ULTIMA TESSERA

Il prete barbone

È morto don Dante Clauser, prete trentino, testimone fedele del Vangelo dei poveri. Una vita per restituire loro dignità. Per accoglierli, come avrebbe fatto il Padre.
Alex Zanotelli

Don Dante Klauser, il “prete dei barboni”, com’era chiamato a Trento, si è spento l’11 febbraio 2013 a 89 anni. È stato uno dei preti trentini più impegnati, in questi decenni, in campo sociale, ma non solo. Don Dante era stato forgiato dal Concilio Vaticano II, che lo aveva aiutato a focalizzare i due centri della sua vita: il Vangelo e i poveri.
Visse gli anni caldi della contestazione giovanile (la famosa facoltà di “Sociologia” di Trento e delle lotte operaie) come parroco di S. Pietro a Trento, dove aveva avviato una comunità di base che si ritrovava a leggere il Vangelo e a tradurlo nell’impegno sociale. Nel 1977 lasciò la parrocchia per la strada, per essere accanto a chi vedeva come gli ultimi degli ultimi, i senza dimora (facendosi egli stesso “barbone” per un periodo a Torino). E diede poi vita a il “Punto d’Incontro” nel cuore della città di Trento, luogo di accoglienza dove, accanto all’aiuto materiale, si offriva la disponibilità di un ascolto sincero.
Don Dante passerà i suoi anni al “Punto d’Incontro”, sempre pronto ad accogliere i barboni. Egli dava ad ognuno un saluto affettuoso. In ciascuno incontrava Gesù: don Dante ha vissuto il sacramento del Povero che incontrava non solo al “Punto d’Incontro” ma sulla strada, fermandosi e sedendosi con loro sulle panchine di Trento.
Negli anni Ottanta (allora io ero direttore di Nigrizia, nda), sono passato spesso al “Punto d’Incontro” per salutare quel prete dei barboni che stimavo molto. Ne nacque una grande amicizia.
Quando poi decisi di vivere con i baraccati di Korogocho a Nairobi, egli, già settantenne, decise di venirmi a trovare insieme a don V. Cristelli, e fu sconvolto dalla situazione sociale dei baraccati di Korogocho. “Purtroppo sono troppo anziano –mi disse – ma questo sarebbe il posto per me!”.
Quella visita fu per entrambi la riconferma di una scelta, quella dei più poveri.
Don Dante continuò il suo cammino con i più poveri, a Trento, ma impegnato su tutti i fronti per i diritti umani, per la pace, per “un mondo altro” (sarà presente anche a Genova nel 2001 alla grande marcia di contestazione del G8). È stato compagno di tante battaglie con il Coordinamento Nazionale della Comunità di accoglienza (CNCA).
E quando si ritirò da responsabile del “Punto d’Incontro”, continuò a vivere in una piccola cameretta del centro. E ne fu l’anima fino alla sua morte. Uno dei suoi stretti collaboratori e successore al “Punto d’Incontro”, Pierangelo Bortolotti, così ha riassunto il messaggio di don Dante: “Il messaggio che ci viene da don Dante, dalla sua esistenza più che dalle sue parole, è che siamo tutti fratelli perché figli di uno stesso Padre; che non hanno ragione di esistere discriminazioni di sosta, esclusioni. Che tutte le persone hanno diritto a poter vivere una vita dignitosa; che non si può escludere nessuno dal banchetto della vita e che per far questo, bisogna che ognuno si assuma la propria responsabilità. E, infine, che tutto questo bisogna che ognuno si assuma la sua parte di responsabilità. che tutto sia fatto accettando di pagarne il prezzo, se occorre; sì, perché a parole sono in molti a sottoscriverlo, ma quando si opera davvero in questa direzione, si viene anche tante volte osteggiati, considerati dei visionari. Magari poi, anche riveriti e qualche volta osannati; difficilmente, o più raramente, imitati”.
Il 13 febbraio la città di Trento, cristiani e non, gli ha dato l’estremo saluto nel duomo, stracolmo di gente commossa, che era venuta a dirgli grazie per una vita ben spesa per gli ultimi. “Stiamo dando l’ultimo saluto a don Dante – prete che, come dovrebbe fare ogni sacerdote, ha dato tutta la sua vita ai poveri, anzi i più poveri – ha detto don V. Cristelli durante la Messa in duomo – conscio del detto di Gesù: “Quello che avete fatto a uno dei più piccoli dei miei fratelli, l’avete fatto a me”.

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