Quanto resta della notte?
Don Tonino Bello ha creduto nell’amore disarmato e ci invita a seguire
sentieri nonviolenti.
Per conoscere e capire Tonino Bello bisogna amare e capire la terra da dove è spuntato: il Salento, una terra dolce, una distesa infinita di ulivi. Una terra che ha a che fare con la sua spiritualità biblica, letta nell’oggi partendo dai poveri.
Di qui la sua capacità di legare strettamente fede e vita, prendendo decisioni forti senza perdere di vista la comunione.
Di qui la sua passione per il Vaticano II, cioè di una Chiesa povera e dei poveri, e l’assimilazione di ciò che è il cuore del Vangelo: pace e nonviolenza attiva.
Ho imparato ad amare il Salento essendoci stato per quasi tre anni dal 1975 al 1978, mentre lavoravo con i gruppi del Gim (Giovani impegno missionario). All’epoca, ho conosciuto don Tonino, sacerdote, insegnante e poi rettore del seminario della diocesi di Ugento-Santa Maria di Leuca, e mi è rimasta impressa la sua immediata disponibilità.
Dal 1978 sono a Nigrizia e ci perdiamo di vista. Un giorno, mi arriva in redazione un biglietto: “Caro padre Alex, forse tu ti sarai già dimenticato di me. Ma io non ti ho dimenticato. Tu eri quello che, con i tuoi giovani, venivi a rubarci i mandarini in seminario, quando vi incontravate da noi per gli incontri di spiritualità”. Firmato Tonino Bello.
Nel 1985 don Tonino Bello diviene presidente di Pax Christi. Nel novembre di quell’anno, m’invita a Brescia, alla prima assemblea nazionale da lui presieduta: ho così l’occasione di sottolineare il ruolo dell’Italia nella produzione e nel commercio di armamenti, nonché di rimarcare le ombre lunghe del potere militare-industriale. E scoppiano i problemi per me e per Tonino.
Il 1985 è anche l’anno della mia conversione alla nonviolenza attiva. Tonino c’era arrivato prima. Quell’anno vedrà nel Triveneto il lancio del documento “Beati i costruttori di pace”, approvato anche dai vescovi del Triveneto e che suscita ulteriori polemiche: il ministro della difesa, Giovanni Spadolini ci definisce «preti rossi». Don Tonino si è trovato in profonda sintonia con quel documento e alle Arene dei “Beati i costruttori di pace”.
Tonino Bello parteciperà all’Arena del 1989 con uno straordinario intervento: “In piedi costruttori di pace!”. “Se non abbiamo la forza di dire che le armi non solo non si devono vendere, ma neppure costruire – urla Tonino in un’Arena stracolma – che la politica dei blocchi è iniqua, che la logica del disarmo unilaterale non è poi così disomogenea con quella del Vangelo, che la nonviolenza attiva è criterio di prassi cristiana, che certe forme di obiezione sono segno di un amore più grande per la città terrena… Se non abbiamo la forza di dire tutto questo, rimaniamo lucignoli fumiganti invece di essere ceri pasquali”.
Nel 1987 vengo allontanato dalla direzione di Nigrizia. Don Tonino esprime la sua totale solidarietà e vicinanza a me e alla rivista. Con la sua benedizione partii nel 1988 per Nairobi, dove ho vissuto per dodici anni nella baraccopoli di Korogocho.
Fu proprio a Korogocho che ricevetti una lettera in cui Tonino mi chiese di fare il direttore di Mosaico di Pace, la nuova rivista di Pax Christi. Lo ringraziai della fiducia, ma gli risposi che non avrei saputo come dirigere quel giornale dal Kenya. Risposta senza tentennamenti: «Tu sei diventato un simbolo della lotta contro le armi e quindi devi accettare». L’ho fatto e continuo a farlo.
Nel frattempo don Tonino ha continuato a impegnarsi per la pace su tutti i fronti. È stato un infaticabile costruttore di pace. Nel 1991 si espresse contro la prima guerra del Golfo con una lettera scritta ai parlamentari arrivando a dire: “Risparmiateci, vi preghiamo, la sofferta decisione, quale ‘extrema ratio’, di dover esortare direttamente i soldati, nel caso deprecabile di guerra, a riconsiderare secondo la propria coscienza l’enorme gravità morale dell’uso delle armi che essi hanno in pugno”. Come si espresse duramente contro la guerra in Jugoslavia che lo porterà, già minato dal cancro, a partecipare alla Marcia promossa dai Beati Costruttori di Pace a Sarajevo nel dicembre 1992.
Tutto questo impegno nasceva in lui dal fatto che aveva capito che era stato Gesù di Nazareth a scoprire la nonviolenza attiva. Non so quando don Tonino si convertì alla nonviolenza attiva, forse molto presto nella sua vita sacerdotale.
Personalmente ci arrivai molto tardi, a 50 anni. Le Chiese, sia cattolica che ortodossa, sia luterana che anglicana, fanno molta difficoltà ad accettarla. Eppure se c’è una cosa che sembra oggi certa nella ricerca sul Gesù storico è proprio questa: la nonviolenza attiva, che Gandhi chiamava satyagraha (la forza della verità) e Gesù chiamava ‘la forza dell’amore’, proviene dal carpentiere di Nazareth.
“La nonviolenza attiva è stata la strada che Gesù Cristo ci ha indicato senza equivoci – scriveva don Tonino. Se su di essa perfino la profezia laica ci sta precedendo, sarebbe penoso che noi credenti, destinati per vocazione a essere avanguardie che introducono nel presente il calore dell’utopia evangelica, scadessimo al suolo di teorizzatori delle prudenze carnali. Il grande esodo che oggi le nostre comunità cristiane sono chiamate a compiere è questo: abbandonare i recinti di sicurezza garantiti dalla forza per abbandonarsi, sulla parola del Signore, all’apparente inaffidabilità della nonviolenza attiva”.
Ecco perché don Tonino è rimasto sempre più solo e isolato nella stessa Conferenza Episcopale italiana. Un dato, questo, che lo ha fatto molto soffrire, ma è stato lo scotto che ha pagato per la scelta evangelica della nonviolenza attiva che stenta a penetrare nella Chiesa e ancora meno nella società. Lo ha espresso molto bene don Tonino in una riflessione scritta subito dopo la Marcia a Sarajevo, il 15 dicembre 1992.
“Poi rimango solo, e sento per la prima volta una gran voglia di piangere. Tenerezza, rimorso e percezione del poco che si è potuto seminare e della lunga strada che rimane da compiere?
Attecchisce davvero la semente della nonviolenza? Sarà davvero questa la strategia di domani? È possibile cambiare il mondo con i gesti semplici dei disarmati? È davvero possibile che, quando le istituzioni non si muovono, il popolo si possa organizzare per conto suo e collocare spine nel fianco di chi gestisce il potere? Fino a quando questa cultura della nonviolenza rimarrà subalterna? Questa impresa contribuirà davvero a produrre inversioni di marcia?”.
Una valanga di interrogativi che rimangono aperti. Don Tonino ci ha aperto una strada, una che rimane quasi tutta da percorrere. È l’unica strada, insegnataci da Gesù, quella della nonviolenza che rimane all’umanità nell’era nucleare. “O la nonviolenza o l’estinzione”, aveva detto M.Luther King.