CHIESA

Al servizio dell’unità

Dirompente la sua semplicità.
In continuità con la rinuncia di papa Ratzinger al ministero petrino, papa Bergoglio accompagna la Chiesa verso un nuovo domani, di ritorno alla fonte, di riforma e rinnovamento.
Giovanni Giudici (Vescovo di Pavia e Presidente Pax Christi Italia)

Quando papa Francesco si è chinato sul balcone della Loggia delle Benedizioni e, nel silenzio attonito della folla, ha chiesto che si pregasse per lui, in realtà ha chiesto a noi, popolo di Dio affidato alle sue cure, di benedirlo. La scena ha riproposto il tema della benedizione come responsabilità e dono. È, infatti, proprio della comunità credente del Primo e del Nuovo Testamento il portare al mondo la benedizione.
Che cosa significa benedire? Riconoscere i benefici di Dio, che toccano le nostre vite attraverso i beni materiali e spirituali, che ci giungono con la parola e i gesti dei nostri fratelli e delle nostre sorelle: …Siate tutti concordi, partecipi delle gioie e dei dolori degli altri, animati da affetto fraterno, misericordiosi, umili. Non rendete male per male né ingiuria per ingiuria, ma rispondete augurando il bene. A questo, infatti, siete stati chiamati da Dio per avere in eredità la sua benedizione (I lettera di Pietro 3,8-9). La fraternità, che si comprende pienamente sotto la croce di Gesù, ci parla dell’amore di Dio, e nella piena condivisione della nostra umanità, finalmente redenta dal dolore e dalla morte, si attua la promessa fatta un tempo ad Abramo: Farò di te una grande nazione/ e ti benedirò, renderò grande il tuo nome/ e possa tu essere una benedizione./ Benedirò coloro che ti benediranno e coloro che ti malediranno maledirò,/ e in te si diranno benedette tutte le famiglie della terra (Genesi 12,2-3).
Dunque, non si tratta di una novità che tra cristiani e tra persone credenti si usi la benedizione. Inoltre, il gesto compiuto da papa Bergoglio mette in luce la verità cristiana, riproposta da Lumen Gentium, secondo la quale tutti i battezzati, membri della comunità cristiana, hanno solo diversità di responsabilità tra di loro, ma non di dignità. Tutti, infatti, posseggono la vita nuova di battezzati nel Figlio. Possiamo anche vedere, nel gesto di chiedere la benedizione, una sorta di continuità ideale con la decisione di Benedetto XVI.
La rinuncia di papa Ratzinger sottintende la distinzione tra persona, che riconosce l’affaticamento derivato dal passare degli anni, e il ministero petrino, che riceve la grazia di guidare la Chiesa, operando per l’unità come ha fatto l’apostolo Pietro. Così la benedizione data e ricevuta da papa Francesco dichiara che si può credere nell’investitura dello Spirito senza spingersi sino a sacralizzare l’uomo concreto che, pro tempore, esercita il servizio dell’unità della Chiesa cattolica.
Il chiedere di essere benedetto è atto di umiltà e di libertà che umanizza la figura del Papa e ce lo mostra vicino. Egli è posto nella Chiesa come il Padre dei Padri, appunto Papa, e per contro, chiedendo la benedizione, afferma di appartenere, come ciascuno di noi, anzitutto al Signore Gesù. Un gesto che getta luce di novità sul rapporto tra ogni autorità nella comunità cristiana e gli altri fratelli e sorelle sui quali un vescovo o un prete esercita il ministero della responsabilità dell’unità.

Nodi irrisolti
Che il gesto compiuto rivesta una portata audacemente riformatrice è testimoniato dalle parole che Egli ha pronunciato immediatamente prima e dopo la richiesta di benedizione: “Incominciamo questo cammino, vescovo e popolo... Un cammino di fratellanza, di amore, di fiducia tra noi”. Espressioni che manifestano uno sguardo fraterno, benedicente potremmo dire, nei confronti del suo popolo. Il ripetuto richiamo alla fraternità ha fatto affiorare tutti, ma proprio tutti, i nodi irrisolti che affliggono la Chiesa nel nostro tempo. Da quelli che attestano i suoi limiti nel comunicare con le donne e gli uomini di buona volontà, alla sua opacità, alla sua manifesta distanza dalle domande e dalle esigenze di spiritualità concreta di cui tutti sentiamo il bisogno.
In continuità con i gesti e le parole degli inizi del ministero di papa Francesco, noi avvertiamo che ci sono dei temi che concernono più largamente la vita e il governo della Chiesa nel nostro tempo: la nuova evangelizzazione, la collegialità, la riforma della Curia, la condizione della donna nella Chiesa, il rapporto difficile con le nuove generazioni, la morale sessuale, le questioni etiche circa l’inizio e la fine della vita, i sacramenti a separati e divorziati.
È chiaro che si tratta di questioni decisamente complesse, sulle quali nessuno dispone di ricette facili e che non possono essere risolte con la bacchetta magica. Intanto, però, esse sono state portate in superficie nella sede più alta e nell’occasione più solenne, quella del dibattito ecclesiale e, presumibilmente, all’interno dello stesso collegio cardinalizio, nell’immediata vigilia dell’elezione del Papa.
Sono questioni che furono poste all’attenzione della Chiesa dal cardinale Martini sia al tempo del suo ministero episcopale, sia soprattutto nell’ultimo tempo della sua vita, con parole che dichiaravano l’urgenza del tema e insieme la necessità di riprendere su di esse un discorso troppo in fretta interrotto. Si tratta di riuscire a usare parole ispirate a libertà evangelica, a vero amore alla Chiesa e a vera onestà intellettuale.
La scelta del nuovo Papa mostra, quindi, la consapevolezza di una crisi profonda della Chiesa che esige una radicale riforma in senso evangelico e conciliare. Sensazione convalidata dalla scelta del nome, Francesco, che non poteva essere più eloquente per evocare un programma; poi l’esordio all’insegna della semplicità e della sobrietà; e, ancora, la preghiera e il silenzio, così lontano da certe chiassose liturgie cui ci eravamo assuefatti.
Vorrei tuttavia soffermarmi in particolare sull’enfasi a proposito del ministero episcopale come precedente e fondante quello di Pietro. Papa Francesco ha, infatti, evocato il primato della Chiesa di Roma con le parole del martire Ignazio di Antiochia. “La Chiesa di Roma che presiede alla carità...”. E tutti sappiamo bene quanto sia necessario oggi un rapporto cristianamente vitale tra il Papa e il popolo di Dio a lui affidato; condurrebbe a un’attenzione e cura della vita concreta delle persone che si educano alla fede nella Chiesa. Ma, ancora una volta, tutto questo chiama in causa la responsabilità da parte di ciascuno di noi credenti. Pensare che la riforma della Chiesa si attua solo per le dichiarazioni o i gesti del Papa, sarebbe in contrasto esattamente con quel registro di semplicità e realismo che il nuovo Pontefice sembra voglia introdurre.
Ci aiutano a procedere nel cammino di corresponsabilità nella Chiesa che vuole riformarsi due osservazioni confortanti. La prima: il consesso dei cardinali ha saputo sorprenderci, ha dato mostra di raccogliere quella domanda di radicale riforma che, attraverso molti segnali, si leva dalla Chiesa e dal mondo. La seconda: a dispetto delle differenze che indubbiamente attraversano il collegio cardinalizio – così come tutta la comunità ecclesiale – essi hanno saputo convergere subito e largamente (erano necessari i due terzi) su un candidato comune.
Queste due circostanze ci suggeriscono una conclusione: la Chiesa, e anche la sua gerarchia, è un organismo vivo e responsabile. Spesso la sentiamo criticata; talvolta anche noi, come singoli cristiani e come movimento non ci mostriamo teneri nei giudizi. È giusto, dunque, oggi riconoscere che, pur con i pesanti limiti che hanno segnato il suo passato recente, è proprio la gerarchia che mostra di sapere reagire, di cogliere i segni dei tempi.
Non dimentichiamo che essa lo può fare se e in quanto riforma se stessa, come si conviene alla Chiesa, e cioè si sforza di ritornare alle sue più genuine sorgenti, quelle del Vangelo “sine glossa” di Francesco. Del resto, se tutti siamo d’accordo che la “rinascita” della Chiesa passa attraverso un suo ritorno alle fonti – Gesù Cristo e la comunità apostolica – per ciascuno di noi questo fatto comporta una seria disponibilità al cambiamento in senso evangelico di vita e di pensieri.
Il messaggio di Martini, ripetuto in vario modo negli ultimi tempi, consigliava al Papa di dare un taglio netto alle sovrastrutture ecclesiastiche e di disporsi a una sorta di nuovo inizio convocando intorno a sé apostoli innamorati della fede e aperti al futuro.
Qualcosa della riforma della Curia romana dipende anche da noi e dalla qualità della vita cristiana che saremo capaci di riconoscere e attuare.

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