POLITICA

Contro i mercanti di morte

Dagli F16 agli F35, passando per la 185 del 1990: dall’impegno di don Tonino
per il disarmo alle urgenze di oggi.
Diego Cipriani

Ho pensato spesso, in questi venti anni che ci separano dalla morte di don Tonino, come si sarebbe comportato lui, che cosa avrebbe detto di fronte agli avvenimenti che hanno minacciato la pace in questi anni.
Certo, i tempi sono cambiati. Don Tonino non ha visto la fine delle guerre balcaniche, con l’ultima scia di morte consumatasi tra Serbia e Kosovo, così come non ha assistito all’irruzione sulla scena mondiale del terrorismo e della scia di morte che dalle Torri Gemelle all’invasione dell’Afghanistan (non quella russa del 1979, che durò “solo” dieci anni) e alla guerra in Iraq (non quella del 1991, che durò “solo” quaranta giorni) continuano ancor oggi qui, in Occidente, a riempire i cimiteri militari e lì a far strage di civili. Quando don Tonino morì, al potere in Libia c’era Gheddafi, ben rifornito di armi anche italiane, quelle stesse che poi hanno contribuito alla fine del suo regno, mentre qualche chilometro più a Oriente regnava Mubarak. E chissà cosa avrebbe detto dinanzi al vento delle primavere arabe, lui così sempre attento a cogliere il nuovo soprattutto se emerge dal basso. E l’elenco degli avvenimenti potrebbe continuare a lungo.

Super-caccia
Ebbene, i tempi sono cambiati… ma solo apparentemente. Sì, perché se ripensiamo alle parole di don Tonino mentre leggiamo di giornali dei giorni nostri o guardiamo le notizie in tv o nel web, ci accorgiamo della straordinaria attualità che quelle parole conservano ancora.
Prendiamo ad esempio il caso degli F35, il super-caccia multiruolo di 5ª generazione che è in cima alle priorità delle nostre Forze Armate, a dispetto dei costi assurdi che l’intera operazione costerà alle nostre tasche e nonostante i forti dubbi sull’affidabilità tecnica di questo “gioiello” della guerra futura. Don Tonino ebbe a che fare con altri aerei militari, gli F16. Era il 1988 e gli Usa decisero di trasferire in Italia 72 caccia “F-16” dalla base di Torrejon, in Spagna, con l’obiettivo di rafforzare il fianco Sud della Nato. Contro l’ipotesi del trasferimento degli F-16 a Gioia del Colle, i sette vescovi della provincia di Bari scrivono il loro “no” nel documento “Puglia arca di pace e non arco di guerra”, smontando uno a uno gli argomenti che tentavano di giustificare l’operazione: le esigenze superiori di difesa, il vantaggio dell’investimento, lo sviluppo dell’industria italiana, il miraggio occupazionale, eccetera eccetera. Sembra di ascoltare l’ammiraglio-ministro (tecnico) della difesa dei nostri giorni! Qualche mese più tardi quel famoso documento che fece temere l’incidente diplomatico con lo Stato italiano, don Tonino confidò: “Sapeste quante lettere minacciose e quante telefonate anonime abbiamo avuto noi sette Vescovi della Provincia di Bari che abbiamo firmato quel documento degli F16! (…) Perché? Perché si mette il dito su grossi profitti”.
Forse don Tonino si riferiva a profitti “puliti”, sebbene ricavati sulle armi. Ma negli ultimi tempi, anche la nostra magistratura ha cominciato ad accertare che l’industria militare italiana non si fonda su profitti solo puliti.

Le lance in falci
E parlando di armi, non si può non pensare alla campagna per l’approvazione di una legge sul commercio delle armi che a metà degli anni Ottanta vede impegnato il movimento pacifista italiano, con Pax Christi e don Tonino in testa. Una legge che don Tonino avrebbe voluto molto più simile al capitolo 2 del libro del profeta Isaia che alle alchimie e ai compromessi che sono spesso a fondamento di articoli e commi. “L’anelito del profeta” – dirà al convegno del 1987 del cartello “Contro i mercanti di morte” – “si placa quando le spade si cambieranno in vomeri e non si accorceranno, semmai, in pugna letti e le lance si trasformeranno in falci e non si ridurranno semplicemente in coltelli a serramanico. Accontentarsi dell’accorciamento delle armi significa per me tradire la profezia e avallare i compromessi”. E pensare che quella legge, la n.185, così faticosamente ottenuta nel 1990, è da anni sotto attacco da parte delle lobby politico-industrial-militari perché ritenuta troppo severa. Chissà che cosa avrebbe detto don Tonino nel vedere approvato, qualche settimana fa, il primo Trattato che regolamenta il commercio internazionale di armamenti convenzionali da parte dell’Assemblea generale dell’Onu: avrebbe forse salutato con gioia questo primo, timido passo e avrebbe certamente rilanciato una campagna mondiale per modificarlo in senso più stringente.
Ma era alla sua Chiesa che don Tonino soprattutto guardava perché non perdesse la sua vocazione naturale a essere humus fertile per la realizzazione dell’augurio degli angeli sulla culla di Betlemme. E qui cominciava la sofferenza. “Dobbiamo riconoscere, purtroppo, che tra noi, nonostante il multiloquio, quella della pace rimane ancora una cultura debole”: sebbene queste parole siano datate 1987, non possiamo negare che valgano anche oggi.
Quello che costituiva un suo chiodo fisso era lo sforzo di far comprendere come i discorsi sulla pace che andava facendo non erano un’appendice rispetto alla fede in Cristo, anzi che la pace è una questione di teologia dogmatica piuttosto che di teologia morale. Come disse all’Arena di Verona, il 30 aprile 1989, “sono interni alla nostra fede i discorsi sul disarmo, sulla smilitarizzazione del territorio, sulla lotta per il cambiamento dei modelli di sviluppo che provocano dipendenza, fame e miseria nei Sud del mondo, e distruzione dell’ambiente naturale”. Ed è emblematico che queste parole le abbia dette alla vigilia dell’Assemblea Ecumenica Europea di Basilea “Pace nella giustizia”, una tappa fondamentale ma ormai dimenticata del cammino delle Chiese cristiane sui temi della pace, della giustizia e della salvaguardia del creato.
Oltre a quello della “pace come optional”, l’altro equivoco che don Tonino cercava in ogni modo di demolire era quello della “morale del doppio binario”, da lui definita” la vera tragedia per noi credenti”.

Pacifisti sulla breccia
Ecco che cosa scrive agli inizi del 1991: “C’è, in buona sostanza, una morale che è valida a regolare la sfera privata: e in questa sfera il disarmo unilaterale del perdono è raccomandato, la logica dell’“occhio per occhio e dente per dente” viene rifiutata come antievangelica, e il modulo della ritorsione violenta viene giustamente visto come contrario al discorso della montagna. E c’è poi una morale che regola la sfera dei rapporti collettivi. In questa sfera per i discorsi di Gesù Cristo sul perdono, sulla remissione dei debiti, sull’amore dei nemici… c’è il divieto assoluto di accesso. Anzi, bisogna fare in modo di creare attorno a questa sfera pubblica una cintura di sicurezza, costituita dal buon senso, perché non ci siano infiltrazioni pericolose”. Non è forse questo uno dei luoghi comuni che ancora non ci consentono, come comunità di credenti, di fare un passo in avanti nell’“osare la pace” oltre la sfera prettamente privata e che ci vedono spesso muti di fronte alle grandi scelte?
Infine, un altro tema su cui don Tonino si è speso senza risparmiarsi e che ugualmente lo vedrebbe oggi in prima fila è quello che si nasconde dietro una domanda che ciclicamente riappare: “Dove sono i pacifisti?”. Quante volte don Tonino si è sentito fare questa domanda, non mossa certo da curiosità o genuina richiesta di conoscenza, quanto piuttosto da retro pensieri e pre-giudizi di qualche intellettuale alla moda. Dalle pagine di “Avvenire”, nel gennaio 1992, quindi durante la prima fase del conflitto jugoslavo, don Tonino risponde così: “È un interrogativo che sorprende. Perché, anche a non sentirli, se è vero che oggi sono meno chiassosi di ieri, li si può però benissimo vedere. Non fosse altro che nelle molteplici iniziative che li porta sulla breccia, con tante comunità parrocchiali e di volontariato laico, ad apprestare soccorsi alle vittime di questo dannato conflitto, a dare accoglienza ai 350mila profughi provenienti dalle zone di guerra, a battersi per il riconoscimento della dignità umana ad albanesi e terzomondiali, a inventarsele tutte perché il mondo viva nella pace e nella giustizia, e a gettare semi di pace in questo deserto di violenza”.
Forse oggi la tentazione di riporre quella domanda ha contagiato lo stesso movimento per la pace. Ebbene, se anche i pacifisti volessero porserla, quella domanda, sarebbe utile andare a rileggersi le parole di don Tonino.

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