PAROLA

Oltre le mura del tempio

Don Tonino ha raccolto tessere e frammenti preziosi dai diversi laboratori del pensiero e dell’arte. E ha ricomposto il mosaico dell’unico Verbo, declinato
nel caleidoscopio dell’universale sapienza.
Salvatore Leopizzi (sacerdote, consigliere nazionale Pax Christi )

“Diceva Gramsci, in una delle lettere, scrivendo ai suoi compagni: … manca il brivido della passione. A proposito, ricordo un episodio. Io ebbi l’infelice idea di pronunciare questa frase il giorno del mio ingresso in una città della diocesi nel corso di una solenne celebrazione eucaristica. Citando Gramsci, volevo incoraggiare i credenti a rabbrividire, a sentire la pelle d’oca per il messaggio di Gesù Cristo. Andò bene. Ovvero andò bene come discorso. Ma fin dal giorno dopo ricevetti già delle lettere, le prime lettere di contestazione che dicevano: prima, quando un vescovo parlava in una cattedrale, citava i Santi, faceva riferimento ai Padri della Chiesa. Adesso citano Gramsci. È proprio la fine. Che tristezza! Avevo solo citato Gramsci, che è una persona come tutte le altre, forse più grande di tante altre, una persona meritevole di ascolto” (La bisaccia del cercatore, edizioni la meridiana, pag.35).
Di persone meritevoli di ascolto don Tonino, nel suo orizzonte bibliografico, ne conosce una gran quantità. Molte le ritrova anche fuori dal recinto di casa, oltre i confini dell’area strettamente religiosa, al di là dei testi canonici di esplicita ispirazione cristiana.
Così nei campi aperti della cultura, scorrendo le diverse età della storia, si lascia attrarre e incuriosire dalle opere più suggestive del pantheon globale e si mette in ascolto di tanti autori che lui considera profeti laici del Regno.

Frammenti
Raccoglie tessere e frammenti preziosi dai diversi laboratori del pensiero e dell’arte per ricomporre il mosaico dell’unico Verbo, declinato nel caleidoscopio dell’universale sapienza.
Con umile entusiasmo costruisce ponti di comunicazione con le ragioni e le parole degli altri, anche di coloro che, a volte, sembrano rivestire i panni del rivale e la corazza del nemico.
Artisti, filosofi, letterati, politici, di ogni tempo, di ogni patria e di ogni fede sono entrati nel perimetro del suo logos, trasformandolo in costante e sempre aperto dia-logos. Il tradizionale chiostro della cultura cattolica non è più, per don Tonino, un ortum conclusum, ma diventa cortile aperto dove i gentili di ogni provenienza trovano spazio e diritto di cittadinanza. Nella coscienza e nelle parole degli spiriti magnanimi riconosce tracce roventi della Parola e ritrova frammenti luminosi del Vangelo.
Citando Gramsci, io volevo incoraggiare i credenti a rabbrividire, a sentire la pelle d’oca per il messaggio di Gesù Cristo. Non solo citando Gramsci, ma, ne sono certo, anche tanti altri, intendeva affermare che il messaggio di Gesù Cristo non è estraneo o alternativo al brivido della passione che ha incendiato l’animo degli inguaribili sognatori di un’umanità inedita, quella della pace e della convivialità, prefigurazione, per i credenti, di cieli nuovi e terra nuova in cui abiterà la giustizia (cfr. 2 Pt 3,13).
Se è vero che i cieli narrano la gloria di Dio e il firmamento annuncia l’opera sua (cfr. Sal 18), a maggior ragione le voci dei giusti, dei saggi e degli innamorati captano l’eco cosmico dell’Ineffabile e lo traducono nelle diverse modulazioni dei linguaggi umani. Con formidabile memoria, don Tonino ritaglia e riferisce racconti, versi, aforismi, apologhi, cita brani musicali, affreschi e quadri d’autore. E tutto per lui costituisce un contrappunto melodico al cantus firmus del “suo” Vangelo. Da Il muro di Sartre all’Antologia di Spoon River di Edgar Lee Masters, da Le ceneri di Gramsci di Pasolini ai versi in romanesco di Trilussa, dal Crocifisso del Masaccio a quello di Grünenwald, per citarne alcuni solo a titolo esemplificativo.

Con la testa per aria
Seconda stella a destra/ – ripeteva spesso ai giovani citando Edoardo Bennato – questo è il cammino/ e poi dritto fino al mattino /non ti puoi sbagliare perché /quella è l’isola che non c’è. E li spronava a non fermarsi mai, a non arrendersi alla logica dei piedi per terra, del realismo a una sola dimensione. Piedi per terra, sì, certo. Però anche testa per aria: ma non darti per vinto perché/ chi ci ha già rinunciato/ e ti ride alle spalle/ forse è ancora più pazzo di te!
Ricordo come riusciva a catturare l’attenzione di tutti, piccoli e grandi, con quella filastrocca di Gianni Rodari che si conclude così: … tanta gente non lo sa e dunque non se ne cruccia, la vita la butta via e mangia soltanto la buccia, e da qui lanciava poi il messaggio “… allora, ragazzi, andate all’essenziale, mordete la polpa della vita! Fate la scelta di Francesco. Amate i poveri …”.
Per richiamare il potenziale evangelizzatore dei poveri, poteva ricorrere a Fabrizio De André: “Ricordate quel ritornello… dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fior? Quanto hanno da darci i poveri oggi!”.
Per segnalare l’anello di congiunzione tra l’amore umano e quello divino faceva appello a Il cielo in una stanza. “È il titolo di una celebre canzone che esalta la pienezza della vita, quando questa viene illuminata dall’amore autentico per una creatura. Cantata da Gino Paoli, mi piaceva tantissimo. In fondo, non era altro che la traduzione musicale di una frase latina, mi pare di San Bonaventura, che i monaci del convento del mio paese avevano scolpito sullo stipite delle loro celle: Cella sit tibi coelum… Il cielo in una stanza deve divenire la sigla morale di ogni uomo di buona volontà che si batte per la pace, che non vuole farsi catturare dall’effimero, che teme di lasciarsi imprigionare dai problemi di campanile”.
In occasione delle Giornate Salveminiane del Comune di Molfetta, nel 1988, il vescovo, prendendo spunto dalle parole dello stesso Salvemini, così scrive: “Vi sono canaglie che credono alla divinità di Cristo e galantuomini che non ci credono. Io divido gli uomini secondo che sono canaglie o galantuomini, e non secondo che hanno occhi neri o azzurri o secondo che credono o non credono alla divinità di Cristo (…) e – conclude – c’è da esser certi, però, che il Signore, sensibile ai galantuomini increduli non meno di quanto sia indulgente con le canaglie credenti, abbia accolto ugualmente nella sua pace, questo profeta laico del suo Regno (Sud a caro prezzo, edizioni la meridiana pagg. 31-32).

Profeti e pontefici
Ora, a vent’anni dalla sua pasqua, con lo stupore di una felice sorpresa, possiamo accostare senza forzature don Tonino al nuovo vescovo di Roma, papa Francesco. Provenienti entrambi dai Sud del mondo, l’Argentina e il Capo di Leuca, sono icona viva e sorridente di quella Chiesa del grembiule che depone i segni del potere per assumere solo il potere dei segni. Pastori poveri tra i poveri, profumati di popolo, sembrano usciti insieme dalla stessa assise conciliare per immergersi tra la gente e portare a tutti la misericordia e la tenerezza di Dio. Profeti credibili e pontefici pazienti di ecumenismo e di dialogo senza frontiere, ci spronano a uscire e a camminare ancora insieme, alla sequela di Cristo sul passo degli ultimi, fino a raggiungere tutte le periferie per custodire la bellezza della vita e del creato. Oggi è lo stesso papa Francesco a ricordarci che “la Chiesa è chiamata a uscire da se stessa, verso le periferie, non solo quelle geo-grafiche, ma anche quelle esistenziali, quelle del mistero del peccato, del dolore, dell’ingiustizia, di ogni forma di miseria”. E lì, nelle periferie, oltre le mura del Tempio, nei solchi di ogni sofferenza, coltiveremo i nuovi germogli della speranza e gusteremo le primizie primaverili dello Spirito.

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