Costruire ponti
Il sogno di una Chiesa aperta a un discepolato di uguali e un’effettiva collaborazione di tutti: ecco la sfida che si pone oggi come ineludibile in ambito ecclesiale.
“Abbiamo bisogno di essere formati per imparare a rispettare e ad ascoltare l’altro, e onorare ciò che l’altro sta dicendo”
Teresa, in cosa consiste il progetto sulla collaborazione e come è iniziato?
Nel novembre del 2011 mi hanno chiesto di intervenire al convegno sui 40 anni del documento “Giustizia nel Mondo” (Sinodo dei Vescovi del 1971); così ho iniziato a studiare questo documento e ho inviato un questionario alle differenti congregazioni femminili e maschili, chiedendo quali passi si erano compiuti in merito alle sollecitazioni del Sinodo, lì sintetizzate. In particolare, mi riferisco al paragrafo n. 42 dove si parla di una maggiore partecipazione e responsabilità delle donne nella Chiesa e nella società; e il n. 43 dove il Sinodo invita a dare vita a “una commissione mista composta di uomini e donne, di religiosi e laici, di diverse condizioni e competenze” proprio sulla partecipazione e responsabilità delle donne, che è un tema di giustizia e pace. Stiamo parlando a 40 anni dal Sinodo che ha fatto queste raccomandazioni e questa commissione, da quel che ne so, non è mai stata convocata. Così mi sono detta che dovevo fare qualcosa perché ci si muovesse in questa direzione, e ho rivolto un invito ai partecipanti al convegno.
Neanche io ne ero a conoscenza...
Non so se questa commissione vedrà la luce, ma ci sono persone che pensano che dobbiamo parlarne e che dovrebbe esserci un movimento in questa direzione. È importante avere uno spazio dove discutere tra religiosi e laici. Spesso, quando parliamo di Chiesa, ci riferiamo solo alla gerarchia, invece ognuna e ognuno di noi, religiosi e laici, è Chiesa. Quindi, questo invito alla collaborazione è indirizzato a tutti. È importante parlare di come dialoghiamo tra noi, come ci rivolgiamo l’un l’altra; cosa fare quando ci sono differenze di vedute, come creiamo un ponte tra le due sponde. Dobbiamo acquisire competenze specifiche (skills) per far questo: se non si posseggono le capacità per entrare in connessione, pazientemente, con l’altro, si rischia di creare un muro che chiude la comunicazione. Abbiamo bisogno di essere formati al rispetto all’ascolto dell’altro.
Ed è proprio su questo argomento la formazione che state proponendo alle diverse congregazioni, vero?
Esattamente. Il 21 gennaio scorso abbiamo proposto un workshop e ne faremo un altro a fine maggio, più approfondito. Le facilitatrici sono state tre suore del Buon Pastore, alle quali ho chiesto di condividere ciò che loro stanno facendo con le sorelle più giovani sulla “trasformazione delle strutture-sistemi”. Nel workshop ci hanno proposto un’esperienza di ascolto reciproco sulle sfide che incontriamo in tema di collaborazione: ci siamo divisi in gruppi di tre e ci si ascoltava e parlava a turno. Al termine ci siamo confrontati su come era andata: È stato difficile ascoltare? Ci siamo sentiti giudicati? L’ascolto è difficile, spesso abbiamo fretta di dire ciò che abbiamo in mente e non prestiamo attenzione a ciò che dice l’altro. Bene, tutte queste sono competenze che si possono apprendere: ascoltare con compassione, ascoltare ciò che l’altro non ti sta dicendo, ascoltare perché tutti possano fare un passo avanti insieme. Con il dialogo si crea uno spazio sacro, dove quello che dici è quello che sei, perché viene dal tuo cuore; e il cambiamento avviene non solo in ciò che dai, ma dentro di te. Quando ci ascoltiamo senza giudizio, riusciamo a vedere la cosa con più onestà.
Mi accennavi al tema della gerarchia...
Abbiamo analizzato le differenti situazioni dove si può sperimentare la gerarchia: nella Chiesa, nella politica e nell’economia le donne occupano spesso lo scalino più basso. Al di là della semplificazione, è interessante notare che ci sono livelli di responsabilità e partecipazione dentro ciascuna di queste specifiche strutture. C’è stata una domanda interessante: la gerarchia è necessariamente negativa? C’è la gerarchia che si struttura su differenziazioni di ruoli e responsabilità, e c’è la gerarchia dove chi è al vertice ha dei privilegi e chi è alla base non ha nulla. Credo che noi come religiose/i ci disponiamo nella fascia mediana e abbiamo il delicato compito di connettere la base con il vertice: la sfida è che entrambi abbiano potere senza toglierlo all’altro, il vertice diventerebbe più umano se desse più forza alla base. Il livello di questi seminari è molto profondo.
Come ci può aiutare questa educazione all’ascolto per una migliore assunzione di potere da parte delle donne (empowerment)?
Viviamo in sistemi di poca uguaglianza e dobbiamo aiutare le donne a vederli; talvolta siamo noi a creare sistemi di diseguaglianza: quando giudichiamo le persone o quando abbiamo pregiudizi.
Viviamo tante di queste disuguaglianze nella Chiesa, nella politica, nella società. Nella Bibbia si parla di uguaglianza, ma uguali in cosa? È il battesimo che ci rende tutti uguali: laici, preti e suore. Siamo figli/e e creature di Dio, fratelli e sorelle ugualmente chiamati da Dio al discepolato. Un discepolato di uguali che lavorano insieme per il Regno di Dio.
Come reagiscono gli uomini a questi inviti al dialogo e alla formazione?
Fortunamente abbiamo degli uomini nei gruppi che credono sia importante parlare di questo. Soprattutto ci rendiamo conto che la società sta cambiando, e quindi ci domandiamo: cosa fa la Chiesa per una migliore rappresentatività e collaborazione? Dobbiamo rafforzare la consapevolezza nella società che la donna ha le capacità per assumersi delle responsabilità. Forse nella Chiesa questo processo sarà più lento. Ma un giorno lo vedremo... Penso, ad esempio, alla diaconia femminile. In realtà in alcune parrocchie le donne hanno già dei ruoli di leader.
Per Gesù la collaborazione con le donne sembrava naturale...
Gesù era un giudeo, quindi parte di una cultura patriarcale, ma lui ha trasformato queste strutture, parlava con donne, samaritane, lebbrosi, malati... Ha continuamente spinto le barriere più in là, è andato, spesso, oltre i “confini”; includendo chi era sempre escluso. L’esempio di Gesù deve essere il nostro modello per ispirarci a essere inclusivi, donne e uomini reciprocamente, con compassione.
Nella società, come nella Chiesa, spesso la norma sono gli uomini, si preferiscono i maschi; quindi abbiamo molto lavoro da fare per cambiare queste strutture.
Se potessi usare una bacchetta magica, dimmi tre cose che cambieresti per rendere possibile la collaborazione.
Per prima cosa incoraggerei le donne verso lo sviluppo di sé, in modo che possano assumere responsabilità, a cominciare dalla formazione. Devono esserci programmi specifici per formare le donne alla leadership. Seconda cosa: è necessario che alle donne siano affidati incarichi specifici, riconoscendo in tal modo le loro competenze, e questo, nella maggior parte dei casi, non sta avvenendo. Spesso sono marginalizzate o ammonite proprio quando prendono delle posizioni, scrivono dei libri, o decidono di assumersi responsabilità.
La terza?
È valorizzare le differenze di pensiero, senza paura di essere marginalizzati. Anche nella Chiesa, oggi, ci sono due gruppi principali che emergono: il primo, il magisterium e il secondo è costituito, invece, da coloro che vogliono andare al di là delle barriere per cercare nuove manifestazioni dello Spirito Santo, ampliando così la nostra consapevolezza di dove Dio stia operando nel nostro mondo. Entrambi questi gruppi desiderano essere fedeli all’ispirazione dello Spirito. Per me rappresentano due direzioni e tendenze che sono abbastanza riconoscibili nella Chiesa di oggi. Tra questi due gruppi ci sono persone che cercano di essere fedeli al magisterium e, allo stesso tempo, provano a essere creativi e innovativi, aprendo nuove visioni e speranze per la Chiesa, superando posizioni e articolazioni del passato. Ci sono persone nei nostri contesti che incarnano “una fedeltà creativa”, che esprimono dissenso e hanno un approccio critico e talora duro ma che, allo stesso tempo, vogliono essere fedeli allo Spirito che muove e ispira la Chiesa. Certamente, siamo anche consapevoli che ci sono persone che non sono interessate e hanno smesso di conformarsi, e si sono allontanate.
Vedi una speranza di dialogo tra queste due anime?
Certo. Torniamo proprio a questo: ci sono membri della Chiesa che ho identificato come coloro che sono aperti a un ruolo di “ponti di collaborazione”, uomini e donne nella Chiesa oggi che vogliono capire e ascoltare le differenti posizioni e cercare un terreno comune. Per il bene del futuro della Chiesa, credo che queste persone-ponte siano chiamate ad assumersi questo ruolo seriamente. Il compito di sognare una Chiesa aperta a un discepolato di uguali e un’effettiva collaborazione di uomini e donne è una sfida che è davanti a noi e che ci potrebbe aiutare a entrare nel 21simo secolo.
Per chiudere questo bel confronto, Teresa, una domanda più personale: come ti senti tu come donna in questa Chiesa?
So di avere dei talenti e delle competenze, e sento che posso metterli al servizio in diversi campi. Talvolta mi rattrista vedere che le donne non possono dare il loro contributo pienamente, come sarebbero capaci di farle. Spero ci sarà, un giorno, il diaconato femminile. C’è un grosso dibattito da affrontare per arrivare a una comprensione condivisa di concetti quali “genere” e “sessualità”, per nominarne solo due. Dobbiamo capire reciprocamente i nostri punti di vista su come la società costruisce ciò che considera la “norma” nel genere.
Spero ancora che, se e quando saremo in grado di ascoltare con il cuore e cercare di comprendere pazientemente cosa viene detto nella verità in nome dello Spirito, arriveremo ad avere una Chiesa più compassionevole, come Gesù aveva predicato. Affinché questo si realizzi, abbiamo bisogno di donne e uomini che cercano di cooperare perché il Regno di Dio possa venire. La nostra visione di un discepolato di eguali incontra la visione inclusiva di Gesù.
Sei una suora felice?
Sì, assolutamente. (Sorride) Anche se mio padre voleva che facessi la statistica! (Ridiamo).