Tradizioni e tenerezza

Viaggio nel mondo femminile: a colloquio con la teologa Marinella Perroni.
Per ricostruire una teologia di genere.
Intervista a cura di Patrizia Morgante

Ed è ora a te che ci rivolgiamo, amata Chiesa di cui siamo figlie e amiche, perché ci riconosciamo parte consapevole della tua tradizione di amore. È in quella consapevolezza che si innesta la nostra assunzione di memoria, oggi forte e necessaria come prima.
Convegno Teologico Internazionale, “Teologhe rileggono il Vaticano II – Assumere una storia, Preparare il futuro”, ottobre 2012

Marinella, quando hai iniziato a studiare teologia?
Nel 1971. Eravamo in poche a studiare teologia: devo ammettere che mi sono sempre trovata bene nonostante la proporzione fosse “sproporzionata”. In realtà non ero femminista, non sapevo neanche cosa significasse, quindi non ho cominciato a studiare per motivi rivendicativi. Li ho scoperti dopo e mi sono andati benissimo. Per me era normale che le donne potessero studiare, quindi l’ho vissuto con grande apertura di mente e con senso di normalità. L’ambiente era piccolo, con un’impronta monastica e un’apertura di tipo sapienziale; e poi erano gli anni meravigliosi di professori per i quali il Concilio aveva rappresentato veramente una svolta intellettuale straordinaria! Devo dire che l’abbiamo assorbito in tutto e per tutto. Ho avuto docenti che sono stati veri maestri per me e, da parte loro, avvertivo il desiderio di promuovere la mia volontà proprio perché donna. Capivano che bisognava spingere. Più stavo lì e più mi piaceva la teologia. Sono stata molto appoggiata in questo e, infatti, poi, mi hanno invitata a fermarmi come docente di Nuovo Testamento presso il Pontifico Ateneo Sant’Anselmo.

Che contributo può dare la donna, religiosa e laica, a questa Chiesa che si trova davanti una generazione che vive come se Dio non esistesse?
Non è come se, ma Dio non esiste proprio. C’è un completo abbandono dello zoccolo duro della trasmissione della fede che erano le donne. Perché? Io ho approfondito la questione soprattutto con lo sguardo degli studi biblici, dal punto di vista del rapporto con la Bibbia. Un fattore determinante per le donne è stata la presa di coscienza che la Bibbia aveva contribuito pesantemente alla costruzione di un patriarcato che le aveva umiliate, mortificate ed escluse (parliamo per schematismi che dovrebbero, certamente, essere modulati nei secoli e nelle culture).

Puoi spiegarti meglio?
L’ostilità delle Chiese di fronte alla richiesta dei diritti da parte delle donne a fine Ottocento era palese e si giocava tutta sul fondamento biblico. Quando di fronte alla richiesta legittima dei diritti delle donne si pone come ostacolo proprio la Bibbia, le donne stesse si trovano a dover scegliere tra i diritti e le Chiese. Ovviamente hanno scelto i diritti. Se ciò che ha fatto da clava per la mortificazione delle donne è la Bibbia, allora rinunciamo alla Bibbia. Ci sono state altre che, invece, al bivio, hanno percorso la strada della riappropriazione della tradizione biblica ed ecclesiastica, che non può negare che ci siano tradizioni patriarcali, ma che, studiandole criticamente, può aiutare a recuperare forze, le forme e la consapevolezza di quanto la cultura biblica patriarcale abbia contribuito all’esclusione. Questo aiuta a rileggere il quadro dell’interpretazione biblica.

Una nuova ermeneutica biblica, quindi...
Le donne hanno mostrato che si poteva interpretare il testo diversamente e che eravamo condizionati da una malsana trasmissione del testo, dalla traduzione all’interpretazione. Hanno avuto il coraggio di cogliere dentro le Scritture quale lettura critica si potesse fare per prendere le distanze da alcune cose errate. Questo i maschi lo hanno sempre fatto, ma non hanno messo mai in pratica la lettera delle Scritture. È interessante che questa spinta di ricerca sia venuta da parte di donne cattoliche, protestanti ed ebree, perché il lavoro e lo scopo è comune. Ci siamo dotate di metodi interpretativi che potessero essere utilizzati in funzione di questo scopo. In questi 100-130 anni se ne è fatta di strada per un recupero critico della Scrittura e della sua interpretazione!

Qual è la realtà che vedi oggi?
Dobbiamo avere il coraggio di dire che oggi la configurazione di ruoli all’interno della Chiesa è profondamente mutata perché il collasso del patriarcato nella società ha mescolato le carte dei ruoli, sia tra giovani e vecchi, sia tra figli e genitori, sia tra maschi e femmine. Il cambiamento dei ruoli legati al genere è in atto nella società e la metamorfosi sarà lenta e lunga.
E nella Chiesa? La diminuzione del numero dei sacerdoti sta ponendo domande sul ruolo della donna: cosa ne pensi?
Non vorrei entrare in una sorta di meccanica supplenza. Sono stanca di vedere che quando dei ruoli, convenzionalmente legati all’affermazione maschile, passano in mano alle donne, di fatto essi perdono di potere sociale. Pensiamo alla scuola e alla politica. Quando le donne approdano a zone che erano riserve di caccia del maschio-cacciatore, di fatto quegli ambiti non hanno più la stessa rilevanza sociale. Non mi interessa un’attribuzione di ruoli nella Chiesa che prima erano solo maschili. Capisco che questo è un sogno, ma è il punto di tensione che ti dà la spinta per agire correttamente. E per me il punto di tensione è il fatto che la Chiesa sta veramente ripensando se stessa. Deve ripensare se stessa.

Mi domando se le donne si riconoscano un potere per incidere in questo cambiamento...
In realtà no, non ce l’hanno.

Ma il potere ce l’abbiamo e non perché qualcuno ce lo dà...
Sì, ma se lo vivi e lo costrui-sci e poi vieni sanzionata? Consideriamo, ad esempio, la storia delle suore statunitensi. Oggi la Chiesa non è più un luogo appetibile né per gli uomini, né per le donne. L’invecchiamento scoraggia e deprime le comunità. Secondo me altre aperture sono possibili, ma sono solo germinali.

Mi sembra di scorgere una separazione tra quello che è la comunità dei credenti, della base e la dimensione istituzionale…
Se pensi che in una società come quella italiana devi conquistarti per legge cose che da altre parti ti sono dovute di diritto…sì il semplice rispetto delle donne, nei diversi ambiti, è un’esigenza sociale forte. Siamo un Paese dove non si pensa un welfare serio, in cui non c’è una declinazione di genere. Eppure sarebbero cose indispensabili per costruire una politica per la famiglia. Siamo ancora così fissati su poteri che si reggono su astrazioni: l’essere umano, la persona. Poi sotto questa dicitura ci sono solo i maschi. Dovremmo cominciare noi a dire che non esistono esseri umani, ma uomini e donne che vivono ruoli all’interno di una società.

Proviamo a ragionare su questi ruoli...
Come mai nelle università e nei ruoli dirigenziali lo iato è così forte? È stato scandaloso che hanno fatto il programma di letteratura italiana per il Concorsone e c’era solo una donna! È possibile che continuiamo ad avere programmi scolastici dove le donne non esistono? Come fai a creare un’abitudine a una presenza se questa presenza non parla? Mi sono molto affezionata al femminismo, pur non avendo un senso di rivendicazione personale, ma mi rendo conto che deve essere molto forte la rivendicazione globale, perché tutto questo cambi. È mortificante vedere come in Italia ci siano tante riserve verso le donne! Continuiamo ad andare avanti con l’idea del soggetto, dell’idealismo tedesco. No, le scienze umane ci hanno insegnato a dire che i soggetti sono molteplici e che uomini e donne possono veicolare differenze importanti. Il femminismo ha aiutato a pensare che il soggetto è plurale.

Mi sembra un grande cambiamento culturale e anche linguistico...
Si certamente. Noi abbiamo anche un freno in più per questa simbiosi tra società laica e istituzione religiosa.

C’è un interessante movimento verso l’ordinazione sacerdotale delle donne: cosa ne pensi?
Sono sempre stata molto cauta su questo. Il mio sogno conciliare è di rivedere tutti i ministeri all’interno della Chiesa; di ripensare la sua struttura ministeriale. Nei primi anni dopo il Concilio, si era iniziato a discutere di questa rivisitazione, ma poi silenzio totale. Capisco che può esserci da parte di alcune donne il desiderio verso l’ordinazione. Personalmente non mi interessa, e anche teologicamente non credo che deve passare per questo il cambiamento. A me piacerebbe che il cambiamento fosse più responsabile e consapevole e non perché dobbiamo gestire un’emergenza.

Cosa intendi con “rivedere i ministeri”?
Penso ci sia stata una fossilizzazione progressiva che ha allontanato una matrice evangelica (non in termini di valore, ma cronologicamente parlando), insistendo, ossessivamente, su una funzione ministeriale che diventava sempre più clericale, rivolta allo spazio sacro, al sacrificio; anche il ministero ecclesiale comunitario cristiano si è andato configurando sempre più secondo i modelli giudaico-greco-romano che, non a caso, erano maschili. Lasciando alle donne solo lo spazio familiare (giudaismo) o zone molto particolari di esercizio di culto. Questo ha portato al profilarsi di un ministero sempre più in termini di apparato, anche se umanizzato dalla personalizzazione della vocazione. E poi c’è il tema molto grosso del rapporto con il sacro: la fatica con cui il maschio vive il mistero del sacro nella donna. C’è qualcosa che preoccupa, intimorisce, che è legato alla natura femminile e non al genere femminile. Ricordo un articolo di Sergio Quinzio, poco prima che morisse, in cui diceva: ma insomma, donne, perché volete il sacerdozio, lasciateci almeno quello! Voi avete già questo rapporto misterioso con un irraggiungibile, inarrivabile; lasciate a noi la gestione del sacro esterno visto che voi avete già la gestione del sacro interno! Credo sia una descrizione pertinente ma che non accetto...

Dalla nostra invidia del pene di cui parlava Freud, alla loro invidia della fertilità e della fecondità?
Non c’è dubbio... Qui sarebbe necessario fare una riflessione profonda sul rapporto dei maschi con la propria genitalità, che è una relazione piuttosto complessa. Magari si potessero fare questi discorsi, che, a mio avviso, sono teologici. Le donne hanno imparato a farli. I maschi si rifiutano di riconoscere che il loro rapporto con la genitalità passa per il visivo, per l’esterno, per l’outing.

È una cosa molto delicata e determinata culturalmente: agli uomini non si offrono molti spazi per esprimere il loro mondo interno e profondo. Se lo fanno, sono omosessuali o femminucce..
Sì certo. Mi farebbe piacere che iniziassero un catechismo laico: noi e il nostro corpo.

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