Ripartire dal Concilio con la “Pacem in terris”
Un fraterno saluto, a nome del Consiglio Nazionale, al Convegno sulla “Pacem in terris”, testo laico credente, universale, manifesto anche della nostra rifondazione associativa. Lo inviamo a pochi giorni dal nostro Congresso nazionale (Roma, Seraphicum 26-28 aprile) sul tema “E’ l’ora della nonviolenza”, facendo memoria operativa di Tonino Bello a vent’anni dal suo “giorno pasquale”, nel periodo in cui ri-cordiamo Marianela Garcia, Rachel Corrie, Ilaria Alpi e Oscar Romero.
Oggi il popolo di Dio appare poco sensibile al tema della pace ma quelle che Paolo (ai Filippesi) chiama “le potenze dell’aria”, traducibili con gli idoli del potere finanziario e con le spinte alla guerra, hanno bisogno di essere contrastate con una fede matura e attiva. Preoccupati per la retorica di guerra diffusa durante omelie funerarie per i soldati italiani uccisi, vogliamo ribadire che il miglior modo di onorare le vittime della violenza è quello di prevenire ulteriori lutti organizzando la pace con mezzi di pace. Sappiamo che il mestiere dei soldati è rischioso e pericoloso, spesso necessitato da motivazioni economiche. Ma definirli sempre “eroi della pace” o “profeti del bene comune” costituisce un’assurdità teologica e politica, un’esagerazione lontanissima dagli interessi presenti in molte operazioni militari e ignara dell’opera di tanti santi e martiri, volontari e missionari. Altrettanto negativa è l’interpretazione nazionalista-militarista di Giovanni XXIII e Mazzolari da parte dell’Ordinario militare, visti come “testimoni della fede nel mondo militare”.
La corresponsabilità ecclesiale ci invita alla franchezza evangelica. Vogliamo richiamarci alla novità dell’annuncio cristiano che vogliamo vivere rifacendosi alla Parola di Dio, alla vita di Cristo, al magistero della Chiesa, al Concilio Vaticano II, a Giovanni XXIII, ai messaggi per le Giornate mondiali della pace, allo “spirito di Assisi”e ai primi interventi di papa Francesco su pace, povertà e custodia del creato. Essi ci dicono che è possibile abbandonare i segni del potere per alimentare il potere di segni credibili per una Chiesa povera, con i poveri, itinerante, sobria, sinodale, cioè nonviolenta.
La fede cristiana chiama a impegni di "disarmo integrale" esplicitati nella “Pacem in terris” che definisce la guerra moderna un fenomeno di pura follia (nn. 61 e 67). In questo periodo, abbiamo bisogno di far risuonare le parole di Giovanni XXIII e del Concilio. Nel linguaggio ecclesiastico sono prevalse espressioni retoriche, usate in modo ideologico e strumentale: “valori non negoziabili”, “relativismo”, “leggi naturali”. Ogni parola andrebbe precisata, contestualizzata, interpretata. In ambito politico, l’impegno laico credente è quello di attuare la migliore mediazione legislativa possibile tra valori fondamentali (vita, dignità, giustizia, pace...) per convivere in plurale armonia. La “Pacem in terris” attenta ai “segni deti tempi” e alla distinzione tra dottrine e movimenti, contiene valide indicazioni per costruire un “nuovo ordine di rapporti umani” nella libertà, nella verità, nella giustizia e nell’amore: dimensioni essenziali della pace, idee guida presentate non in modo piramidale-dottrinario-autoritario ma in un’ottica circolare-relazionale-esistenziale. La fede si fa attenta alla pluralità dialogante, cerca mezzi di pace per costruire la pace.
La pace tocca il cuore del mistero cristiano. E’ problema di fede, di speranza e di carità. Bisogna che la Chiesa avverta la sua responsabilità e faccia emergere alcune finalità poco sentite: - la scelta della nonviolenza;- la passione per la giustizia;- la pratica del perdono;- l’esercizio della “inter-cessione” (C. M. Martini) e la pratica della “convivialità delle differenze” (T. Bello);- il disarmo e la riduzione delle armi;- l’accoglienza. Nel febbraio 2007, Benedetto XVI proclamava le Beatitudini “carta della nonviolenza cristiana che non consiste nell’arrendersi al male ma nel rispondere al male con il bene (Rm 12, 17-21), spezzando in tal modo la catena dell’ingiustizia”. Pur con qualche frase impropria, il messaggio della Giornata della pace 2013 ripresenta la beatitudine della pace come “buona notizia”, “dono messianico e opera umana”, “esperienza gioiosa di un dono immenso”.
Il Concilio afferma che la pace è “un edificio da costruirsi continuamente con mentalità completamente nuova” (Gaudium et spes, 78 e 80). Per questo parliamo di pace nonviolenta. Di una scelta che va pensata, sperimentata, organizzata. Di un’azione permanente a fianco delle vittime o dei deboli. Di un cantiere composto da mille atti quotidiani. Di una casa basata su quelli che la “Pacem in terris” propone come i quattro pilastri: la ricerca (o forza) della verità, la pratica di libertà (liberazione), un’economia di giustizia, la forza dell’amore. La pace è tutto un mondo da esplorare. Non verità da proclamare o vaga esortazione ma narrazione di storie ed esperienze significative, pratica coinvolgente che si può con-dividere facendo tesoro dell’opera di timonieri della “nave scuola della pace” come Cristo e Francesco d’Assisi, Gandhi e Luther King, Capitini e Dolci, Mazzolari e Bettazzi, La Pira e Milani, Lercaro e Dossetti, Balducci e Turoldo, Camara e Romero, Freire e Proaño...Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II, Martini; testimoni come Bonhöeffer, Teilhard de Chardin, Charles de Foucauld, Mancini, Carretto, Lanza del Vasto, Goss, Girardi, Langer, fino a Mandela, Tutu, Sabbah, Galtung, Paoli, A. Saan Suu Kyi; l’immensa nonviolenza femminile (da Marianela Garcia a Ilaria Alpi, da Dorothy Day a Dorothy Stang, da Wangari Maathai ad Annalena Tonelli, da Rachel Corrie a Rosemary Lynch...); i piccoli maestri della vita quotidiana. Una grande famiglia. La “Pacem in terris” ci insegna ad assumere la “desideratissima pace” dentro un travaglio generativo che può diventare grembo di novità per tutti. Un’opera di creazione, da progettare e osare assieme, dice Tonino Bello, per “spalancare la finestra del futuro”. Un fraterno abbraccio.