Annunciatori di speranza
Che conduce al largo.
Conosceva i nostri nomi, le nostre vite, a ognuno diceva: “Ti voglio bene”. Strada facendo, nelle case, nelle scuole, negli ospedali, negli studi televisivi, nelle terre lontane dei migranti… ci ha incantato puntando l’indice su Gesù. Il suo cruccio: la pecorella smarrita, convinto che ognuno ha nostalgia del Cielo e i graffi nell’anima. Don Tonino è stato davvero un buon pastore!
Così nella messa crismale del 1985: “È urgente intensificare la nostra passione sacerdotale… essere servi più premurosi. Le cose non vanno proprio bene nelle nostre città… Nel calo della pratica religiosa. Nella tranquilla insignificanza del concetto di Dio presso le generazioni più giovani. Nel diagramma decrescente di tante realtà morali:l’unità della famiglia, la fedeltà coniugale, il rispetto sacro per la vita ancora in grembo, la riverenza per gli anziani, la custodia del proprio corpo dagli assalti delle passioni, dagli istinti… Il senso dell’appartenenza ecclesiale è in ribasso L’indice di ascolto dei nostri messaggi non è dei più confortanti. Il tasso di credibilità dei nostri gesti rituali è troppo influenzato dalla mancanza di scelte concrete, che diano ai segni lo spessore della profezia… l’aggettivo premurosi, messo accanto alla parola servi, sta ad indicare l’ampiezza di un impegno che deve qualificare, nonostante tutto, il nostro stile di infaticabili annunciatori di speranza. Servi premurosi del popolo, non suoi cortigiani. Servi desiderosi della crescita del popolo e non affamati del suo consenso… servi che camminano col popolo … capaci di rischiare l’impopolarità per non voler rinunciare alla missione crocifiggente della profezia” (“Omelie e scritti quaresimali“ed. Luce e vita).
E nel 1988 così riflette coi presbiteri: “La Chiesa dovrebbe essere primizia e modello di come Dio ha pensato il mondo. E nella Chiesa la comunità presbiteriale dovrebbe essere la primizia , la prima ciliegia matura, di come dovrebbe essere la Chiesa. Noi che tocchiamo l’Eucarestia, che consacriamo l’Eucarestia,… dovremmo essere questa agenzia periferica che parte dalla Trinità … Il vescovo si dovrebbe forse accorciare di più il pastorale e fare brillare di più l’anello. Perché credo che la diocesi non si guidi soprattutto col pastorale, ma con l’anello, che è il segno della fedeltà a Gesù Cristo e della fedeltà al popolo” (“In confidenza di padre”, edizioni la meridiana).
E il 19 febbraio 1989, nel percorso quaresimale “Dalla testa ai piedi”, scrive di Pietro: “Sì, ce l’ha fatto capire Gesù: anche Pietro è un povero. Oggi più che mai... Carissimi fratelli, se vi scrivo queste cose è perché temo che, a Pietro, oggi non gli si voglia molto bene. Come se non bastasse il peso del mondo, gli incurviamo le spalle sotto il fardello delle nostre risse fraterne. Anche se in teoria non viene discusso il suo prestigio, la sua parola non viene sempre accolta con l’attenzione e con l’obbedienza che merita colui che ha ricevuto da Cristo l’incarico di confermare i fratelli nella fede. E non avviene di rado che, urtando le nostre barche sui fondali dell’accomodamento, i suoi inviti a prendere il largo vengono interpretati come involuzioni e chiusure”(“Omelie e scritti quaresimali“ed. Luce e vita).
Le sue parole di ieri raccontano ancora l’oggi. Don Tonino ci chiede la fedeltà a Cristo, l’unità della Chiesa e il servizio appassionato al popolo. E noi? Vogliamo continuare a essere semplicemente notai della storia, molto spesso grigia e triste, oppure diventare finalmente annunciatori della speranza riposta nei nostri cuori dal Principe della Pace?