NONVIOLENZA

Lampara dell’umanità

Don Tonino, il mare, la rivoluzione nonviolenta. La trinitaria “convivialità delle differenze” diventa rete di percorsi nuovi vissuti come ricerca del volto, progetto politico, disarmo, giustizia e spiritualità della bellezza.
Sergio Paronetto (Vice presidente Pax Christi Italia)

Inevitabile per don Tonino, innamorato del mare, concepire la pace come una navigazione. Sulla famosa barca, evocata nel 1982 al porto di Tricase, all’incrocio dei mari e dei popoli, si accende la lampara della pace, una luce di profondità nella storia umana: “la forza di osare, la capacità di inventarsi, la gioia di prendere il largo” necessaria sia “per chi ha fame e non ha pane” sia “per chi ha pane e non ha fame” (La lampara in Parole d’amore, edizioni la meridiana). Torna spesso in lui l’immagine della “nave scuola” di maestri e testimoni di pace che deve superare un punto decisivo, il vero “capo di buona speranza” oltre il quale si procede in mare aperto: la scelta della nonviolenza che affonda le sue radici nel mistero trinitario e nel cuore della famiglia umana. Ne parla con decisione in opposizione all’invio di navi nel Golfo Persico (preludio della guerra in Iraq) per un’azione di pattugliamento. A proposito della spedizione militare del 1987, partita da Taranto e da Augusta, osserva con amarezza: “Ci auguriamo tutti che queste navi non sparino nessun colpo, neppure a salve. Ma si sappia bene che un primo siluro l’hanno già lanciato. Non contro le imbarcazioni iraniane, ma contro la nave scuola su cui da ormai cinquant’anni impartono lezioni di pace Gandhi e Luther King, Tillich e Capitini, La Pira e Lanza del Vasto, Helder Camara, don Milani, Bobbio e Bettazzi”. L’elenco dei timonieri, allargato e precisato negli anni, ha come origine Gesù Cristo. Per questo, chiede coerenza evangelica alle Chiese della Puglia e d’Italia davanti alla militarizzazione del territorio: “È vero che non sono mancate in questi anni e non mancano autorevoli prese di posizione contro certi modelli di sviluppo in antitesi con la vocazione pacifica della nostra terra [...]. Ma dobbiamo riconoscere, purtroppo, che tra noi, nonostante il multiloquio, quella della pace rimane ancora una cultura debole. Se no avremmo denunciato più rapidamente la mitologia della cosiddetta sicurezza nazionale” (La speranza a caro prezzo, S. Paolo e Scritti di pace e Scritti vari, Mezzina).

Un amico della nonviolenza
Don Tonino non è un pacifista generico, ma un amico della nonviolenza cosciente che la storia è luogo di conflitti, che sono certo un pericolo ma anche una sfida innovatrice. La pace è la trasformazione nonviolenta del conflitto. La questione è come operarla. L’opera è immensa, a un tempo azione graduale e progetto globale, arte e scienza. La scelta nonviolenta rifiuta la logica delle ideologie contrapposte. È autonoma e originale. La si sceglie perché è buona, vera, giusta, bella, utile. “La pace è un’idea rivoluzionaria” – scrive Johan Galtung –“la pace con mezzi pacifici” la definisce come rivoluzione nonviolenta. Questa rivoluzione deve aver luogo costantemente, il nostro lavoro è espanderne l’estensione e il dominio. I compiti sono senza fine, la domanda è se siamo all’altezza di svolgerli”. Il perdono si colloca all’apice della trasformazione creativa del conflitto come un dono per tutti. Gandhi e Mandela ce l’hanno insegnato, ricorda Galtung con una terminologia simile a quella di don Tonino (Pace con mezzi pacifici, Esperia).
La nonviolenza è un tema generatore globale e rivoluzionario. Per allontanare qualunque interpretazione passiva o rinunciataria, don Tonino parla spesso di nonviolenza attiva. La presenta come un atlante storico-geografico sterminato o una mappa della ricerca umana con lo stile di un moderno padre della Chiesa e di un esperto di statura mondiale. La sua elaborazione ideale (teologia trinitaria, Chiesa del grembiule, beatitudine della pace, profezia messianica) incrocia le tematiche centrali della pedagogia (etica del volto, capacità di sognare, arte della compassione), della politica (bene comune, cittadinanza umana, economia di giustizia) e della ricerca nonviolenta planetaria (diritto internazionale, Onu dei popoli, difesa non armata, trasformazione dei conflitti, perdono socio-politico). La trinitaria “convivialità delle differenze” diventa rete di percorsi nonviolenti vissuti come ricerca del volto, scienza sociale, progetto politico, formazione permanente, cittadinanza attiva, sicurezza comune, disarmo, giustizia sociale, cammino ecclesiale, spiritualità della gioia e della bellezza.

Un sogno realistico
La pace nonviolenta non è, quindi, una dottrina da proclamare ma itinerario comune, pratica coinvolgente che si può solamente con-vivere e con-dividere. Don Tonino preferisce raccontarla con storie esemplari di personaggi biblici o esperienze di tante persone. La narra con linguaggio simbolico e poetico che traduce i principi orientativi della nonviolenza contemporanea, collegati alla vita di Cristo e a Francesco d’Assisi fino a Gandhi, Luther King, Mazzolari, Capitini, Dolci, La Pira, Milani, Lercaro, Dossetti, Bettazzi, Balducci, Turoldo, Camara, Romero, Freire, Proaño, Martini; a testimoni come Bonhöeffer, De Foucauld, Carretto, Mancini, Lanza del Vasto, Goss, Mandela, Tutu, Sabbah; ai papi Giovanni XXIII, Paolo VI e Giovanni Paolo II nella luce del Concilio Vaticano II; a esperti con i loro centri di studio; ai piccoli maestri della vita quotidiana. Per lui la nonviolenza non è una teoria infallibile o un metodo univoco ma “un sogno realistico” impastato di sudore e sangue. Occorre sceglierla, attivarla, provarla e pagarla a caro prezzo. È già una “scienza articolata e complessa” (La speranza a caro prezzo, S. Paolo). Ha avuto i suoi successi. Ma deve sempre ripartire (come in India, Sud Africa, Sud America o Nord Africa). A volte viene sconfitta come in Siria, dove Paolo Dall’Oglio, fondatore della comunità di Deir Mar Musa, all’inizio del 2012, ha proposto inutilmente una mobilitazione simile a quella dei 500 a Sarajevo, guidati da don Tonino nel dicembre 1992.

Difesa non armata
La difesa dal male è un problema serio. Nell’aprile 1992 don Tonino osserva che il diritto a difendersi non l’ha mai contestato nessuno. “Tollerare la prepotenza senza reagire non rientra nella logica del Vangelo. Arrendersi supinamente dinanzi a un tiranno non è mai stato un atto meritorio. Rassegnarsi al sopruso appartiene al genere della vigliaccheria, non all’esercizio della virtù cristiana. Non è vero che chi pratica la nonviolenza rinunci alla difesa. Chi viene leso nei suoi diritti ha il dovere di difendersi. Ma come? Con tutti i metodi alternativi all’uso brutale della forza. La ricerca e l’uso di tali metodi richiedono strategie molto più esigenti di quella, semplificatoria e rozza, richiesta dalle armi. Ed è proprio verso la logica della nonviolenza attiva e della difesa popolare nonviolenta che oggi siamo tutti chiamati a convertirci” (La speranza a caro prezzo, S. Paolo). Nel suo slancio ideale, don Tonino è molto laico, problematico. Riconosce che le risposte ai conflitti sono difficili, che la protesta fatica a diventare proposta, “valore di popolo”, a un tempo resistenza, riforma e alternativa. Per questo, la nonviolenza richiede tempo, formazione, sperimentazione, addestramento. Occorre conoscere i protagonisti delle lotte nonviolente; analizzare le esperienze di difesa nonviolenta e di gestione dei conflitti; potenziare gli strumenti del diritto internazionale. Le sue indicazioni troveranno dopo il 1985 una base giuridica minima per realizzare un’istituzione di difesa alternativa, non ancora realizzata.

Il contributo femminile
A tal fine, è necessario condividere l’ampia varietà della nonviolenza femminile, operante nei gruppi di riconciliazione; nei centri a difesa dei diritti umani e della dignità della donna; nelle scuole del perdono; tra le “donne in nero” o le comunità dei parenti delle vittime di stragi; nella lotta antimafia; nella tormentata primavera araba; in donne indiane o birmane come Vandana Shiva e Aung San Suu Kyi. Occorre diventare per ciascuno madre, esclama don Tonino davanti a chi sbarca sulle coste pugliesi nel 1991. Inevitabile per lui cogliere nella donna la capacità creativa che, al di là dell’atto biologico, si identifica nella nonviolenza che significa generare vita nuova. La vede esprimersi decisamente in Cile e in Argentina, in Salvador e in Guatemala, in Africa e in Medio Oriente. Con lui diventa inevitabile fare memoria creativa di donne come Simone Weil, Etty Hillesum, Marianela Garcia, Teresa di Calcutta, Annalena Tonelli, Rachel Corrie, Mirella Sgorbati, Wangari Maathai, Anna Politovskaya, Ilaria Alpi, Dorothy Stang, Rosemary Lynch, Dorothy Day, fino alle Nobel 2011 (Ellen Johnson Sirleaf, Leymah Gbowee, Tawakkul Karman) e altre. Alle “donne disarmanti” don Tonino pensa quando offre agli amministratori locali, tra 1985 e 1990, un’immagine della politica capace di passione e compassione, sobrietà e gratuità, giustizia e pietà, tenacia e fiducia, pazienza e coraggio. Nel passare in rassegna tante azioni di denuncia femminile, risale anche alle vicende bibliche di donne da: Myriam a Sara, da Rizpà alla figlia di Jefthe, da Ruth a Maria, donna del “Magnificat”, grande manifesto di liberazione umana. In tale ambito, il perdono non appare mai come pratica rinunciataria ma come indicazione rivoluzionaria: superare le culture del nemico, non adottare i suoi mezzi violenti, costruire una novità di vita. Per questo compito, la fede cristiana e l’istanza laica possono riconoscersi e fecondarsi reciprocamente.

Sarajevo, un nuovo inizio
Il viaggio a Sarajevo, vissuto come segno “francescano” e come anticipazione di un’“Onu dei popoli”, costituisce per don Tonino l’occasione di un approfondimento della tematica nonviolenta (con grande interesse di Alexander Langer e di Carlo M. Martini). Durante il viaggio, la richiesta croata di armi (unita all’indifferenza o all’irrisione di molti in Italia) suscita in don Tonino un intenso dolore. Capisce che chi vive sempre nella violenza fatica a immaginare strade nuove e che c’è bisogno di un nuovo inizio. I segni profetici diffondono l’idea che la pace è possibile ma ciò avviene sempre dentro un cammino tormentato. Il bagno di realismo è utile per riaffermare la necessità di una azione nonviolenta più ampia e profonda, più coinvolgente e credibile. “Dopo Sarajevo, il popolo della pace è entrato come in una storia nuova, è entrato in uno spessore di concretezza che può produrre, anche a rischio della propria vita, vere iniziative di pace [...] modalità alternative alla strategia militare” (Scritti vari, Mezzina).
Gli dà ragione oggi, 20 anni dopo, Pero Sudar, vescovo ausiliare di Sarajevo, un tempo favorevole alla guerra: il viaggio dei 500, egli dice, “ci ha fatto capire che ci vuole un nuovo spirito, che le guerre sono terribili, che solo la solidarietà ci salva, la solidarietà dei piccoli, perché la storia è fatta da piccoli gesti di grande significato” (testimonianza diffusa da Renato Sacco). Non ha più senso, dunque, un pacifismo dottrinario o gridato. La pace diventa impegno di tutti, scelta quotidiana, umile sintesi di profezia e politica: “Dico soprattutto ai giovani: bisogna abituarsi di più a sognare, a sognare a occhi aperti […]. Dovremmo essere più audaci come Chiesa. Il Signore ci ha messo sulla bocca parole roventi: ma noi spesso le annacquiamo col nostro buon senso. Ci ha costituiti sentinelle del mattino, annunciatori, cioè, dei cieli nuovi e delle terre nuove che irrompono, e invece annunciamo cose scontate, che non danno brividi, che non provocano rinnovamento”. Il “vero dramma” presente nelle comunità cristiane è quello di “non aver ancora assunto la nonviolenza come unico ‘abito da società’ veramente firmato dal Signore e continuare a baloccarsi con gli altri vestiti contraffatti che ci assediano l’armadio” (Scritti vari, Mezzina). La pace nonviolenta è luce di profondità per “prendere il largo” e “spalancare la finestra del futuro, progettando insieme, osando insieme”.

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