Facciamo politica
Facciamo subito una premessa. Don Tonino ha avuto un corpo a corpo con la politica. La sua scelta di una fede incarnata nella storia, ma anche di una Chiesa conciliare che respira nel dialogo aperto col territorio, lo ha spinto naturalmente a impicciarsi di politica. A sporcarsi di polvere di strada. A calpestare la piazza. A tenere aperte le porte della sacrestia sulla città. E, ovviamente, ad avere a che fare con i “politici”.
Normalmente politici
Naturalmente significa naturalmente: ogni cristiano dovrebbe avvertire che il banco di prova della chiamata di fede è nell’esercizio della responsabilità di cittadino. Sentirsi coinvolto nelle cose del mondo significa partecipare la propria dimensione di credente nella storia. Sentirsi parte della città. Bibbia e Goethe, direbbe Bonhoeffer. Bibbia e giornale, confermerebbe La Pira. È, almeno, dal Concilio che abbiamo imparato che la fede è sfidare la vita, non un modo consolatorio per separarsene.
è inerpicandosi lungo questa via che si può arrivare a una sorgente di straordinaria purezza, la stessa cui perviene don Tonino nelle sue riflessioni più profonde. Giunti a questa sorgente, si scopre che la politica non è altro che “un’arte nobile e difficile” (Gaudium et spes n. 68) e che la sua natura mistica l’accosta all’esperienza dell’unione religiosa con Dio. La politica come elevazione dal destino del singolo al destino della comunità, fino all’altezza da cui si scorge il destino dell’umanità intera. Come costruzione del nostro comune destino. Come ricerca di pensieri inediti e di parole nuove. Come pratica dello sguardo lungo che costruisce futuro, addita orizzonti, immagina e anzi costruisce il non ancora senza indugiare nel già. Come inquietudine sul presente.
La politica come creatrice di senso, come anima che connette le persone le une alle altre, in un vincolo di comunità. Insomma, la politica come un’arte che eleva in alto, fino alla mistica. Da vertigine. Straordinario.
Una sovversione radicale del senso comune. Un rovesciamento rivoluzionario dell’opinione corrente. Non solo la politica non è uno spazio sporco da cui è consigliabile star lontani. Non solo la politica non è il luogo corrotto che è bene non frequentare. Addirittura la politica costituisce, al contrario, l’esperienza, tra le privilegiate, intense, nobili di servizio alla comunità. Dunque, una risposta alla chiamata della fede. Meglio, la radice autentica della sua scelta è la chiave che da’ senso a tutta l’esperienza della fede. La fede senza la vita, dunque senza la politica, è un albero sterile. Non genera frutti. La ragione è semplice e chiara ed evidente. Certo in don Tonino. La politica è un modo specifico attraverso il quale tutti sono chiamati a partecipare al compimento della creazione.
A concorrere alla realizzazione della fraternità finale. Dunque, a dare il proprio contributo al disegno di Dio. la ragione è semplice. Se l’amore è l’anima della fede che chiama alla vita, allora la politica non è altro che un’estensione dell’amore alla dimensione sociale. Anzi, a dirla tutta, oggi sempre più se ami la tua città, non puoi non amare anche la tua terra, il tuo paese, il mondo intero. I nostri destini sono così aggrovigliati che l’amore nella sua anima sociale non si può fare a fettine. Ami la tua città se ami il mondo intero. E il pianeta come organismo vivente. Dunque, la politica nel suo slancio mistico è cosmica. Non era l’amore dilatato fino agli estremi confini della creazione la radice della follia di Francesco o dello slancio visionario di Theilard De Chardin?
Ecco perché, quando si parla di politica, bisogna fare attenzione. Liberarsi dagli atteggiamenti sbarazzini, dai giudizi sommari senza adeguata istruttoria nella propria coscienza.
Nessuno può dire: “Non mi tocca”. Prendere parte alla costruzione del nostro comune destino è, in fondo, prendere parte alla creazione. E la fede è rispondere a questa chiamata in prima persona. Senza delega. Perché riguarda tutti, proprio tutti, certo in forme diverse, con ruoli e responsabilità diversi.
È l’esatto contrario di quello che pensiamo: la politica è affare dei politici. Roba loro. Vero il rovescio: è roba nostra, di ciascuno di noi. Non esiste una politica come spazio separato della nostra vita sociale. È questo l’inganno più grande, la trappola fatale nella quale siamo caduti. La politica è, piuttosto, una dimensione inevitabile della nostra vita sociale. Se siamo persone, allora, ineludibilmente abbiamo, ciascuno di noi ha, anche una responsabilità politica di concorrere alla costruzione del nostro comune destino. Di fare in modo, col nostro impegno, che si guadagnino soglie maggiori di giustizia e di pace.
Perché siamo caduti nella trappola del disimpegno dalla politica? Perché, soprattutto nel nostro Paese e nel mondo cattolico, starsene lontani dalla politica è divenuto motivo di credibilità? Perché un vescovo come don Tonino, che si è inguaiato intensamente con la politica, non le ha lasciato pace, l’ha tenuta incessantemente sulla corda di una fortissima tensione morale, resta una testimonianza così isolata, così dissonante, così inconsueta?
Azzardo un’ipotesi, la mia. Perché abbiamo voltato le spalle al Concilio. Invece che rimettere la Chiesa sulla strada del mondo per condividere le gioie e le sofferenze, le speranze e i dolori degli uomini e delle donne, la Chiesa si è rinchiusa nel suo spazio sacro, separato, protetto. La fede si è staccata dalla vita e, dunque, dal mondo. Il religioso di qui, il mondano di lì. La preghiera di qui, la piazza di lì. E quello che accade di lì non ci riguarda.
Così, invece che fermentare il mondo di lievito evangelico, i cattolici hanno preferito guardarlo a distanza. Con un doppio effetto negativo. Da un lato l’esperienza di fede si è impoverita di senso: se togli la vita dalla fede questa degrada verso il fideismo. Dall’altro la vita sociale del Paese, senza più una solida coscienza morale, si è andata corrompendo fino a degenerare in una crisi che, prim’ancora che politica o economica, è etica.
Atei devoti?
La Chiesa ha testimoniato una scelta deviante: al mondo ha preferito il potere. Sono oltre trent’anni che piuttosto che formare cristiani adulti innamorati follemente di cose del mondo, appassionati dalla sfida di cambiarlo, ha preferito negoziare direttamente col potere i propri bisogni e la propria tutela.
Chi legge gli scritti di don Tonino sulla politica “mistica arte” avrà la sensazione di ritornare alle sorgenti. Di se stesso, della propria vita, della propria fede. Non parla, come soleva provocatoriamente fare, solo ai politici ma a ciascuno di noi, alla nostra coscienza chiamata a riappropriarsi di una densità morale, troppo a lungo dopata dal conformismo e dall’obbedienza anche ecclesiale.
Scrive don Tonino stando sulla cerniera tra la fine degli anni Ottanta e l’inizio degli anni Novanta. Sono gli anni del crepuscolo della prima Repubblica, della scomparsa dei partiti di massa, la Democrazia Cristiana innanzitutto come cinghia di trasmissione tra la Chiesa e la società italiana.
Quella crisi don Tonino la scorge profeticamente, cogliendo, come unico antidoto al degrado morale e politico del Paese, il lavoro di costruzione di coscienze consapevoli della propria responsabilità.
Il ruolo della Chiesa come sentinella etica, presidio della libertà di giudizio, che incalza il Paese al dovere di una ricostruzione profonda del senso della nostra convivenza.
Sappiamo com’è andata. La Chiesa ha scelto un’altra strada, quella che ha condotto, nel lungo ventennio berlusconiano con la sua antropologia televisiva, a spegnere il cervello degli italiani e disattivare il flusso della coscienza.
Gli atei devoti sono stati più adulati dei cattolici adulti e, dunque, autonomi.
L’autonomia della coscienza fa paura. Eppure, solo una coscienza matura può essere l’unica sentinella critica rispetto alle sfide del nostro tempo.
Oggi, nel cuore della fase più acuta e grave della crisi, sappiamo chi aveva visto giusto.