Da Molfetta ad Alessano
Un mediometraggio dedicato, ispirato a don Tonino.
Alessano: un bambino scalzo per strada, ha otto anni, è il 1943, calzonetti corti, bretelle. In settembre è ancora caldo da queste parti. La guerra non si vede se non nelle ferite familiari, ma una rassegnazione antica salva la corsa sfrenata del bambino e destina a segni più profondi il dolore, che in lui matura in misericordia religiosa e politica. Si chiama Tonino Bello.
19 chilometri da Ugento, 57 da Lecce. Se non hai la macchina, ci sono le SudEst: binario unico, rocce, fichi d’india e sedici fermate dal capoluogo salentino. San Cesario, San Donato, Galugnano, Sternatia, Zollino si cambia, Corigliano, Melpignano, Maglie, Muro Leccese, Sanarica, Poggiardo, Spongano, Andrano, Miggiano, Tricase, Tiggiano e Alessano/Corsano: una stazione per due. Dopo, soltanto Leuca, finis terrae: il mare azzurro “profunno”.
Un paese di case basse, resti evidenti e preziosi di un fasto antico e intorno molti frutti di una crescita disordinata che viola il magnifico paesaggio, a dire che crimine e santità possono avere radici comuni.
La piazza e, in piazza, la casa e la chiesa. In mezzo la creperia e il salone di Gino, barbiere da sessantatre anni: una vetrina, due poltrone e lo specchio. Ci mostra come una reliquia la mantellina rosa: gli ha tagliato i capelli il giorno in cui l’hanno fatto vescovo.
La signora della creperia si lamenta: “I turisti vengono a visitare la tomba e poi li portano a mangiare a Leuca. E noi?”.
Riflesso nello specchio di Gino si vede più o meno quello che si deve essere visto sempre, a parte le due automobili in doppia fila sul sagrato.
La donna ogni mattina esce di casa presto con il bambino per mano: lo “appoggia” in chiesa ad aspettare che apra la scuola e va a lavorare. Perché fare la sarta non basta più da quando Tommaso, il marito, è morto prematuramente e Trifone, Marcello e Tonino mangiano: eccome se mangiano! Ma non c’è da immaginarsi una povertà infelice, non c’è da alimentare nessuna retorica.
Dignità è la parola giusta. Qui fa caldo d’estate, freddo d’inverno e, come dappertutto, le stagioni si succedono e la primavera arriva: arriva nel corpo e nell’anima, è una certezza.
Bastano un materasso e tre sedie: una per la stanza, una per lo studio e l’altra per il refettorio. Bastano un materasso, tre sedie e 19 chilometri per mollare gli ormeggi e incominciare il viaggio. Così, un giorno del 1945, a dieci anni, il figlio in punta di piedi e la madre leggermente china, si abbracciano, si salutano, senza che in nessun modo quel legame perda consistenza, allungandosi come un filo tenace per tutto il corso delle loro vite e oltre.
Seminario di Ugento, seminario regionale, Istituto di Studi Sociali dell’Onarmo a Bologna, facoltà di teologia di Venegono e poi Roma, l’ottobre del 1962, per il Concilio Ecumenico Vaticano Secondo. Tricase, l’episcopio di Molfetta, Sarajevo: tappe di un viaggio breve, durato soltanto 58 anni, ma intenso, contagioso, luminoso. Da atleta del cuore.
La proposta
Gemma e Carlo sono due amici di lunga data (lei è stata una mia collaboratrice quando dirigevo il Teatro Kismet di Bari). Sono impegnati in Pax Christi e non mancano mai di coinvolgermi nelle loro attività: c’è una bellezza e una profonda sincerità in quello che fanno che mi commuove. Ci ritroviamo spesso a parlare di don Tonino. Mi dicono del desiderio di produrre per Pax Christi, a vent’anni dalla morte, un film attento alla sua esperienza, al suo impegno per la pace e per il rinnovamento della cultura, della politica, della fede. Coinvolgendo l’amico Winspeare, m’impegno nell’impresa. Ma non possiamo fare una fiction su don Tonino: non ce la sentiamo, ci sembra sbagliato impersonarlo. Pensiamo piuttosto a una storia che ne rievochi il pensiero, il peso morale, spirituale: che racconti l’influenza che oggi può avere e ha su di noi quest’uomo.
Sarà L’anima attesa.
Quando lavori a un film o a uno spettacolo, entri in un rapporto particolarmente intimo con i personaggi che racconti e, se questi sono esistiti veramente, l’intimità assume un carattere del tutto particolare. E se poi questi si chiamano don Tonino Bello, senti una mano sulla spalla. Non c’è niente di mistico, tanto più che io non ho gran confidenza con l’Altissimo: è quel sentimento concreto che nasce nell’incontro con un maestro e ti sostiene.
Abbiamo girato un piccolo film, per durata e anche per l’investimento che gli abbiamo potuto dedicare, ma poiché il cuore, quando ce lo metti, è sempre intero, penso vi alberghi: penso se ne possa sentire il battito. Racconta la storia di un fratello che si è perso e di un viaggio verso un approdo che, in definitiva, è la sua casa: racconta di come un uomo possa incidere nella nostra vita anche senza che lo s’incontri mai personalmente. L’anima attesa è la casa: quella che attendiamo, ma anche quella a noi dovuta, a cui troppo spesso, per pigrizia o distrazione, rinunciamo, dimenticando quanto la vita vi coincida: quanto non sia fatta di mura, ma di riconciliazione, con noi stessi e con l’altro, nostro fratello, nostra sorella. Sempre.
In giugno, a Lucca, grazie a i Teatri del Sacro, debutterà anche uno spettacolo, del tutto diverso dal film. S’intitolerà Croce e fisarmonica. Ci saranno Enrico Messina e Mirko Lodedo. Stavolta racconteremo la sua storia.