La parola l’impegno il Vangelo
La poesia nell’agire.
Monsignor Antonio Bello, vescovo di Molfetta, per tutti don Tonino, vive la sua chiamata al sacerdozio fortificato, in particolare, da tre strumenti: la parola, il Vangelo, l’impegno.
La parola
La parola, fragile, impalpabile, originata chissà quando, chissà dove, connessa in infiniti modi per i pochi segni dell’alfabeto, è potentissimo mezzo di comunicazione. A viva voce essa implica il faccia a faccia; scritta su carta, amplia la comunicazione tra chi scrive e chi legge e, oggi, nel momento storico delle reti mediatiche interconnesse, passa immediatamente tra chi scrive e chi la riceve in qualsiasi parte del mondo.
La creazione in tutta la sua grandezza narra la potenza e la bellezza di Dio. “Io risplendo talmente nella mia creazione. Che per non vedermi realmente queste povere persone dovrebbero essere cieche” (Charles Peguy, Il portico del mistero della seconda virtù). Ma è la parola a dare voce alla creazione; senza di essa la persona sarebbe un essere circoscritto, una monade prigioniera di se stessa e incapace di alterità. Al Creatore non è bastato rivelarsi attraverso le sue opere. Egli ha parlato attraverso i Patriarchi, Mosè, i Profeti e, giunti alla pienezza dei tempi, inviando suo Figlio Gesù nel quale la Parola si fa carne.
La parola umanizza.
Pronunciata da esseri umani, essa è portatrice di idee, di sentimenti, di emozioni e suscita in chi l’ascolta reazioni assai varie, pacifica o disturba, muove all’azione o paralizza, incute coraggio o mortifica, può condurre ad atti vili o eroici, a decisioni che impegnano, a guerre e rivoluzioni. Nulla di più libero della parola, nulla di più ambiguo.
Tutti conosciamo la grande quantità di parole sprecate sulle piazze, buttate là come sfida, ritrattate, corrette, rigirate per far capire meglio il senso male interpretato, in verità confusamente espresso! Tutti sappiamo di promesse non mantenute: parole pronunciate ad effetto su folle abituate, purtroppo, a un parlare che, per non essere pensato e per non valutare le conseguenze, suscitano rabbia, confusione e inganno.
Tra chi dice e chi ascolta v’è un tratto di strada, un invisibile percorso per il quale si possono incontrare ostacoli che ne svagano il senso. Alla base del messaggio dato, se rifiutato, sta la fiducia, la certezza che chi mi parla non mi vuole ingannare. È un sentimento impalpabile e cristallino come la parola del Vangelo e di chi lo frequenta.
La Parola del Vangelo è semplice, indica concetti fondamentali per l’essere umano di tutti i tempi sotto tutti i cieli, dice di fame, di sete, di solitudine, di malattia, di prigionia e, a chi vuol sentire, insegna il correttivo: porgi da mangiare, offri da bere, vesti chi è nudo, visita il carcerato, l’infermo, il perseguitato, augura pace, porta pace.
Don Tonino amava le parole, giocava con esse inventando metafore e poesie per annunciare la Buona Notizia. Ma il suo gioco era serio e responsabile, sempre.
Il Vangelo
Don Tonino vive per vocazione radicale il Vangelo, chi lo ha conosciuto afferma che il suo parlare non era ipocrita, seguiva l’insegnamento del Signore: “Sia il vostro parlare sì, sì; no, no; il di più viene dal maligno”. (Mt. 5,37)
La semplice verità narrata dai Vangeli è per tutti i tempi e per tutti luoghi. Essa è quel tesoro dal quale “ogni scriba divenuto discepolo del regno dei cieli è simile a un padrone di casa che estrae dal suo tesoro cose nuove e cose antiche” (Mt. 13,52). Gesù, nel suo andare tra i discepoli, testimonia la fecondità del suo messaggio: a ciò che insegna fa seguito l’agire.
Don Tonino Bello, prete prima, poi vescovo del Sud d’Italia, ha pronunciato e vissuto le parole evangeliche con squisita eleganza umile e vera che incontra i cercatori di Dio là dove sono. “Chi non è contro di noi è con noi”. Questa affermazione del Signore entra così profondamente nella mente del Vescovo da fargli chiedere perdono al giovane musulmano per non averlo incitato a leggere il “suo Libro” il Corano. Si sente un cercatore di Dio tra cercatori di Dio e riconosce le spinte, i rallentamenti, le fatiche della ricerca soprattutto quando, ostacolo alla visione del volto di Dio, sono il dominio e la volontà di potere.
Egli, fedele al Maestro, vede la Chiesa come il luogo nel quale si entra dalla porta stretta, quella di servizio, per compiere azioni di servi, di schiavi. “Gesù depose le vesti, si cinse un grembiule e si mise ad asciugare i piedi”. Don Tonino predica la Chiesa col grembiule lontana dal dominio, investita dal suo Signore di autorità per servire. È la Santa Madre che non esita nelle sue scelte, non si attarda a considerare politiche congrue o meno al suo potere. Nella limpida poe-sia di don Tonino Andiamo fino a Betlemme, l’urgenza di “muoversi” a incontrare il Signore, povero e fragile bambino, non vestito di gloria e di onore, il percorso è segnato da oppressi spauriti, da esseri soli e amareggiati, dai senza patria. In mezzo a questa turba di uomini e donne, (assoluta maggioranza numerica), senza voce, in mezzo a questa realtà, la Chiesa col grembiule deve muoversi e diventare voce di chi non ha voce, potere di servizio per chi non ha potere. E profuma di popolo. È la Chiesa – popolo guidato da pastori – i sacerdoti che stanno in mezzo al loro gregge o odorano di pecore! Concetto di servizio attento all’uomo più che ai grandi programmi come espresso da papa Francesco il giovedì santo.
In mezzo al popolo don Tonino pone anche Maria, donna feriale da contemplare e imitare nella Casa di Nazareth, che provvede acqua dalla fonte del villaggio e scambia parole con le altre donne. Maria, pensosa per suo Figlio, attenta allo sposo, donna del mattino, del meriggio, della sera e della notte, compagna di viaggio nel peregrinare terreno prima di entrare nella gloria dei cieli.
L’impegno
Dalla parola sgorgante dal Vangelo, don Tonino prende le mosse per incitare all’azione di servizio responsabile. Egli precede nell’impegno la Legge quadro regolante il Volontariato, emanata l’11 agosto 1991. Ai criteri voluti dalla Legge quali distintivo del volontariato, la spontaneità, la gratuità, la democraticità delle cariche, egli aggiunge la serietà dell’impegno, la professionalità, la prontezza a rispondere ai bisogni dei poveri, degli umili, dei senza parola.
Molto più che un riconoscimento giuridico egli vede il volontario come “donatore di tempo libero a tempo pieno”, motivato da una etica larga, non confessionale, gratuita, che accompagna uomini e donne in tutti i luoghi della terra non solo quando si manifestano calamità naturali, epidemie, guerre, disgrazie di vario genere, ma soprattutto a difesa e a servizio alla persone, un compito che non finisce mai!
L’appartenenza radicale a un gruppo religioso, politico, etnico, include ed esclude, concede diritti o li nega. La consapevolezza di appartenere “alla carne umana”, include tutti: è principio di fraternità e di solidarietà, di responsabilità. Don Tonino, a motivo della appartenenza alla famiglia umana rende tutti responsabili della realizzazione di beni comuni. Tra questi la relazione che vince la solitudine e l’emarginazione.
Le poche ore trascorse in solerte amicizia con chi fa fatica, compiendo gesti gratuiti, da persona a persona, affermano una realtà guardata con diffidenza nel nostro mondo in cui ciò che non produce profitto non ha valore e ciò che è spontaneo e libero è guardato con diffidenza, quasi che il bene nelle sue manifestazioni anche minime, debba per forza essere pagato. E una paga la riceve il donatore di energia e tempo e serenità: è la ricompensa del povero, immateriale e vera che fa dire “Vi è più gioia nel dare che nel ricevere”. Parole che possono sembrare banali, scontate come quelle semplici e forti e armoniose pronunciate da don Tonino fino al momento della sua morte: parole vere delle quali ancora sentiamo l’eco.