Al servizio del mondo

Le dimissioni del Papa e lo sconcerto che ne è conseguito. Come leggere un gesto umano e dirompente come quello compiuto da Benedetto XVI?
Luigi Bettazzi (Vescovo emerito di Ivrea e presidente del Centro Studi Economico-Sociali per la Pace - Pax Christi)

Benedetto XVI ha dato le dimissioni da Papa. La notizia ha sconcertato il mondo, provocando in genere reazioni di meraviglia, ma anche di comprensione e di ammirazione, salvo il velato rimprovero del cardinale di Cracovia, che ha precisato che “non si scende dalla Croce!”. E poiché quel cardinale è stato il fedelissimo Segretario di papa Giovanni Paolo II, e si sa, per la notizia confidenziale di una persona a lui vicinissima, che “Giovanni Paolo II voleva dare le dimissioni ma non gliele hanno lasciate dare”, l’affermazione del cardinale polacco manifesta che questa è stata la motivazione con cui ha indotto il Papa a non dare le dimissioni benché si sentisse ormai non più in grado di assolvere personalmente la sua altissima missione.
In realtà, al momento delle inattese e insospettate dimissioni, i giornali hanno ricordato che, nello scorso anno, in una trasmissione radiofonica “leggera” (“Un giorno da pecora”) affermai che non era esclusa l’eventualità che Benedetto XVI potesse rinunciare alla sua alta missione. L’hanno indicata come una profezia e mi hanno chiesto se avessi avuto notizie confidenziali.
Ho risposto che, conoscendo la dirittura morale di Joseph Ratzinger e il fatto che avesse visto come Giovanni Paolo II aveva finito i suoi giorni nelle mani dei suoi collaboratori, nel momento in cui avesse notato di non essere più in grado di assolvere autonomamente il suo compito, avrebbe preferito trasmettere le sue responsabilità a un successivo Papa legittimamente eletto. La stessa nomina del suo segretario a Prefetto dei Sacri Palazzi (che implica la consacrazione ad Arcivescovo), che qualcuno vedeva come l’assunzione di nuovi poteri da parte del suo segretario, mi confermava, invece, l’ipotesi di future dimissioni, in vista delle quali il Papa garantiva il suo segretario che – dopo – non avrebbe corso il rischio di sistemazioni emarginative bensì avrebbe conseguito o la permanenza nel compito assegnatogli o – quanto meno – un compito comunque episcopale.

Ministerium
Credo che il grande insegnamento che ci dà la decisione di papa Benedetto deriva dal Concilio Vaticano II, che ci presenta il compito della gerarchia come un servizio (in latino: “ministerium”), proprio fino ai livelli più alti: non a caso il Papa si proclamava un “servo dei servi di Dio”. Lo sconcerto è vissuto soprattutto da chi è portato ad accentuare, per questi altissimi compiti, l’aspetto del potere, sia pure di un potere sacro, come faceva alla Rai quell’interlocutore che si chiedeva come potesse “il vicario di Cristo” smettere di esserlo.
Del resto, pensavo, se a un vescovo, giunto a 75 anni, si fa presente che forse si avvia a non essere più in grado di assolvere il suo ministero, se un cardinale giunto all’età di 80 anni, viene esonerato dal compito di partecipare all’elezione del nuovo Papa, come meravigliarsi se un Papa riconosce che col crescere dell’età e degli acciacchi le energie fisiche e mentali possano attenuarsi così da rendere meno tempestivo ed efficace il suo servizio?!
Forse la differenza tra le dimissioni dei vescovi e quelle del Papa è che per i primi è più facile allontanarsi dai luoghi del loro servizio o comunque mimetizzare la propria presenza, cosa invece praticamente impossibile per un Papa emerito, problema già proposto sui mezzi di comunicazione, anche se credo che la virtù e la discrezione di Benedetto XVI sapranno evitare complicazioni. Credo, invece, che dobbiamo riflettere su questo grande gesto di fede e di umiltà, e ricavarne una sollecitudine a considerare la nostra vocazione cristiana e il compito che ci vengono assegnati, dalla vita e dalla storia, come vocazione e compito di servizio, da assolvere col maggior impegno possibile, ma da trasmettere ad altri quando riconosciamo onestamente che potremmo trovarci nella situazione di non poterlo assolvere come vorremmo e dovremmo. E mentre ringraziamo papa Benedetto per questo nuovo, grande insegnamento e lo assicuriamo che continueremo a pregare per lui, lo ringraziamo anche per il suo ministero pontificio, che si suole definire tipicamente tradizionalista e tendenzialmente conservatore, per quanto, invece, risulta fortemente innovatore.
Penso, ad esempio, alla conferma data allo studio della Commissione teologica internazionale che analizza il tema del limbo dei bambini e apre così la porta del Paradiso anche ai non battezzati, e alla singolarità significativa dell’aver fatto parlare, nell’ultimo incontro di Assisi, dopo i rappresentanti delle religioni, pure due “non credenti”, riconoscendo anche in loro il valore di una ricerca che, in qualche modo, è già “religiosa”. Papa Benedetto ha confermato – nell’ultimo incontro con i sacerdoti romani – l’invito e l’augurio per una sempre più piena attuazione del Concilio, insieme all’auspicio per il rinnovamento della Curia Vaticana, che ha ammesso di non essere giunto a realizzare.
E ora preghiamo per la Chiesa e per il nuovo Papa, perché – chiunque esso sia – eletto nel corso dell’anno della fede per il cinquantesimo anniversario dell’inizio del Concilio Vaticano II, sappia rilanciarne l’accoglienza e l’attuazione per una Chiesa – come già auspicavamo nel nostro Sinodo del 1984/86 – “sempre più giovane e sempre più al servizio del mondo”.

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