AFRICA

Strascichi di guerra

Le questioni irrisolte che minacciano la pace tra Sudan e Sud Sudan.
Carla Bellani (Campagna italiana per il Sudan)

Il Sudan, il più grande Paese africano, dal luglio 2011 si è diviso in due Stati autonomi: il Sudan e il Sud Sudan. Questo è l’esito finale di una guerra che, a fasi alterne, si è protratta dal 1956, anno dell’indipendenza dalla dominazione inglese, fino alla pace stipulata nel 2005.
Una pace che, sulla carta, ha messo fine a una tragedia immane che ha lasciato nel Paese milioni di morti e di sfollati insieme a grandi devastazioni. La divisione del Paese in due Stati ha stabilito in modo definitivo che il Nord arabo, con regime fondamentalista islamico, non poteva più convivere con un Sud nero, di tribù nilotiche, di religione animista e cristiano.

Il granaio d’Africa
Dietro l’intolleranza tra le diverse culture, etnie, religioni, ci stavano anche le tensioni per il controllo dei ricchi giacimenti di petrolio del Sud, dell’acqua del Nilo, dell’oro, della fertilità dei terreni che in passato hanno definito il Sudan “il granaio d’Africa”. E dietro ancora ci stava il sistema di governo dispotico di Khartoum che usava l’Islam come paravento per concentrare il potere nelle mani di poche élite economiche, politiche e militari, che praticavano la sistematica violazione dei diritti umani e che escludevano dalla vita politica, dallo sviluppo economico e sociale vaste regioni come il Darfur, il Blu Nile, il Sud Kordofan, l’Est.
La situazione d’esclusione e marginalità di queste aree aveva alimentato il movimento di guerriglia già quando il Paese era unito e aveva dato vita alla guerra del Darfur a partire dal 2003 nel tempo in cui il processo di pace era già in corso. Tuttavia, né le lunghe trattative dell’accordo di pace del 2005 (CPA), né i successivi incontri bilaterali di Addis Abeba tra Sudan e Sud Sudan che si sono aperti dopo la proclamazione dell’indipendenza del 2011, hanno saputo o voluto dare una risposta ai problemi di queste aree dove la ribellione ha continuato a manifestarsi sotto forma di guerriglia e dove oggi si è unita in un unico fronte rivoluzionario (Sudan Revolutionary front) che si oppone all’esercito del Sudan proprio all’interno di queste regioni marginalizzate.
La conseguenza di questa situazione è stata presentata dalla dott.ssa De Alessi nell’incontro “Sudan, i nodi irrisolti” che si è svolto lo scorso marzo, presso la sede Ispi di Milano. Le immagini proiettate documentavano i bombardamenti indiscriminati dell’esercito del Sudan sui Monti Nuba, nel Sud Kordofan. I ripetuti attacchi costringono circa un milione di persone a fuggire o a trovare scampo nelle grotte dove vivono senza cibo e senza nessun tipo di aiuto. Migliaia di persone sono già morte per fame; chi sopravvive, lo fa nutrendosi di radici e di foglie. Tutto questo – ha aggiunto la relatrice – “avviene nel totale silenzio della comunità internazionale e dei governi, anche di quello italiano che, invece, negli anni Novanta ha svolto un ruolo attivo a sostegno del processo di pace in Sudan”.
A patirne di più – ha detto padre Kizito che opera da tanto tempo sui Monti Nuba – sono i bambini. “Circa 400 mila bambini sono senza scuola e la richiesta di istruzione è così insistente che ho inviato dieci insegnanti dal Kenya per venire incontro a questo enorme bisogno”.
I continui raid militari nel Kordofan meridionale e nel Nilo Azzurro hanno spinto molte decine di migliaia di profughi in territorio sud-sudanese dove sono raccolti in campi mal serviti e dove rischiano di rimanere isolati durante la stagione delle piogge. Al flusso dei profughi si aggiunge quello dei cittadini del Sud che in passato si sono rifugiati al Nord per sfuggire alla guerra e che, a decine di migliaia, stanno rientrando in Sud Sudan, praticamente costretti a lasciare le case, il lavoro e i beni accumulati in decenni di permanenza a causa delle politiche discriminatorie messe in atto da parte del governo di Khartoum.
Se alla tragica situazione di queste aree aggiungiamo la crisi umanitaria del Darfur e lo scoppio di frequenti conflitti tribali, (specialmente al Sud) alimentati da una grande disponibilità di armi che prolificano in un Paese ancora molto militarizzato, ci rendiamo conto che la pace tra i due Stati resta una sfida ancora tutta da costruire.
Sudan e Sud Sudan vivono una situazione di insicurezza, di conflitti interni e di frontiera, di “incerta identità nazionale “ come ha sottolineato la relazione del prof. Calchi Novati che, dopo aver analizzato i fattori di instabilità che attraversano i due Stati, ha lasciato aperta un’importante domanda: “i due Stati che si sono separati per poter vivere in pace, riusciranno a convivere almeno dentro lo stesso continente e a costruire la stessa storia?”.
Se questo non accadrà, nuove sofferenze e gravi violazioni dei diritti fondamentali colpiranno una popolazione già troppo a lungo provata da una guerra civile che è durata mezzo secolo e che ha ampiamente dimostrato che la soluzione militare non ha risolto i conflitti del passato, ma li ha solo spostati nel tempo presente, in attesa di una soluzione politica che deve ancora arrivare.

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