perché non credono più nel valore assoluto della loro persona? Può sembrare strano. Ma credono più nel valore assoluto della persona umana in quanto tale che nel valore della propria vita o almeno della propria storia, così come essa è stata (mal)vissuta. Insomma, pur ritenendosi uomini che si sono “persi”, non ritengo che tutti e del tutto abbiano smesso di credere nel valore originario e nella dignità inviolabile dell’uomo. Ho da raccontare un altro episodio. Relativo anch’esso alla “basilica maggiore”, anche se in altro contesto e in un’altra area geografica.
Francoforte sul Meno, qualche decennio fa. Davanti a uno dei nuovi giganteschi santuari moderni, un centro vendite a 5 piani, uno di quei centri che la nostra pubblicità spaccia (per chi ci crede) come luoghi del risparmio (Interspar, Supermarket, Expert o non esperti che siano) mentre il nome di ciascuno dei quali è, con laconica verità, in tedesco Kaufhof (cortile, palazzo dove si vende), un senza tetto fu trovato morto. Non ci volle molto tempo a che le autorità competenti intervenissero e ne portassero via il cadavere in un contenitore spartano quanto economico. Non lontano da lì ci sono le grandi banche, quelle che oggi decidono delle sorti dell’Europa e non solo dell’Europa, espressione visibile e urbanisticamente massiccia di ciò che Benedetto XVI, nel messaggio dell’ultima giornata mondiale della pace, ha chiamato “Finanzkapitalismus (capitalismo finanziario) senza alcuna regola”, e che, guarda caso, nessun giornale ha ripreso nella sua nuda e pura denuncia. La piazza, bella e pulita, non poteva restare ingombrata dal corpo di un uomo, uno dei tanti, la cui vista avrebbe, appunto, suscitato solo orrore.
E tuttavia il gruppo degli altri suoi compagni “barboni” evidentemente non provò solo orrore. Racimolando tra loro e chiedendo qualche spicciolo ai passanti, comprarono un mazzo di fiori e lo collocarono sul posto in cui l’altro era morto e la cui sagoma era stata disegnata con un pezzetto di gesso. Per un po’ di tempo i passanti, anche i più distratti, furono richiamati all’inviolabile dignità dell’uomo, di colui che non aveva più nulla se non un pezzo di cartone dove morire, sulla strada, in una notte fredda del Nord d’Europa, accanto alle grandi banche che smuovono milioni di euro in ogni fascia oraria e di certo non possono pensare ad altro. Il cartello diceva e il racconto ancora mi commuove: “Hier ist ein Mensch gestorben”, “Qui è morto un essere umano”.

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