La vita di un Pastore
Uno sguardo al suo ministero, alla sua storia, ai passi compiuti, tra difficoltà dialogiche e rigore.
Nel compiere il gesto di formulare, senza consultare nessuno, la sua decisione di concludere il suo servizio alla Chiesa attraverso la responsabilità di “pastore dei pastori”, Benedetto XVI ci offre una chiave interpretativa del suo ministero di successore di Pietro il Galileo, primo degli apostoli.
Papa Ratzinger, infatti, con il gesto delle dimissioni, conclude il suo lungo percorso di figlio della Chiesa e di servo della Comunità ecclesiale, costringe tutti noi a considerare in maniera più decisamente evangelica l’appartenenza di ogni battezzato alla Chiesa. Si è trattato di un gesto innovativo rispetto alla pratica consolidata della vita della comunità cattolica; è stata una decisione che parla all’uomo d’oggi con una chiarezza molto più grande di quanto possano fare parole pur alte e nobili.
Il gesto di Benedetto XVI ci consente di entrare nell’animo con cui egli ha condotto il suo ministero e illumina in maniera retrospettiva il servizio di Joseph Ratzinger come teologo, prete e vescovo, custode dell’ortodossia cattolica e da ultimo sommo pontefice.
Proviamo dunque a tracciare un primo, sommario bilancio del suo pontificato.
In una sua agile biografia, papa Ratzinger descrive la sua infanzia e la sua giovinezza. Tutta la scena risente certo della trasfigurazione del passato; tuttavia ci è descritto il mondo in cui egli è cresciuto: un bambino ordinato e gentile, un adolescente e un ragazzo che si confronta con cristiani generosi e profondamente dedicati al Signore.
La prima fotografia che abbiamo avuto del mondo interiore di Ratzinger è stato il libro Introduzione al Cristianesimo. Chi ha letto questa opera negli anni Sessanta, al primo apparire della traduzione italiana, ricorda il respiro di apertura che ivi si coglieva. Finalmente, il “discorso su Dio” aveva il coraggio di confrontarsi con la modernità, intesa come lo sguardo critico e smagato sulla religione e sulla fede. Il teologo tedesco apriva un discorso a un tempo comprensibile e profondo, vivace e attraente.
Abbiamo poi conosciuto il pastore che, dopo aver vissuto per qualche tempo da arcivescovo in una diocesi tedesca, è chiamato a Roma per presiedere la Congregazione che custodisce il pensiero teologico della Chiesa. Il suo rigore teologico è stato ampiamente commentato per la forte e decisa resistenza ad alcune correnti teologiche, quali, ad esempio, la teologia della liberazione. E tuttavia proprio con lui assistiamo alla prassi inattesa per un Prefetto della Congregazione; egli parla con inusitata libertà delle condizioni della comunità cristiana. Ricordiamo l’intervista rilasciata a Vittorio Messori dal titolo Rapporto sulla Fede. Vengono descritte determinate chiese locali, e la preoccupazione che egli ha riguardo alla loro ortodossia è molto forte. Può un Prefetto della Congregazione della Fede esprimersi in maniera così decisamente critica, squalificando l’opera dei pastori? Oggi sappiamo che sta a cuore al cardinale Ratzinger che la dottrina sostenga una dedizione piena delle persone al Signore crocifisso e risorto.
Intransigenza
Da pontefice, Benedetto XVI ha cercato la riconciliazione con il movimento lefebvriano. L’inizio dell’iniziativa è una lettera inviata ai vescovi cattolici. Il tono e i contenuti sono di grande dolcezza, e la motivazione con cui si chiede ai vescovi cattolici di accettare la nuova disciplina sta su un punto semplice e molto preciso, che potrebbe essere tradotto così: “Vi prego, cari fratelli nell’episcopato, comprendetemi: non voglio che il mio servizio apostolico di successore di Pietro sia segnato da una frattura definitiva con questo gruppo di fedeli. Siate comprensivi nei confronti del mio desiderio di riconciliazione!”.
Di fatto, come sappiamo, l’atteggiamento di attenzione alle richieste del gruppo più intransigente, già staccatosi dalla Chiesa formando una gerarchia propria, non ha portato lontano. Dopo più di un anno non vi è ancora una risposta ufficiale alle richieste della Santa Sede, a proposito dell’accettazione del Concilio Ecumenico Vaticano II. In compenso, il settore più vicino all’impostazione conservatrice e anti-conciliare, che è parte della comunione cattolica, ha fatto della messa con il rito tridentino una ragione di polemica e talvolta di contrapposizione ai vescovi o ai sacerdoti che non aderiscono alle richieste concesse dal documento ufficiale della Santa Sede.
Fede e ragione
Oltre la pace nella Chiesa, un secondo aspetto centrale dell’opera pastorale di Ratzinger è stata la ricerca di una chiarificazione del rapporto tra la fede e la ragione. Questo tema è determinante per la possibilità di dialogo tra credenti e non credenti e, in particolare, per trovare un terreno d’intesa che consenta di costruire assieme, credenti, non credenti e diversamente credenti, la società.
Un terzo aspetto è centrale nella proposta pastorale e intellettuale di Benedetto XVI: l’insegnamento circa la centralità della carità nell’esperienza umana. Nella prima e fondamentale enciclica che egli ci ha dato, la “Caritas in Veritate”, coraggiosamente, egli mostra come l’amore, frutto della dedizione di Cristo e del suo Spirito, segna ogni aspetto della vita umana.
Dopo questa rapida carrellata di temi sui quali è utile riflettere per comprendere il magistero di questo Papa e per collocarlo nel disegno che assume l’opera della salvezza di Dio mediante la Chiesa, ritorniamo al tentativo di sintesi che abbiamo delineato all’inizio della riflessione: alla fine del servizio di questo Papa si colgono con chiarezza le ragioni del suo impegno e appare più nitido lo stile del suo governo.
Papa Benedetto dichiara che gli mancano le forze per proseguire nel suo servizio di successore di Pietro. Lo ha condotto a questa decisione la riflessione attenta a proposito della qualità e del significato della responsabilità che egli ha nei confronti della Chiesa. È il criterio del discernimento, che ogni credente è chiamato a compiere a partire dalla lettura della Parola di Dio. In essa siamo invitati a riconoscere che è il Signore che chiede un confronto tra la sua chiamata e le condizioni interiori ed esteriori della nostra vita.
Inoltre, nella dichiarazione con cui il Papa ha lasciato il suo ministero, vi è il desiderio che le sue azioni, le sue scelte e le sue parole consentano di far risplendere il volto di Cristo nella vita della Chiesa e dei suoi membri.
è lo stesso desiderio che lo ha spinto con forza a stigmatizzare la questione della pedofilia. Oggi, come è noto, le pene canoniche per questo reato sono più dure di quelle comminate dal diritto italiano.
Da ultimo, la scelta del Papa consente di cogliere un aspetto dell’identità della Chiesa che nei secoli, per cause diverse, era passato in second’ordine: la comunità cristiana si regge sulla comunione ed essa è dono di Dio e insieme compito di ogni credente. Tale comunione è chiamata a rendersi visibile nell’essere un corpo solo. Per questo il Papa dichiara l’importanza del rapporto dei vescovi tra di loro, individuato dal Concilio Ecumenico Vaticano II come “collegialità”. Qui, dunque, comprendiamo la sua passione per il superamento di ogni divisione e l’apprezzamento per l’unità della Chiesa. Da questa fiducia nasce pure la persuasione che l’organismo vivo della Chiesa possa trovare un successore che la conduca adeguatamente, per le vie della storia, al suo Signore. Da qui l’importanza del discernimento comunitario che è il grande patrimonio e insieme il metodo adatto a far crescere tutta la comunità cristiana, in cammino verso una sempre maggiore fedeltà al Signore.
Il Signore ci conceda, dunque, di gioire di una testimonianza così limpida, lineare e generosa e di trarne frutto abbondante.