Basta un solo uomo
Ho conosciuto don Tonino tanti anni fa quando era parroco di Tricase. Anche se adolescente, ricordo il segno forte che lasciava sulla comunità con le sue parole e azioni, sebbene non fosse ancora diventato – come dopo da vescovo di Molfetta e soprattutto presidente di Pax Christi – quella personalità carismatica di respiro universale. Mi ricordo anche come, all’epoca, don Tonino fosse così legato alla sua parrocchia e alla sua terra che con dispiacere accettò la nomina vescovile. Alla fine cedette, oppure forse obbedì. Conosco questi avvenimenti perché il nostro sacerdote era nel frattempo così amato dai tricasini da diventare oggetto di appassionate discussioni per qualunque cosa lo riguardasse. In fondo la mia era una conoscenza superficiale; avrò ascoltato don Tonino in decine di messe e incontri, parlato con lui sì o no due volte.
Da quando è morto, invece, sono accaduti degli avvenimenti che mi hanno guidato alla scoperta della sua figura e quello che mi si è rivelato è un uomo come dovrei essere io, come potremmo essere tutti, credenti e non credenti. La sua vita straordinaria mi ha fatto capire la bellezza della santità quotidiana, addirittura, per chi ancora non ha la fede, la scoperta di una santità laica.
La sua poesia mi ha confermato che un artista autentico non può non essere assetato di storie, di volti, incuriosito dagli antipodi, affascinato da pensieri originali. Non so se sono un artista, ma don Tonino ha contribuito molto a non saziarmi mai di ciò che vive nel mondo. Ma il regalo per cui gli sono immensamente grato è l’evidente prova, con la sua esistenza, che un uomo solo, innamorato dei suoi fratelli umani, può fare la differenza, eccome se la può fare! Non c’è cinismo che tenga quando qualcuno come don Tonino fa la comparsa su questa terra. Pensiamo solo alla nostra bellissima regione Puglia: se è la meno mafiosa delle regioni del sud (forse anche del nord?) e la più ospitale del Mediterraneo verso i profughi dalla guerra e dalla miseria, io credo sia in gran parte dovuto alla testimonianza del nostro salentino.
Cronaca bianca
Questo è il motivo per cui ho deciso di raccontare, nel film L’anima attesa, la storia di un uomo senza fede, non solo in Dio ma in tutto. In due giorni il nostro protagonista, per la prima volta nella sua vita, incontrerà alcune delle persone che affollano le cronache bianche, coloro che non fanno notizia perché coltivano delle speranze per l’umanità, si curano degli altri come di se stessi, contemplano con stupore lo spettacolo della natura e, per questo, la rispettano come qualsiasi essere vivente del pianeta. Questi uomini e donne comuni sembreranno apparizioni agli occhi del personaggio e forse, alla fine del viaggio, la salvezza non sarà una conversione sulla via di Damasco, ma l’epifania di un altro sguardo sul mondo.
Negli ultimi vent’anni della mia vita ho incontrato molte di “queste persone che vengono ignorate” come diceva Borges “ ma sono quelle che stanno salvando il mondo”; ho lavorato con loro, imparato da tutti senza che loro volessero insegnarmi niente, sentito un calore discreto, un affetto non invadente nel mio egocentrico percorso artistico; sono politici onesti come Guglielmo Minervini, operatori culturali non conformisti come Gigi De Luca, intellettuali cristiani mai supini come Antonio Facchini, giuristi attenti al fattore umano come Antonio Scarascia, ambientalisti rigorosi come Giovanni Bongo, amici registi di talento come Giorgia Cecere e Carlo Bruni – quest’ultimo dichiaratamente ateo –, commercialisti di successo come Francesco Lenoci, bravi preti come don Donato Bleve, insegnanti appassionati come Gemma D’Ambrosio e Carlo Montedoro, idealisti buoni senza frontiere come Gianni Dalena e tanti altri, conservatori, progressisti, giovani, vecchi, credenti e agnostici che hanno una sola cosa in comune: aver conosciuto don Tonino Bello con tutto quello che ne consegue.