EDITORIALE

Il sorriso di don Tonino

Tonio Dell'Olio

Ma non lo vedete il sorriso amorevole e rassicurante di don Tonino? Non più sulle immagini che pure a distanza di vent’anni dalla sua Pasqua continuano ad affacciarsi non solo dai muri delle sagrestie delle chiese della sua diocesi e di tante altre chiese, ma anche dalle botteghe dei molfettesi, nei libri che - numerosi - si propongono dagli scaffali delle librerie e sulle scrivanie di tanti estimatori vecchi e nuovi. Non parlo nemmeno dei sorrisi con cui il vescovo della pace e dei poveri prosegue ad accompagnare i sogni di tanti e tante – credenti e non credenti – che non hanno smesso di contribuire a costruire quel mondo migliore che egli aveva consegnato come un testimone, come impegno ed eredità della sua profezia efficace e concreta.
Questo è proprio il suo sorriso che pervade l’universo intero. È un sorriso di primavera. Primavera della natura ma anche della comunità dei credenti e delle donne e degli uomini di buona volontà. Quando erano pochissimi a pronosticarlo, il conclave ha partorito un “vescovo di Roma” che mostra con mille gesti di amare i poveri, di pregare e operare per la pace, di vestire il grembiule dell’umiltà e della speranza di cui il mondo intero ha bisogno come il pane. Francesco incarna il Vangelo di Cristo con uno stile che avevamo assaporato in un vescovo della periferia delle chiese, nel mezzogiorno d’Italia, tra i bassi delle strade di un centro storico e tra le marinerie di Puglia. Quella visione di Chiesa e di storia che vedeva don Tonino oggetto della sufficienza di coloro che lo bollavano come ingenuo o velleitario o che addirittura lo giudicavano borderline della sana dottrina se non eretico... oggi è annunciata autorevolmente e semplicemente da un Papa che arriva da un altro Sud, anzi dalla terra della “fine del mondo”. La fantasia di Dio non avrebbe potuto trovare una via migliore per festeggiare coi fatti il ventesimo anniversario della sua scomparsa. Per riproporlo vicino e attuale. Per renderlo bene comune. Per sottrarlo persino a chi in questi anni ha tentato di ridurlo a santino, di “decaffeinare” la sua santità, di ridimensionare la portata della sua originalità cristiana e pastorale.
A distanza di vent’anni le sue parole non sembrano affatto intaccate dal tarlo del tempo e puntualmente le ritrovi citate in un’omelia, in un libro di preghiere, trasformate in un inno da un gruppo di giovani. Sono oggetto di riflessione nuova in testi che smettono finalmente di raschiare il barile dei suoi scritti e piuttosto ricamano riflessioni ardite a partire dalle sue intuizioni. Sono argomento che non accompagnano più soltanto le serate nostalgiche di quanti ne hanno accompagnato l’azione pastorale o la leadership del movimento per la pace, ma anche di teologi, esperti e studiosi che mettono mano a svilupparne il senso più profondo. I suoi gesti ispirano film come “L’anima attesa” che echeggiano il gusto e la passione per la bellezza che in don Tonino Bello ha assunto dignità di poesia e di rivoluzione. Vent’anni che promettono bene e che spiegano le vele a una speranza che lui aveva intuito nelle gemme che scalpitavano sui rami della primavera quando altri si attardavano a guardare il tappeto di foglie d’autunno ai piedi degli alberi. Oggi ci troviamo a dover ammettere che non si trattava dei sogni farneticanti di un utopista irriducibile ma piuttosto del sogno diurno di un profeta che è riuscito a guardare oltre, a guardare dentro, a guardare profondo. Nessuna altra parola se non quella di un grazie che oggi è ancora più carico di senso. Lo diciamo da queste pagine che lui ha scelto e voluto come strumento umile di provocazione e che controvento si sono misurate con la sfida della fedeltà a quel sorriso.

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