I dolori di una Chiesa
Aiutare l’uomo contemporaneo a riscoprire Dio, contribuire all’unità dei cristiani, fare pulizia nella Chiesa, allargare lo spazio della ragione alla dimensione trascendente, dimostrare che una libertà svincolata dalla verità fa il male e non il bene dell’uomo, chiedere a tutti di vivere non in base all’illuministico precetto etsi Deus non daretur (come se Dio non esistesse), ma veluti si Deus daretur (come se Dio ci fosse) per ridare una base morale comune alla società. Si possono forse riassumere così i principali contenuti al centro del magistero di Benedetto XVI.
I viaggi
I viaggi internazionali hanno disegnato una geografia centrata sull’Europa e il Medio Oriente, ma senza che il Papa abbia per questo trascurato Asia e Sudamerica, come dimostrano numerosi dei suoi testi e l’attenzione dedicata ai vescovi di quei continenti ricevuti in Vaticano.
Alle encicliche Benedetto XVI ha fatto ricorso con cadenza biennale. La Deus caritas est è del 2005, la Spe salvi del 2007, la Caritas in veritate del 2009. Hanno puntato al cuore del messaggio evangelico: l’amore, la speranza, la verità. Quando fu eletto, Benedetto XVI si presentò come “un umile lavoratore nella vigna del Signore”. L’operaio Ratzinger ha cercato di puntellare la casa cattolica partendo dalle fondamenta.
Rientra in questo quadro l’impegno per l’unità dei cristiani. Poiché in passato, quando era a capo della congregazione per la Dottrina della fede, elaborò la dichiarazione Dominus Iesus sulla Chiesa cattolica come unica vera Chiesa di Cristo (documento accolto con aspre critiche dalle altre Chiese e comunità cristiane), Ratzinger è stato da molti considerato un ecumenista tiepido. In realtà, se si guardano i documenti, si vede che ha più volte ribadito (fin dalla prima messa celebrata all’indomani dell’elezione) che l’impegno ecumenico è irrinunciabile e fa parte a pieno titolo della missione del successore di Pietro. Il suo non è stato, però, un ecumenismo di proclami. Impossibile dialogare con l’altro, ha sostenuto, se non c’è lo sforzo di conoscere se stessi.
Una pietra d’inciampo è stata la revoca della scomunica ai quattro vescovi tradizionalisti consacrati da monsignor Marcel Lefebvre, fra i quali il negazionista Williamson. Sull’intera questione, con un atto senza precedenti, Ratzinger ha scritto una lettera di spiegazioni. Ammesso l’errore di aver tolto la scomunica a Williamson proprio all’indomani delle sconcertanti dichiarazioni del monsignore inglese circa la non esistenza delle camere a gas nei lager nazisti, e precisato che aver revocato le scomuniche non equivale a una legittimazione della Fraternità sacerdotale San Pio X fondata dallo scismatico Lefebvre, il Papa ha espresso il suo dolore nel constatare come nella Chiesa, per usare le parole di Paolo, ci sia chi non perde occasione di mordersi e divorarsi a vicenda.
Siamo così a un altro grande tema. La necessità di fare pulizia nella Chiesa venne prospettata da Ratzinger già prima di diventare Papa, quando, nelle meditazioni della Via Crucis del 2005, parlò esplicitamente di “sporcizia”. È un compito che ha perseguito secondo il suo stile: nessun provvedimento clamoroso, ma un’azione costante, come dimostra l’inchiesta nei confronti dei Legionari di Cristo e la condanna del loro fondatore.
Nel pieno di una tempesta
Nel pieno di questa azione, Benedetto XVI è stato investito dalla tempesta pedofilia. Definendo “persecuzione interna” quella derivante dalle terribili infedeltà di alcuni preti, e giudicandola molto più grave e devastante di quella che viene dall’esterno, Benedetto XVI ha dimostrato di non cercare scuse. Sarebbe stato facile addossare le colpe ai nemici della Chiesa, invece ha chiesto purificazione, conversione e collaborazione con le autorità civili.
Se lo scandalo pedofilia ha scatenato contro il Papa i settori più oltranzisti della cultura laicista e atea, la decisione di consentire la celebrazione della messa secondo il rito antico ha, invece, provocato polemiche e attacchi soprattutto dentro la Chiesa. Capo d’accusa numero uno, la presunta volontà di Benedetto XVI di negare il Concilio Vaticano II, dal quale scaturì la riforma liturgica. La questione è controversa e delicata. Da un lato si può notare che la legittimazione del rito antico non era e non è certamente una priorità per la vita della Chiesa. Dall’altro c’è da riconoscere che, anche con questo provvedimento, il Papa, in quanto pastore universale, ha cercato di contribuire a tenere il gregge il più possibile unito.
Un altro momento difficile si è avuto nel 2006 a Regensburg quando, parlando all’università nella quale insegnò, Ratzinger citò un passo, tratto dai colloqui tra l’imperatore bizantino Emanuele II Paleologo e un rappresentante islamico, in cui il sovrano cristiano accusava Maometto di aver diffuso la sua fede con la spada. La citazione era funzionale al tema centrale della lectio magistralis, il rapporto tra fede e ragione e il conseguente rifiuto della violenza da parte della religione autentica. Si parlò di errore di comunicazione del Papa. Di certo non fu aiutato a valutare.
Sul fronte delle polemiche si possono segnalare anche quelle innescate dalla decisione di sbloccare la causa di beatificazione di Pio XII, accusato da ampi settori del mondo ebraico di silenzi sulla persecuzione antiebraica. Il Vaticano ha spiegato che non è stato un provvedimento ostile nei confronti degli ebrei e che riconoscere le virtù eroiche di un candidato alla santità non significa limitare la discussione sul piano storico.
Il cortile dei gentili
L’ultima sua battaglia è stata quella contro un soggettivismo arrivato ormai al punto di voler determinare come libera scelta perfino l’identità sessuale. E su questo fronte si è forse misurato tutto il dramma del pontificato ratzingeriano, giocato sull’opposizione alla modernità. Tante le ragioni dalla sua parte, deboli o addirittura controproducenti le modalità del suo argomentare.
Al Pontificio Consiglio per la Cultura, retto dal neocardinale Gianfranco Ravasi, il Papa ha affidato un lavoro di largo respiro per coinvolgere persone agnostiche e atee in un confronto con la Chiesa da svolgere in un rinnovato “Cortile dei gentili”, com’era chiamato anticamente lo spazio del tempio nel quale i non israeliti potevano avvicinarsi al “dio sconosciuto”. Assieme all’istituzione del dicastero vaticano per la nuova evangelizzazione del mondo occidentale scristianizzato, affidato a monsignor Rino Fisichella, fa capire qual è stato lo sguardo di Benedetto XVI sul futuro. E anche sotto questo profilo si coglie tutta la sua difficoltà nel misurarsi con il cambiamento: ha colto il problema, ma ha risposto secondo logiche e procedure che non possono incidere.
Poi è arrivata la vicenda del “corvo”, con il processo al maggiordomo. Vicenda lacerante, di fronte alla quale il Papa è apparso di nuovo non sostenuto in modo adeguato dall’apparato di governo, dentro una curia dilaniata.